Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8590 del 07/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 07/05/2020, (ud. 05/12/2019, dep. 07/05/2020), n.8590

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9780/14 R.G. proposto da:

P.V.S., rappresentato e difeso, giusta procura

speciale in calce al ricorso, dall’avv. Salvatore Rijli, con

domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Bruno Chiarantano, in

Roma, al Borgo Pio, n. 160;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della

Lombardia n. 142/36/13 depositata in data 22 ottobre 2013;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 dicembre

2019 dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera.

Fatto

RILEVATO

che:

Con distinti ricorsi la società Fedal di M.M. & C. s.a.s. e P.V.S., socio accomandante, impugnavano l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate ai fini del recupero a tassazione di IRAP e I.V.A. per l’anno d’imposta 2004; avverso il medesimo atto impositivo ricorreva anche il socio accomandatario M.M..

La verifica traeva origine dall’invio di un questionario, con il quale era stata richiesta la esibizione di documentazione contabile a seguito di rilevata non congruità dello studio di settore, al quale non veniva dato riscontro; l’Ufficio aveva, quindi, rideterminato maggior reddito imponibile a carico della società e maggiore IRPEF da imputare ai soci, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5.

La Commissione provinciale di Milano rigettava i ricorsi, con i quali erano stati eccepiti il difetto di notifica del questionario, la mancata valorizzazione dei costi risultanti dalla documentazione contabile e il mancato riconoscimento di un’incidenza percentualizzata dei costi sui ricavi dichiarati.

A seguito di appello, la Commissione tributaria regionale confermava la sentenza di primo grado.

Rilevava, in particolare, che non sussisteva violazione del principio del contraddittorio, in quanto la società e il socio accomandante, che non era legittimato ad impugnare l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società, sicchè il suo ricorso poteva intendersi quale contestazione anticipata del maggior reddito imponibile da imputare ai fini Irpef, avevano proposto ricorsi di identico contenuto, che, pur non essendo stati riuniti in primo grado, erano stati trattati dalla medesima sezione della Commissione provinciale ed erano stati decisi alla stessa udienza con sentenze redatte dal medesimo estensore, aventi identico contenuto; il ricorso del socio accomandatario era stato, inoltre, definito con sentenza di rigetto divenuta definitiva.

Relativamente al questionario, evidenziava che alla data della sua notifica la società, che svolgeva l’attività di bar in Milano, risultava inesistente all’unico indirizzo indicato nelle dichiarazioni I.V.A. e desumibile dall’Anagrafe tributaria ed dalla Camera di Commercio, così come risultava irreperibile il socio accomandatario nel luogo di residenza; conseguentemente del tutto correttamente la notifica era stata eseguita ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, stante l’irreperibilità dei destinatari, come provato dall’Ufficio mediante produzione della relativa documentazione.

Evidenziava, altresì, che la documentazione richiesta con il questionario non era mai stata consegnata all’Amministrazione ed era stata prodotta in giudizio tardivamente solo in data 7 settembre 2011, in prossimità dell’udienza del 23 settembre 2011, senza alcuna indicazione dei costi da dedurre; quanto, poi, alla richiesta di riconoscere in misura forfettaria una percentuale di incidenza dei costi in relazione ai ricavi dichiarati, osservava che la determinazione forfettaria dei costi era consentita solo nei casi tassativamente indicati dalla legge qualora l’ammontare dei ricavi fosse stato accertato in modo induttivo, ma non quando la ricostruzione dei ricavi era avvenuta sulla base di un accertamento analitico.

Ricorre per la cassazione della suddetta decisione P.V.S., in proprio e quale successore della Fedal s.a.s. di M.M. & C., cancellata dal registro delle imprese, affidandosi a quattro motivi.

L’Agenzia delle Entrate ha depositato atto di costituzione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente eccepisce violazione del principio del contraddittorio di cui all’art. 101 c.p.c. e all’art. 111 Cost., comma 2, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, e conseguente nullità dell’intero giudizio.

Richiamando la pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte n. 14815 del 4 giugno 2008, lamenta che il giudice di secondo grado, a fronte dell’eccezione sollevata, ha erroneamente affermato che nessuna violazione del principio del contraddittorio si fosse concretata nel giudizio di primo grado, non facendo tuttavia buon governo delle disposizioni normative richiamate in rubrica, posto che nel giudizio di primo grado avrebbe dovuto partecipare non solo il socio accomandatario, ma anche il socio accomandante, in relazione all’accertamento avente ad oggetto il proprio reddito di partecipazione, avverso il quale era stato proposto autonomo ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Reggio Calabria, ancora pendente.

2. Con il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. e).

L’eccezione di invalidità della notifica del questionario era stata disattesa dai giudici d’appello, ma la decisione si poneva in contrasto con le norme in materia di notifica, atteso che nella copia dell’invito prodotta agli atti di causa la relazione del messo, recando la dizione “trasferita”, non risultava idonea a legittimare la procedura notificatoria, atteso che il messo non aveva dato conto delle ricerche effettuate dirette a conclamare la certificata irreperibilità.

3. Con il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, per avere i giudici dichiarato la tardività della produzione documentale e sostenuto che, difettando la precisa indicazione dei costi, fosse impossibile la verifica sulla sussistenza dei requisiti della inerenza e competenza.

Ad avviso del ricorrente, la preclusione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, non poteva operare, in quanto essa presupponeva sia una condotta cosciente e volontaria di inottemperanza all’invito, che era mancata nel caso di specie, stante l’invalidità della procedura notificatoria, sia la prova, non offerta dall’Ufficio, dell’espresso avvertimento della preclusione in caso di mancata ottemperanza all’invito; i giudici di appello, negando ingresso alla documentazione offerta, non avevano fatto corretta applicazione delle norme richiamate.

4. Con il quarto motivo censura la sentenza per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109 e dell’art. 53 Cost. per avere i giudici di secondo grado sostenuto che il riconoscimento di una incidenza percentualizzata dei costi ricorresse solo nell’ipotesi in cui fossero stati accertati induttivamente i ricavi.

Anche tale assunto era errato, considerato che il riconoscimento di costi poteva operare anche nell’ipotesi di accertamento induttivo puro.

5. Il primo motivo è infondato.

5.1. Occorre preliminarmente ribadire che nel caso di rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 ex art. 5, sussiste litisconsorzio necessario originario tra la società e tutti i soci della stessa, in ragione dell’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica e della conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascuno dei soci, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili e indipendentemente dalla percezione degli stessi.

Secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, l’unitarietà dell’accertamento comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci – salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali – sicchè tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi; siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario. Conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l’integrazione del contraddittorio ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 14 (salva la possibilità di riunione ai sensi del successivo art. 29) ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio (Cass. Sez. U, 4/6/2008, n. 14815; Cass., sez. 6, 14/12/2012, n. 23096; Cass., sez. 6-5, 28/11/2014, n. 25300; Cass., sez. 5, 23/12/2014, n. 27337, con riferimento alla società in accomandita semplice ed alla posizione del socio accomandante, “incidendo l’accertamento in rettifica della dichiarazione anche sull’imputazione dei redditi di quest’ultimo, indipendentemente dal profilo della responsabilità – limitata alla quota conferita o illimitata”).

5.2. Ovviamente la validità di tale principio non viene meno neppure in caso di eventuale cancellazione della società di persone dal registro delle imprese, posto che la cancellazione “determina l’estinzione della società” e la priva della capacità di stare in giudizio, operando un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti pendente societate, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente.

In tale ipotesi, quindi, i soci subentrano anche nella legittimazione processuale già in capo all’ente estinto, venendosi a determinare una situazione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali, a prescindere dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale (Cass. 6/11/2013, n. 24955).

5.3. Analogamente, anche in materia di IRAP, le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza 22 maggio 2012, n. 10145) hanno precisato che si pone la medesima situazione di litisconsorzio necessario tra i soci e la società di persone già affermata dalle Sezioni Unite con riguardo all’Ilor con la citata sentenza n. 14815/08, atteso che sussiste una sostanziale coincidenza degli elementi economici che costituiscono i presupposti rispettivamente accertati a carico della società (IRAP) e dell’imposta a carico dei soci (IRPEF) che vincola il tributo dovuto dai soci dal giudicato sull’imposta a carico della società, con conseguente collegamento tra la pretesa tributaria ai fini IRAP nei confronti della società, in ragione dei maggiori ricavi, e la pretesa tributaria ai fini IRPEF, nei confronti dei soci, in ragione dei maggiori utili distribuiti, che giustifica, sul piano razionale dell’intrinseca ragionevolezza, il litisconsorzio necessario tra società e soci.

5.4. Quanto poi alle poste scaturenti dal maggiore imponibile I.V.A. emerso nei confronti della società, qualora l’Agenzia delle Entrate abbia proceduto, con unico atto, ad accertamenti ai fini I.V.A. e IRAP, il profilo dell’accertamento impugnato concernente l’imponibile I.V.A., non suscettibile di autonoma definizione in funzione di aspetti ad esso specifici, non si sottrae al vincolo necessario di simultaneus processus, attesa l’inscindibilità delle due situazioni (Cass. ord. 19 maggio 2010, n. 12236; Cass. 25 marzo 2011, n. 6935; Cass. 29 luglio 2011, n. 16661; Cass. 14 marzo 2018, n. 6303).

5.5. Nel caso di specie, sulla base di quanto emerge dalla sentenza impugnata e dallo stesso ricorso per cassazione, la società di persone ed il socio accomandante hanno impugnato, con distinti ricorsi, l’accertamento emesso nei confronti della società dinanzi alla medesima Commissione tributaria provinciale, la quale non ha proceduto alla loro riunione, ma ha emesso, all’esito dei giudizi, due separate pronunce che sono state oggetto di impugnazione dinanzi alla Commissione regionale, che, previa riunione, ha deciso con la sentenza impugnata con il presente ricorso per cassazione.

L’atto impositivo nei confronti della società è stato impugnato anche dal socio accomandatario M.M. con autonomo ricorso che è stato rigettato in primo grado con sentenza ormai divenuta definitiva per omessa impugnazione.

Sebbene in primo grado i processi separatamente instaurati dai litisconsorti necessari non siano stati riuniti e non sia stato assicurato un processo unitario per tutti i soggetti interessati, non è ravvisabile violazione del principio del contraddittorio, in quanto, come accertato dai giudici regionali, i processi proposti dalla società e dal socio accomandante sono stati decisi in primo grado dalla stessa Sezione della Commissione provinciale con sentenze di identico contenuto emesse alla stessa udienza e sono stati successivamente riuniti in secondo grado, mentre il passaggio in giudicato della sentenza pronunciata nei confronti del socio accomandatario rende ormai definitivo l’accertamento contenuto in quella pronuncia che non può più essere rimesso in discussione.

6. Il secondo motivo è inammissibile.

Va, in primo luogo, rilevato che per il questionario previsto dal citato art. 32 non è previsto il procedimento notificatorio, ma il mero “invio” anche a mezzo del servizio postale.

In secondo luogo, il ricorrente lamenta che la notifica del questionario non sia stata validamente eseguita, atteso che nella relata redatta dal messo notificatore risulterebbe soltanto la dizione “trasferita”, di per sè non idonea a giustificare il ricorso al meccanismo notificatorio di cui al citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, ma tale doglianza contrasta con l’accertamento di fatto svolto dai giudici di merito, non sindacabile in questa sede, i quali hanno rilevato che l’Amministrazione finanziaria ha documentalmente provato l’irreperibilità dei destinatari legittimante il ricorso alla notifica D.P.R. n. 600 del 1973 ex art. 60.

In ogni caso, la questione è del tutto irrilevante, poichè in tema di accertamento sintetico, l’omesso invio del questionario di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, al fine di acquisire dati, notizie e chiarimenti, non invalida l’atto impositivo, trattandosi di una facoltà discrezionale dell’Amministrazione finanziaria, avente lo scopo di assicurare un dialogo tra fisco e contribuente per evitare l’instaurazione di un contenzioso giudiziario. (Cass., sez. 5, ordinanza n. 27851 del 31/10/2018).

7. Anche il terzo motivo non si sottrae alla declaratoria d’inammissibilità.

Secondo un principio già espresso da questa Corte, l’invio del questionario da parte dell’Amministrazione finanziaria, previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 4, per fornire dati, notizie e chiarimenti, assolve alla funzione di assicurare – in rispondenza ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarietà della materia tributaria – un dialogo preventivo tra fisco e contribuente per favorire la definizione delle reciproche posizioni, sì da evitare l’instaurazione del contenzioso giudiziario, rimanendo legittimamente sanzionata l’omessa o intempestiva risposta con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa (Cass. n. 10489 del 14/5/14; Cass. n. 27069 del 27/12/16).

All’inutilizzabilità della documentazione conseguente all’omessa o intempestiva risposta al questionario non osta il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 2, che consente alle parti nel rito tributario la produzione di documenti anche nel giudizio di appello, non potendo tale disposizione trovare applicazione rispetto a documenti su cui si è già prodotta la decadenza (Cass. n. 10489 del 14/5/2014; Cass. n. 22745 del 9/11/2016).

Neppure l’inosservanza del termine per la produzione dei documenti deve ritenersi sanata quando la controparte non abbia sollevato la relativa eccezione in sede di discussione della causa dinanzi al collegio, in quanto il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, non si limita a prevedere l’eventuale assegnazione alle parti di un termine entro cui dedurre prove e produrre documenti, ma stabilisce espressamente la natura perentoria di detto termine, in tal modo sottraendolo alla disponibilità delle parti (Cass. n. 22745 del 2016 cit.).

Il tenore letterale del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, commi 4 e 5, consente di enucleare una efficacia automatica della sanzione di inutilizzabilità della documentazione prodotta tardivamente, in presenza dei presupposti ivi previsti, in quanto la comminatoria è direttamente ed oggettivamente riferita agli stessi e non è stabilito alcun ulteriore meccanismo di attivazione di parte, al contrario di quanto avviene per la deroga all’inutilizzabilità che deve essere fatta valere dal contribuente, con le modalità ivi previste, entro il termine per il deposito dell’atto introduttivo di primo grado (Cass. n. 5734 del 23/3/2016).

La Commissione regionale, affermando che la produzione è tardiva perchè effettuata in prossimità dell’udienza del 23 settembre 2011, anzichè nella fase precontenziosa, ha fatto buon governo dei principi sopra richiamati.

8. Il quarto motivo va rigettato.

I giudici regionali, pronunciandosi sulla richiesta di riconoscimento di una incidenza in misura percentuale dei costi sui ricavi dichiarati, avanzata dal ricorrente, l’hanno disattesa sul presupposto che nel caso in esame l’Amministrazione ha proceduto ad una ricostruzione analitica dei ricavi, rettificando quelli dichiarati “in difetto di documentazione giustificativa dei costi dedotti”.

Così motivando, la Commissione regionale ha escluso la sussistenza di costi deducibili proporzionalmente correlabili ai maggiori ricavi accertati, in quanto la documentazione tardivamente prodotta non documentava costi da dedurre, e non è, pertanto, incorsa nella violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, che pone a carico del contribuente l’onere di fornire la prova della sussistenza, dell’entità e dell’inerenza dei costi (Cass. n. 1709 del 26/1/2007; Cass. n. 10269 del 26/4/2017; Cass. n. 21184 del 8/10/2014).

Occorre, al riguardo, rammentare che la norma di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), legittima la presunzione, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di un reddito maggiore di quello dichiarato dal contribuente sulla base di elementi indiziari dotati dei caratteri della gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c.. In presenza di tale presupposto la norma non impone altro onere all’Amministrazione, ma piuttosto onera il contribuente a offrire la prova contraria, in particolare quella dell’esistenza di costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione alla attività. Inoltre, poichè nei poteri dell’Amministrazione finanziaria rientra anche la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi esposti nelle dichiarazioni, con negazione della deducibilità dei costi sproporzionati ai ricavi e all’oggetto dell’impresa, l’onere della prova dell’inerenza dei costi, gravante sul contribuente, comprende anche la congruità dei medesimi (Cass. 25/2/2010, n. 4554).

In tema di imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria deve riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto in caso di accertamento induttivo “puro” D.P.R. n. 600 del 1973 ex art. 39, comma 2, mentre in caso di accertamento analitico o analitico presuntivo è il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’Ufficio possa, o debba, procedere al loro riconoscimento forfettario (Cass., sez. 5, ordinanza n. 22868 del 29/09/2017).

9. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Nulla deve disporsi in merito alle spese del giudizio di legittimità in assenza di attività difensiva dell’Agenzia delle entrate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2020

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