Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 859 del 19/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 19/01/2021, (ud. 02/12/2020, dep. 19/01/2021), n.859

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – rel. Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23653-2018 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA

(OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

Contro

A.N.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 62/2018 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 25/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/12/2020 dal Presidente Relatore Dott. DORONZO

ADRIANA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

A.N., medico iscritto ad un corso di specializzazione per le professioni sanitarie in anni accademici anteriori al 2006/2007, ha agito in giudizio nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dell’Università degli Studi di Messina, del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, del Ministero dell’Economia e delle Finanze, della Presidenza della Regione siciliana e della Assessorato regionale alla Sanità, per chiedere tra le altre plurime domande il risarcimento del danno derivante da tardiva o parziale attuazione della direttiva comunitaria, da quantificarsi nella differenza tra quanto percepito in base al D.Lgs. n. 257 del 1991 e quanto riconosciuto agli specializzandi a partire dall’anno accademico 2006-2007;

rigettata dal Tribunale di Messina, la domanda è stata accolta dalla Corte d’appello che ha, pertanto, condannato il Ministero dell’istruzione dell’Università e della ricerca al risarcimento del danno da liquidarsi in favore dell’appellante e per ogni anno accademico, fino al 2006-2007, di svolgimento da parte della ricorrente di corsi di specializzazione, nella misura pari alla differenza tra il trattamento percepito e quello dovuto in base al D.P.C.M. 7 marzo 2007, al D.P.C.M. 6 luglio 2007 e al D.P.C.M. 2 novembre 2007, oltre accessori;

contro la sentenza il MIUR propone ricorso per cassazione; la A. non svolge attività difensiva;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico articolato motivo di ricorso, il Ministero ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 di un complesso di norme (art. 11 disp. gen.; D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6; D.Lgs. cit., artt. 37, 39, 41 e 46; D.Lgs. n. 517 del 1999, art. 8; L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 300; artt. 5 e 189, comma 3, trattato CEE (ora artt. 10 e 149 nella versione consolidata di Nizza); delle direttive n. 82/76; 75/363; 75/362; dell’art. 13 e 16 della Direttiva n. 82/76 CEE e dell’art. 1, comma 1, della Direttiva n. 93/16, nonchè dei principi enunciati dalla Corte di Giustizia nella sentenza 25/2/1999-causa C131/97 (Carbonari) e 3/10/2000-causa C-371/97 (Gozza); del D.L. n. 384 del 1992, art. 7, convertito nella L. n. 438 del 1992; L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 36; della L. 2 dicembre 1995, n. 549, art. 1, comma 33; della L. n. 449 del 1997, art. 32, comma 12; della L. n. 488 del 1999, art. 22; della L. n. 289 del 2002, art. 36); contesta la sussistenza dell’inadempimento dello Stato nel dare attuazione alle direttive Euro unitarie e assume che la scelta di prevedere nel 1999 un trattamento migliore di quello previsto con il D.Lgs. n. 257 del 1991, in sede di prima attuazione della normativa comunitaria, non attribuisce ex se in capo a coloro che hanno frequentato le scuole di specializzazione tra il 1991 del 2006 il diritto soggettivo all’applicazione retroattiva della nuova disciplina;

il motivo è manifestamente fondato;

la decisione della Corte territoriale non risulta conforme all’indirizzo di questa Corte, già espresso con le sentenze Cass. 28/6/2018, n. 17051 (in linea con Cass.16/01/2014, n. 794, e Cass. 4/07/2014, n. 15362, espressamente richiamate nella ordinanza del 14/3/2018, n. 6355; v. pure Cass. 24/05/2019, n. 14168, che richiama Cass. 23/2/2018, n. 4449), ed al quale si intende dare continuità, secondo cui il recepimento delle direttive comunitarie che hanno previsto una adeguata remunerazione per la frequenza delle scuole di specializzazione (direttive non applicabili direttamente nell’ordinamento interno, in considerazione del loro carattere non dettagliato) è avvenuto con la L. 29 dicembre 1990, n. 428, e con il D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257 (che ha riconosciuto agli specializzandi una borsa di studio pari ad Euro 11.603,52 annui), e non in forza del nuovo ordinamento delle scuole di specializzazione di cui al D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368;

quest’ultimo decreto, nel recepire la direttiva CEE n. 93/16 (che ha codificato, raccogliendole in un testo unico, le precedenti direttive n. 75/362 e n. 75/363, con le relative successive modificazioni), ha riorganizzato l’ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, istituendo e disciplinando un vero e proprio contratto di formazione (inizialmente denominato “contratto di formazione lavoro” e successivamente “contratti formazione specialistica”) da stipulare, e rinnovare annualmente, tra Università (e Regioni) e medici specializzandi, con un meccanismo di retribuzione articolato in una quota fissa ed una quota variabile, in concreto periodicamente determinate da successivi decreti ministeriali; tale contratto, secondo l’indirizzo ormai consolidato di questa Corte, non dà luogo ad un rapporto inquadrabile nell’ambito del lavoro subordinato, nè è riconducibile alle ipotesi di parasubordinazione, non essendo ravvisabile una relazione sinallagmatica di scambio tra l’attività degli specializzandi e gli emolumenti previsti dalla legge, restando conseguentemente inapplicabili l’art. 36 Cost. ed il principio di adeguatezza della retribuzione ivi contenuto (cfr., ex plurimis: Cass., 19/11/2008, n. 27481; Cass. 22/9/2009 n. 20403; Cass. 27/7/2017, n. 18670);

ai sensi della L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 300, peraltro, gli effetti delle nuove disposizioni, contenute nel D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. da 37 a 42 (le quali prevedono sia la stipula del nuovo contratto di formazione, con gli specifici obblighi che ne derivano, sia il corrispondente trattamento economico), sono applicabili solo a decorrere dall’anno accademico 2006/2007;

il trattamento economico spettante ai medici specializzandi in base al contratto di formazione specialistica è stato in concreto fissato con i D.P.C.M. 7 marzo 2007, D.P.C.M. 6 luglio 2007 e D.P.C.M. 2 novembre 2007; per gli iscritti alle scuole di specializzazione negli anni accademici precedenti al 2006/2007 è stato espressamente disposto che continuasse ad operare la precedente disciplina di cui al D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257 (sia sotto il profilo ordinamentale che sotto il profilo economico);

la direttiva CEE n. 93/16 non ha carattere innovativo, con riguardo alla misura dei compensi da riconoscersi agli iscritti alle scuole di specializzazione;

la previsione di una adeguata remunerazione per i medici specializzandi è infatti contenuta nelle precedenti direttive n. 75/362, n. 75/363 e n. 82/76 (le cui disposizioni la direttiva n. 93/16 si limita a recepire e riprodurre senza alcuna modifica), e i relativi obblighi risultano già attuati dallo Stato italiano con l’introduzione della borsa di studio di cui al D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257;

l’importo della predetta borsa di studio è da ritenersi di per sè sufficiente ed idoneo adempimento degli indicati obblighi comunitari, rimasti immutati dopo la direttiva n. 93/16, quanto meno sotto il profilo economico, come confermano le pronunzie di questa Corte che ne hanno riconosciuto l’adeguatezza, nella sua iniziale misura, anche a prescindere dagli ulteriori incrementi connessi alla svalutazione monetaria, originariamente previsti dallo stesso D.Lgs. n. 257 del 1991 e poi sospesi dalla successiva legislazione, sottolineando che “nella disciplina comunitaria non è rinvenibile una definizione di retribuzione adeguata, nè sono posti i criteri per la determinazione della stessa (vedi: Cass. 26 maggio 2001 n. 11565)” (Cass., 15/6/2016, n. 12346; Cass. n. 6355/2018, cit.);

l’indirizzo trova indiretta conferma nella stessa sentenza n. 432 del 23 dicembre 1997 della Corte Costituzionale, che ha escluso l’illegittimità costituzionale delle disposizioni legislative che avevano disposto la sospensione degli adeguamenti della borsa alla svalutazione monetaria); il nuovo ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia introdotto con il D.Lgs. n. 368 del 1999 (a decorrere dall’anno accademico 2006/2007, in base alla L. n. 266 del 2005), e il relativo meccanismo di retribuzione, non possono pertanto ritenersi il primo atto di effettivo recepimento ed adeguamento dell’ordinamento italiano agli obblighi derivanti dalle direttive comunitarie, in particolare per quanto riguarda la misura della remunerazione spettante ai medici specializzandi, ma costituiscono il frutto di una successiva scelta discrezionale del legislatore nazionale, non vincolata o condizionata dai suddetti obblighi;

devono dunque essere ribaditi i seguenti principi di diritto:

1.- gli obblighi di attuazione della normativa comunitaria in tema di adeguata remunerazione per la frequenza delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia derivanti dalle direttive CE n. 75/362, n. 75/363 e n. 82/76 – che non prevedono una precisa misura del compenso minimo spettante agli specializzandi – devono ritenersi adempiuti dallo Stato italiano con la borsa di studio introdotta dal D.Lgs. n. 257 del 1991, nella sua misura originaria;

2.- la direttiva comunitaria n. 93/16 non introduce alcun nuovo ed ulteriore obbligo con riguardo alla misura della suddetta adeguata remunerazione;

3. la previsione di un trattamento economico più elevato per i medici specializzandi, a decorrere dall’anno accademico 2006/2007, in coincidenza con la riorganizzazione dell’ordinamento delle scuole di specializzazione e con l’introduzione del contratto di formazione specialistica operate nell’ordinamento interno con il D.Lgs. n. 368 del 1999 costituisce il primo atto di adempimento dei suddetti obblighi comunitari in relazione all’adeguatezza della remunerazione, e non comporta alcun obbligo dello Stato di estendere il nuovo trattamento economico ai medici che hanno frequentato le scuole di specializzazione negli anni accademici anteriori al 2006/2007;

l’indirizzo di questa Corte cui si intende dare continuità nella presente sede solo apparentemente potrebbe risultare contraddetto da due identiche e coeve decisioni della stessa Sezione Lavoro (Cass., Sez. L, Sentenze n. 8242 e 8243 del 22/04/2015), la cui motivazione non affronta peraltro espressamente la problematica relativa alla fattispecie fin qui illustrata (cioè quella relativa alla situazione degli iscritti ai corsi di specializzazione negli anni accademici successivi al 1998 ed anteriori al 2006/2007), e richiama invero gli indirizzi espressi da questa Corte in relazione alla diversa situazione dei medici che avevano frequentato le scuole di specializzazione anteriormente al 1991;

conseguentemente, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata, non essendosi la corte territoriale adeguata il principio di diritto già enunciato da questa Corte; non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito con il rigetto della pretesa attorea;

le spese dell’intero giudizio possono essere integralmente compensate, sussistendo motivi sufficienti a tal fine, in considerazione della novità delle questioni trattate in sede di merito e delle oggettive oscillazioni giurisprudenziali in relazione alle stesse.

P.Q.M.

La Corte accoglie ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda attorea. Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2021

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