Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8592 del 03/04/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 03/04/2017, (ud. 06/12/2016, dep.03/04/2017),  n. 8592

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5290-2014 proposto da:

C.A., C.F. (OMISSIS), già APINDUSTRIA, Associazione

Piccole e Medie Imprese Provincia di Ancona e Macerata, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA AMITERNO 3, presso lo studio dell’avvocato STEFANO

NOTARMUZI, rappresentata e difesa dall’avvocato SERGIO MORICHI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

A.A.;

– intimato –

Nonchè da:

A.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA MAGLIANO SABINA 24, presso lo studio dell’avvocato LUIGI

PETTINARI, rappresentato e difeso dagli avvocati ALESSANDRO

LUCCHETTI, ALBERTO LUCCHETTI, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

C.A. C.F. (OMISSIS), già APINDUSTRIA, Associazione Piccole

e Medie Imprese Provincia di Ancona e Macerata, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA AMITERNO 3, presso lo studio dell’avvocato STEFANO

NOTARMUZI, rappresentata e difesa dall’avvocato SERGIO MORICHI,

giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 657/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 22/08/2013 R.G.N. 128/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/12/2016 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito l’Avvocato MORICHI MATTEO per delega Avvocato MORICHI SERGIO;

udito l’Avvocato LUCCHETTI ALBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento di entrambi i

ricorsi.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 22 agosto 2013 la Corte di Appello di Ancona, in parziale riforma della pronuncia del locale Tribunale, ha condannato la CONFAPI di Ancona “a reintegrare ( A.A.) nel posto di lavoro alle sue dipendenze, ovvero a pagargli una somma pari a cinque mensilità globali di fatto” ed a pagare somme a titolo di retribuzione per superiore inquadramento, per mancato preavviso, per differenze su TFR, “respingendo le altre domande” del dipendente; ha altresì respinto le domande proposte dalla CONFAPI per la restituzione di somme percepite dall’ A. per superminimi e diarie; ha condannato l’associazione al pagamento delle spese liquidate “in Euro 10.000,00 complessivamente per ciascun grado”.

In motivazione la Corte territoriale, ritenuto ammissibile l’appello proposto da A.A. nei confronti della CONFAPI, sulle impugnative dei due licenziamenti intimati in data 11 settembre 2009 per giustificato motivo oggettivo ed in data 16 marzo 2010 per giusta causa, esclusa la ritorsività, ha ritenuto i medesimi “ingiustificati”, riconoscendo la “tutela obbligatoria, non essendo contestato il numero ridottissimo dei dipendenti dell’associazione”; ha negato la natura indebita delle somme percepite dall’ A. a titolo di diarie e superminimi, in ciò riformando la decisione del primo giudice; ha infine confermato la stessa quanto al rigetto delle richieste del lavoratore per ferie non godute e mensilità aggiuntive.

2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso C.A. con sei motivi. Ha resistito con controricorso A.A., con ricorso incidentale affidato a quattro motivi. Ad esso ha resistito la CONFAPI, eccependo preliminarmente la nullità dell’atto avverso per difetto di procura speciale. Entrambe le parti hanno comunicato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso principale della CONFAPI non può trovare accoglimento.

1.1. Con il primo motivo di ricorso principale si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c. per avere la Corte territoriale ritenuto ammissibile l’appello dell’ A..

Il motivo è inammissibilmente formulato in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), avendo parte ricorrente omesso di indicare specificamente i contenuti dell’atto processuale – nella specie l’appello della controparte – su cui fonda la doglianza di difetto di specificità dei motivi di impugnazione. Omette infatti di riportarne adeguatamente il contenuto, impedendo così, in mancanza della descrizione del fatto processuale, di procedere alla preliminare verifica di ammissibilità del motivo di ricorso mediante accertamento della rilevanza e decisività del vizio denunciato rispetto alla pronuncia impugnata per cassazione.

Nè può soccorrere la qualificazione giuridica del vizio lamentato come error in procedendo, in relazione al quale la Corte è anche “giudice del fatto”, con la possibilità di accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito. Invero le Sezioni unite della Cassazione hanno statuito che, nei casi di vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, il giudice di legittimità, pur non dovendo limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, “è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purchè la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4)” (Cass. SS. UU. n. 8077 del 2012).

L’espressa salvezza da parte del Supremo Collegio della regola di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 cui si riconnette un riscontro normativo dell’autosufficienza, preserva il canone anche in caso di errores in procedendo. Così è stato argomentato che, pure in tali casi, si prospetta preliminare ad ogni altra questione quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (Cass. n. 18 del 2015; Cass. n. 18037 del 2014, con la giurisprudenza ivi citata). Proprio nel caso di censure che riguardino la denunciata genericità dei motivi di appello questa Corte ha ritenuto condizione di ammissibilità del ricorso la trascrizione per esteso del contenuto dell’atto di appello (Cass. n. 12664 del 2012) ovvero l’indicazione dell’impianto specifico dei motivi di appello formulati dalla controparte ed asseritamente affetti da nullità (Cass. n. 9734 del 2004; Cass. n. 86 del 2012; Cass. n. 2143 del 2015), senza che sia sufficiente un mero rinvia all’atto di appello medesimo (cfr. Cass. n. 20405 del 2006; Cass. n. 23420 del 2011).

1.2. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 3 nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in ordine ai presupposti del giustificato motivo oggettivo di licenziamento. Si censura come “affermazione errata” quella della Corte territoriale secondo cui non sarebbe stato dimostrato “l’indispensabile collegamento causale tra il licenziamento e il peggioramento della situazione economico-finanziaria”, “in stridente contrasto con le evidenze documentali e con le risultanze delle prove orali, non avendo la Corte affatto tenuto conto delle prove legittimamente acquisite”.

Occorre subito rilevare che, risultando la sentenza della Corte territoriale depositata in data 22 agosto 2013, si applica il punto n. 5) dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nella versione di testo introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv. con modificazioni in L. n. 134 del 2012, la quale consente il ricorso per cassazione solo per “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Le Sezioni unite di questa Corte (Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014) hanno espresso su tale norma i seguenti principi di diritto: a) la disposizione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; b) il nuovo testo introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia); c) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie; d) La parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso (principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici).

Poichè il motivo in esame, anche laddove solo formalmente denuncia una violazione e falsa applicazione di legge, risulta largamente irrispettoso di tali enunciati, traducendosi nella sostanza in un diverso convincimento rispetto a quello espresso dai giudici del merito nella valutazione del materiale probatorio, come è reso palese dal rilievo ivi contenuto al “contrasto con le evidenze documentali e con le risultanze delle prove orali”, lo stesso deve essere disatteso.

3.3. Con il terzo motivo si denuncia “violazione dell’art. 434 c.p.c. violazione del contratto collettivo nazionale di lavoro – violazione del giudicato interno – omesso esame di un fatto decisivo”, lamentando che il giudice di secondo grado avrebbe errato a ritenere che il superminimo percepito dall’ A. negli anni dal 1998 al 2002 fosse dovuto dall’Associazione, trascurando altresì che la prescrizione e l’assorbimento del superminimo statuito dal primo giudice non erano state oggetto di impugnazione da parte del lavoratore.

La censura è inammissibile perchè contiene promiscuamente la contemporanea deduzione di violazione di disposizioni di legge, sostanziale e processuale, nonchè di vizi di motivazione, oltre all’invocazione della violazione di un non meglio precisato contratto collettivo (che neanche si indica quando e dove sia stato integralmente prodotto), senza alcuna specifica indicazione di quale errore, tra quelli dedotti, sia riferibile ai singoli vizi che devono essere riconducibili ad uno di quelli tipicamente indicati dall’art. 360 c.p.c., comma 1 così non consentendo una adeguata identificazione del devolutum e dando luogo all’impossibile convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, “di censure caratterizzate da… irredimibile eterogeneità” (Cass. SS.UU. n. 26242 del 2014; cfr anche Cass. SS.UU. n. 17931 del 2013; conf., da ultimo, Cass. n. 14317 del 2016).

4.4. Con il quarto motivo si denuncia erronea e/o falsa applicazione dell’art. 2034 c.c., perchè la CONFAPI avrebbe proposto una domanda di risarcimento del danno nei confronti dell’ A. per essersi attribuito superminimi e diarie non previsti dalla contrattazione collettiva, erroneamente qualificata dalla Corte territoriale come ripetizione dell’indebito.

Anche tale motivo è inammissibile, sia per il carattere di novità, non essendo adeguatamente specificato nel corpo di esso quando e come la questione sia stata proposta ed affrontata nel corso del giudizio, sia per difetto di specifica indicazione circa il contenuto degli atti processuali sui quali il motivo si fonda, anche questa volta in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

1.5. Con il quinto motivo si denuncia erronea o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 8 nonchè nullità del dispositivo per avere la Corte territoriale condannato la CONFAPI alla reintegrazione, nonostante nella motivazione si affermi l’applicabilità della sola tutela obbligatoria.

La doglianza è palesemente infondata perchè anche dal dispositivo si comprende che di tutela obbligatoria si tratta e che la Corte ha utilizzato solo impropriamente il termine reintegrazione in luogo del termine riassunzione, cui effettivamente tende, senza insanabili contraddittorietà, il comando giudiziale.

1.6. Con il sesto motivo si denuncia erronea e/o falsa applicazione del D.M. n. 140 del 2012 in materia di spese di lite, avendo la sentenza impugnata liquidato le stesse “in via del tutto discrezionale” ed onnicomprensiva e sussistendo le condizioni per una compensazione, quanto meno “parziale”.

Il motivo non può trovare accoglimento.

In tema di liquidazione delle spese giudiziali ad opera del giudice di merito, fermo restando che vi è violazione di legge soltanto quando esse siano state poste, totalmente o parzialmente, a carico della parte totalmente vittoriosa, la valutazione circa l’opportunità della compensazione, totale o parziale, delle spese processuali, costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo ove la motivazione posta a fondamento della statuizione di compensazione risulti palesemente illogica e contraddittoria e tale da inficiare, per la sua inconsistenza o evidente erroneità, il processo decisionale del giudice (v., per tutte, Cass. SS. UU. n. 20598 del 2008). Inoltre solo la compensazione deve essere sorretta da motivazione, e non già l’applicazione della regola della soccombenza cui il giudice si sia uniformato (tra le altre v. Cass. n. 2730 del 2012 e Cass. n. 17128 del 2014).

2. Rispetto al ricorso incidentale contenuto nel controricorso dell’ A. occorre preliminarmente delibare l’eccezione di nullità della procura avversaria sollevata dalla CONFAPI, in quanto carente “della specifica previsione del potere di impugnare e proporre il ricorso incidentale”.

L’eccezione è infondata.

Secondo questa Corte la procura apposta nell’unico atto contenente il controricorso ed il ricorso incidentale deve intendersi estesa anche a quest’ultimo, per il quale non ne è richiesta formalmente una autonoma e distinta, ed il suo rilascio, anche non datato, mediante timbro apposto a margine o in calce a quell’atto le conferisce sia il carattere dell’anteriorità che il requisito della specialità, giacchè tale collocazione rivela uno specifico collegamento tra la procura stessa ed il giudizio di legittimità (da ultimo Cass. n. 8798 del 2016; precedenti conf. v. Cass. n. 25137 del 2010).

Ciò posto comunque il ricorso incidentale non merita accoglimento.

2.1. Con il primo motivo di esso si denuncia omessa o insufficiente motivazione su fatti decisivi relativi al mancato pagamento della 13^ e 14^ mensilità nonchè dell’indennità sostitutiva relativa a 1185 ore di ferie e permessi non goduti.

Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 2709, 2735, 1418, 2103, 1967 e 2697 c.c. nonchè degli artt. 105 e 106 del CCNL.

Con il terzo motivo si denuncia violazione degli artt. 1443, 2109, 2697, 2709 e 2735 c.c. nonchè dell’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE.

I tre motivi, congiuntamente esaminabili perchè attengono al rigetto della domanda volta al riconoscimento di spettanze per mensilità aggiuntive, ferie e permessi non goduti, non possono essere accolti in quanto, anche ove formalmente fanno valere promiscue ed indistinte violazioni di legge e di contratto, nella sostanza contestano un accertamento fattuale sulla debenza delle spettanze richieste, quaestio facti rispetto alla quale il sindacato di questa Corte è precluso non solo perchè le censure esorbitano i limiti imposti dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ma anche perchè i vizi attinenti a tale giudizio di merito, riguardando la ricostruzione dei fatti e la loro valutazione, per i giudizi di appello instaurati successivamente al trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della L. n. 134 del 2012, di conversione del D.L. n. 83 del 2012, non possono essere denunciati con ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Ancona che sul punto conferma la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado (art. 348 ter c.p.c., u.c.). Ossia il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme (v. Cass. n. 23021 del 2014).

2.2. Con il quarto motivo del ricorso incidentale si denuncia omessa motivazione circa un fatto decisivo afferente la ragione ritorsiva del licenziamento dedotta dal lavoratore.

Anche con questa censura si tende ad una inammissibile rivalutazione del giudizio affidato al sovrano apprezzamento del giudice di merito, travalicando i limiti imposti ad ogni accertamento di fatto dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014, con principi già richiamati innanzi e dai quali non vi è ragione per discostarsi.

3. Conclusivamente i ricorsi vanno respinti e, stante la reciproca soccombenza, ricorrono le condizioni per compensare le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater occorre dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale ed incidentale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale, compensando le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale ed incidentale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2017

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