Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 859 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. III, 17/01/2020, (ud. 27/06/2019, dep. 17/01/2020), n.859

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14202/2018 proposto da:

R.M.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE BRUNO

BUOZZI 82, presso lo studio dell’avvocato GREGORIO IANNOTTA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONELLA IANNOTTA;

– ricorrente –

contro

I.M.M.S., quale erede universale di

C.S.S.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TUNISI

4, presso lo studio dell’avvocato MONICA BUTTARAZZI, rappresentata e

difesa dall’avvocato CHRISTIAN GIANGRANDE;

– controricorrente –

e contro

S.F.C.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2647/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/06/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La ricorrente, R.M., ha convissuto con S.F.C. fino alla morte di quest’ultimo.

Afferma di aver concesso una delega al S. per operare su un suo conto corrente, su cui v’era un deposito di 1.033,000 Euro.

Nel (OMISSIS) il S. ha prelevato l’intera somma, girandola sul proprio conto corrente, sul quale ha però concesso delega ad operare alla R.; infine, deceduto il S., i figli si sono appropriati della somma, nonostante la diffida della R..

Quest’ultima dunque ha agito nei confronti degli eredi del S., facendo valere come illegittimo il bonifico fatto da quest’ultimo a proprio favore dell’intera somma presente sul conto corrente della ricorrente, e di conseguenza illegittima l’appropriazione della somma da parte degli eredi, ed invocando dunque la restituzione dell’intero.

Sia il giudice di primo grado che quello di appello hanno respinto la domanda, sul presupposto che non avendo la R. per circa un anno dal prelievo fatto valere le sue ragioni, ciò era segno che v’era un accordo che consentiva al S. il prelievo a suo favore.

Ricorre la R. con tre motivi. V’è costituzione degli intimati, con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- La ratio della decisione impugnata è cosi riassumibile. Secondo i giudici di appello, il fatto che, per un anno circa da quando il S. si è appropriato della somma, girandola sul suo conto, la R. non ha manifestato alcuna opposizione, indica l’esistenza di un accordo volto a consentire il trasferimento dei fondi.

E ciò, a maggior ragione se si considera che la ricorrente aveva delega ad operare sul conto su cui le somme sono state trasferite.

Il fatto che tali somme, poi, siano rimaste un anno e mezzo circa sul conto del S. fa presumere che costui ne avesse la proprietà, e dunque ciò inverte l’onere della prova dell’obbligo restitutorio a sfavore della ricorrente.

L’accordo che la corte di merito presume raggiunto tra i due non sarebbe un contratto con se stesso, ma ha dato vita ad una delega, che autorizzava il S. a prelevare.

2.- La ricorrente propone tre motivi.

Con il primo denuncia violazione delle norme in materia di presunzioni, ed in particolare dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 2721 c.c..

Quest’ultima norma, come è noto, impedisce la testimonianza per provare contratti dal valore superiore ad Euro 2,58. Nel contempo, l’art. 2729 c.c., impedisce il ricorso alle presunzioni nei casi in cui è vietata la testimonianza. Conseguentemente, la corte avrebbe violato la regola in quanto ha presunto l’esistenza di un accordo volto a trasferire un milione di Euro. Non poteva ricorrere alla presunzione perchè non poteva ricorrere, dato il valore dell’accordo, alla testimonianza.

2.1.- Con il secondo motivo denuncia violazione sia dell’art. 2043 c.c., che dell’art. 2697 c.c..

In sostanza, la corte ha ritenuto che, poichè le somme erano sul conto del S., si doveva presumere che fossero anche di sua proprietà, e che quindi era onere della R. dimostrare la sua pretesa di restituzione.

La violazione denunciata starebbe nel fatto che la corte ha presunto la proprietà di somme, che erano invece, oggettivamente, per come pacifico, provento di un eccesso di delega, o meglio, dell’appropriazione indebita, e dunque non poteva presumersi che chi se ne era appropriato non potendolo fare, ne diventava proprietario, con conseguente onere suo, e non della rivendicante, di provare il legittimo possesso del denaro, o un titolo che lo giustificasse.

2.2.- Con il terzo motivo invece denuncia violazioni dell’art. 1395 c.c..

La corte ha negato che l’accordo, da essa stessa presunto, fosse un contratto con se stesso, ritenendo invece che integrasse una delega ad operare sul conto, e ciò l’ha portata a non considerare che occorreva l’autorizzazione di cui all’art. 1387 c.c., per prelevare l’intera somma.

3.- Il ricorso è inammissibile, per un difetto di autosufficienza determinante. Invero, non è riferito quale fosse il contenuto della delega ad operare sul conto, fatta dalla ricorrente al suo convivente. Indicazione necessaria a stabilire i poteri attribuiti al delegato, ossia al convivente, relativamente agli atti da compiere sul conto corrente.

Questo esito presuppone che si valuti comunque il terzo motivo, che è infondato per quanto segue.

Come sopra detto, la ricorrente ritiene che gli atti (ed ossia il prelevamento di ogni somma) compiuti dal convivente sul conto costituissero un contratto con se stesso non autorizzato.

In realtà, si tratta di una procura a compiere attività sul conto, e non di un contratto con se stesso, il quale come è noto non esiste come tipo contrattuale. Il contratto con se stesso è solo un caso di conflitto di interessi che ricorre ogni volta che il rappresentante (e tale non era il S.) stipula con se stesso, cosi che è nello stesso tempo parte sia in proprio sia in rappresentanza dell’altro, in conflitto per l’appunto di interessi.

La procura conferita al S. dalla R. ad agire sul conto non costituiva investitura di un potere rappresentativo, rivolta a stipulare contratti con i terzi, ed usata invece per stipulare con se stesso. E’ infatti regola che ” l’accordo tra il cliente e la banca in base al quale anche altro soggetto (a ciò delegato) è autorizzato a compiere operazioni sul conto corrente, spiega unicamente l’effetto, per le operazioni e nei limiti di importo stabiliti, di vincolare la banca a considerare alla stessa stregua di quella del delegante la firma del delegato, e non comporta anche il conferimento a quest’ultimo di un potere generale di agire in rappresentanza del delegante per il compimento di qualsiasi tipo di atto negoziale riferibile al conto” (Cass. 11866/ 2007)”.

Ciò rendeva necessario riportare il contenuto di quell’atto, o illustrarlo, oppure allegrane copia, in modo da consentire di individuare entro quali limiti il S. potesse operare sul conto e dunque se vi abbia effettivamente esorbitato.

Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, nella misura di 7200,00 Euro, oltre 200,00 Euro di spese generali, dando atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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