Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8589 del 07/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 07/05/2020, (ud. 05/12/2019, dep. 07/05/2020), n.8589

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25297/12 R.G. proposto da:

D’ANGELO COSTRUZIONI S.R.L., in persona del legale rappresentante,

rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso,

dall’avv. Antonio Comella e dall’avv. Carla Comella, con domicilio

eletto presso lo studio dell’avv. Paolo Mazzoli, in Roma viale

Parioli, n. 44;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della

Campania n. 249/7/12 depositata in data 31 maggio 2012;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 dicembre

2019 dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera.

Fatto

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti della società D’Angelo Costruzioni s.r.l. avviso di accertamento con il quale contestava l’indeducibilità di costi per Euro 300.932,00, relativi a fatture emesse dalla società Beton Campania s.r.l., ritenuti fittizi.

La contribuente impugnava l’atto impositivo deducendo che l’unica fonte di prova era costituita dal processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza e produceva due perizie di parte, di cui una tecnica ed una contabile, indicanti le quantità di calcestruzzo impiegate per l’esecuzione dei lavori appaltati ed evidenzianti le modalità di pagamento delle fatture a mezzo di assegni bancari non trasferibili.

I giudici di primo grado accoglievano il ricorso, motivando che l’onere di dimostrare l’inesistenza oggettiva delle operazioni gravava sull’Amministrazione, che non poteva limitarsi ad elencare le fatture senza avere effettuato ulteriori accertamenti che potessero dimostrare la falsità di quei documenti.

Proposta impugnazione dall’Ufficio, la Commissione regionale della Campania, riformando la sentenza di primo grado, confermava l’atto di accertamento, ritenendo che gli elementi presuntivi offerti dall’Ufficio fossero gravi, precisi e concordanti.

In particolare, rilevava che i verificatori, esaminando la documentazione contabile ed extracontabile, avevano ritenuto inesistenti le operazioni indicate dalla Beton Campania s.r.l. “con un cerchietto pieno redatto con inchiostro rosso” e che, analizzando i documenti di trasporto allegati alle fatture, avevano presunto la loro redazione “a tavolino”, stante l’assenza di piegature, la mancanza di annotazioni, la medesima grafia nella indicazione degli orari, la medesima firma del destinatario, lo scarico di calcestruzzo senza la prestazione di pompa e il trasporto a pieno carico.

Evidenziava pure che la Guardia di Finanza aveva accertato che la società risultava intestataria di un’autovettura Mercedes A 180, aveva stipulato un contratto di leasing auto relativo ad un’autovettura Maserati e non teneva in modo regolare le scritture contabili.

Dando atto, inoltre, di conoscere l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui alle perizie di parte poteva riconoscersi il solo valore di meri indizi, il cui apprezzamento era affidato alla valutazione discrezionale del giudice di merito, che non era obbligato a tenerne conto, osservava, con specifico riferimento alla perizia contabile, che il pagamento delle fatture era avvenuto con assegni bancari, ma a distanza di pochi giorni dalla emissione delle stesse, con cadenza regolare, circostanza questa che creava il sospetto che si trattasse di pagamenti fittizi riferiti a fatture emesse per operazioni inesistenti; aggiungeva che in ogni caso la produzione degli assegni bancari di per sè non provava l’effettività delle operazioni sottostanti.

Ricorre per la cassazione della suddetta decisione la società contribuente, con tre motivi, ulteriormente illustrati con memorie.

L’Agenzia delle Entrate ha depositato atto di costituzione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la contribuente deduce “violazione di norme di diritto in ordine all’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., in connessione agli artt. 115,116 e 345 c.p.c.”.

Premettendo che la pretesa fiscale trae origine da una verifica fiscale eseguita nei confronti della Beton Campania s.r.l. e che il processo verbale di constatazione redatto a carico della medesima società non è stato mai portato a sua conoscenza, lamenta che l’atto di appello dell’Ufficio era privo di specifiche contestazioni e che l’allegazione in appello di stralcio del processo verbale di constatazione non soddisfava l’onere della prova gravante sull’Amministrazione, contenendo generici elementi indiziari non idonei a supportare l’accertamento presuntivo.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia “falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla ratio decidendi, in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, su punto decisivo della controversia” e addebita alla Commissione regionale di avere ritenuto sussistenti indizi gravi, precisi e concordanti sulla base di una falsa rappresentazione dei fatti e di un’erronea valutazione delle prove presuntive offerte e di avere basato la ritenuta fittizità delle operazioni contestate su elementi privi di qualsivoglia valenza probatoria.

3. Con il terzo motivo la contribuente deduce “omessa valutazione degli elementi di prova proposti dalla ricorrente in violazione dell’art. 115 c.p.c., omessa valutazione di argomenti di prova in violazione dell’art. 116 c.p.c., in connessione all’art. 2697 c.c. su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134”.

Ribadisce che la prova dell’effettività della fornitura e dell’impiego del calcestruzzo indicato nelle fatture contestate è stata data in primo ed in secondo grado mediante la produzione di due perizie asseverate, alle quali sono stati allegati documenti idonei a superare gli elementi indiziari offerti dall’Agenzia delle entrate, che il giudice di appello non aveva preso in esame, ma che risultavano decisivi per dimostrare la reale costruzione delle opere edili e le quantità di calcestruzzo necessarie per la realizzazione di tali opere.

4. Con la memoria illustrativa del 4 marzo 2014 la ricorrente, richiamando la sentenza delle Sezioni Unite n. 13916 del 16 giugno 2006, ha dedotto l’efficacia preclusiva che nel presente giudizio spiega la sentenza di appello n. 150/52/13 – allegata alla memoria – pronunciata dalla Commissione tributaria regionale della Campania che, pronunciando con riguardo al contestuale accertamento svolto dall’Amministrazione in relazione all’anno d’imposta 2006, fondato sugli stessi presupposti di fatto e sui medesimi elementi indiziari tratti dallo stesso processo verbale di constatazione redatto a carico della Beton Campania s.r.l., ha ritenuto di annullare l’avviso di accertamento per inesistenza della prova della falsità delle fatture contestate.

4.1. L’eccezione di giudicato è infondata.

4.2. Secondo i principi enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 13916 del 2006, in relazione alle imposte sui redditi, il giudicato esterno non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi di imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili) e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente.

4.3. Ne consegue che la sentenza con la quale si accertano il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta fa stato con riferimento alle imposte dello stesso tipo dovute per altri anni solo per quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi a una pluralità di periodi di imposta, assumano carattere tendenzialmente permanente, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l’accertamento relativo ai diversi anni si fondi su presupposti di fatto potenzialmente mutevoli (Cass. n. 20029 del 30/9/2011; Cass. n. 13079 del 25/7/2012).

4.4. Nel caso di specie con gli avvisi di accertamento relativi agli anni di imposta 2005 e 2006 si contestano rilievi che, sebbene scaturenti da una medesima verifica fiscale, attengono a circostanze di fatto potenzialmente mutevoli, quali le spese deducibili, e, pertanto, risulta evidente che la definitività delle statuizioni contenute nella sentenza pronunciata con riguardo all’anno 2006 non può spiegare effetti preclusivi nel presente processo in relazione alle imposte dirette.

4.5. Con riguardo alla pretesa fiscale in materia di I.V.A., va ribadito che esse sono soggette a norme comunitarie imperative, la cui applicazione non può essere ostacolata dal carattere vincolante del giudicato nazionale, previsto dall’art. 2909 c.c., e dalla eventuale sua proiezione anche oltre il periodo di imposta che ne costituisce specifico oggetto, ove gli stessi impediscano – secondo quanto stabilito dalla sentenza della Corte di giustizia del 3 settembre 2009, in causa C-2/08 – la realizzazione del principio di contrasto dell’abuso del diritto, individuato dalla giurisprudenza comunitaria come strumento teso a garantire la piena applicazione del sistema armonizzato di imposta (Cass. n. 16996 del 5/10/2012; Cass. n. 8855 del 4/5/2016; Cass. n. 9710 del 19/4/2018).

Ciò è sufficiente per escludere che la sentenza n. 150/52/13 della Commissione tributaria regionale della Campania possa costituire giudicato esterno con riferimento alle pretese in materia di I.V.A. fatte valere dall’Amministrazione finanziaria in questa sede.

5. Le censure dedotte con il primo motivo sono inammissibili.

5.1. Nella specie la ricorrente non sviluppa argomentazioni in diritto sulla denunciata violazione dell’art. 2697 c.c. nel senso inteso dalla giurisprudenza di legittimità in tema di motivi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, posto che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. è configurabile nella sola ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma (Cass. n. 15107 del 17 giugno 2013; Cass. n. 13602 del 30/5/2018).

La contribuente si duole piuttosto del fatto che l’Amministrazione finanziaria solo nel giudizio di appello ha allegato uno stralcio del processo verbale di constatazione redatto a carico della Beton Campania s.r.l., che avrebbe dovuto invece essere prodotto in primo grado a dimostrazione della dedotta inesistenza delle operazioni fatturate, ma tale censura è infondata se si considera che nel giudizio tributario è consentita, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, la produzione di nuovi documenti e che essa, così come formulata, pone un problema di stretto merito.

5.2. Anche gli ulteriori profili di doglianza, dedotti con il mezzo in esame, che investono la valutazione della prova, attività regolata, invece, dagli artt. 115 e 116 c.p.c., sono inammissibili.

Infatti, in materia di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass., sez. 3, n. 11892 del 10/06/2016; Cass., sez. 3, n. 20382 del 11/10/2016; Cass., sez. 1, n. 4699 del 28/2/2018).

Neppure è configurabile violazione dell’art. 116 c.p.c., posto che in tema di ricorso per cassazione, la violazione di tale disposizione normativa, che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass., sez. 3, n. 11892 del 10/06/2016).

6. Va, parimenti, dichiarata l’inammissibilità del secondo motivo di ricorso.

La censura, per come illustrata, sottende in realtà una diversa doglianza volta ad ottenere una differente valutazione del materiale probatorio.

Infatti la ricorrente sostiene che i giudici di appello, procedendo ad una lettura superficiale degli atti di causa e dando rilevanza ad elementi presuntivi non caratterizzati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza, sarebbero addivenuti ad una falsa rappresentazione dei fatti ed ad una errata valutazione degli stessi e aggiunge che nella decisione impugnata figurano altri elementi, quali l’intestazione dell’autovettura Mercedes ed il contratto di leasing per l’autovettura Maserati, del tutto inconferenti ai fini del procedimento presuntivo e, peraltro, non riferibili all’anno d’imposta in contestazione, ma all’anno 2007.

La contribuente muove contestazioni che ripercorrono i motivi di appello e chiede in sostanza una nuova valutazione del medesimo materiale probatorio, pretendendo, sotto l’apparente deduzione di una falsa applicazione di legge, di ottenere una diversa ricostruzione in fatto rispetto a quella operata dalla Commissione regionale.

La dedotta violazione di legge non è ravvisabile alla luce dell’insegnamento di questa Corte (Cass. n. 24298 del 29/11/2016), secondo cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena d’inammissibilità, giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni del tutto esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo a questa Corte di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione.

7. Il terzo motivo è infondato.

7.1. La contribuente lamenta che i giudici di appello, nella valutazione della prova da essa offerta per vincere quella presuntiva dell’Ufficio, hanno omesso di prendere in esame la relazione tecnica di parte compendiata di documenti comprovanti la effettiva esecuzione delle opere edili e quindi la fornitura delle quantità di calcestruzzo indicate nelle fatture emesse dalla Beton Campania s.r.l. ritenute, invece, fittizie dall’Ufficio.

Assume che il corretto esame e la valutazione dei documenti allegati alla perizia tecnica di parte prodotti nel giudizio di merito avrebbero permesso di accertare l’infondatezza dei rilievi contestati dall’Amministrazione finanziaria.

7.2. In primo luogo deve rilevarsi che, nel processo tributario, la perizia stragiudiziale, come pure le perizie estimative, prodotte dal contribuente, hanno contenuto di allegazione difensiva a contenuto tecnico e non sono dotate di efficacia probatoria nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di avere accertato.

Infatti, non essendo prevista dall’ordinamento la precostituzione fuori del giudizio di un siffatto mezzo di prova, ad essa si può riconoscere solo valore di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, il cui apprezzamento è affidato alla valutazione discrezionale del giudice di merito, ma della quale non è obbligato in nessun caso a tenerne conto (Cass. 19 maggio 1997, n. 4437).

7.3. In secondo luogo, la ricorrente si è limitata ad indicare genericamente i documenti allegati alla perizia tecnica di parte e non considerati dal giudice di merito (contratti di appalto, verbali di collaudo della P.A., stati di avanzamento dei lavori), senza alcuna specifica indicazione o trascrizione del contenuto di essi o quanto meno della parte significativa di essi, onde consentire di valutarne l’attinenza e la decisività, che per il principio dell’autosufficienza questa Corte deve essere in grado di compiere sulla base delle sole deduzioni contenute in ricorso, senza il sussidio di altre fonti e senza svolgere indagini integrative (Cass. n. 20028 del 30/9/2011; Cass. n. 13625 del 21/5/2019), risultando a tal fine irrilevante la sola produzione dei documenti, che non consente di verificare se la censura rivolta alla sentenza si risolve in una affermazione priva di riscontro.

8. In conclusione, il ricorso va rigettato, senza alcuna conseguenza in punto di spese non avendo la resistente svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 dicembre 2019.

Depositato in cancelleria il 7 maggio 2020

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