Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8588 del 26/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 26/03/2021, (ud. 21/01/2021, dep. 26/03/2021), n.8588

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31526-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

FEDERAL EXPRESS CORPORATION – FILIALE ITALIANA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

CASTRO PRETORIO, 122, presso lo studio dell’avvocato TONIO DI

IACOVO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4628/11/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LOMBARDIA, depositata il 29/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MICHELE

CATALDI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1.Risulta dalla sentenza impugnata che la società contribuente Federal Expresso Corporation (FedEx), dopo avere presentato la dichiarazione Iva per l’anno 2008, dalla quale emergeva una eccedenza di imposta, presentava in data (OMISSIS) una dichiarazione integrativa “a sfavore”, con la quale rettificava in riduzione l’eccedenza di imposta precedentemente esposta per il precedente esercizio 2008.

L’Agenzia delle Entrate ha, pertanto, emesso un provvedimento di irrogazione di sanzioni, pari al 100% della differenza tra l’eccedenza dichiarata e quella spettante, per violazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 5, comma 4, per avere la contribuente esposto un’ eccedenza detraibile superiore a quanto spettante.

La contribuente ha impugnato l’atto d’irrogazione delle sanzioni, sostenendo la natura formale della violazione, che non aveva avuto effetti sull’imposta, in quanto dalla dichiarazione emendata non emergeva alcun debito, ma solo un minor credito Iva rispetto a quello già erroneamente dichiarato, la cui parte eccedente e non spettante non era stata comunque utilizzata.

La Commissione tributaria provinciale di Milano ha solo parzialmente accolto il ricorso, riducendo l’importo della sanzione, per effetto dello ius superveniens di cui al D.Lgs. n. 158 del 2015, al 90% della differenza.

La Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la sentenza n. 4628/11/2018 del 29 ottobre 2018, ha accolto l’appello della contribuente. Ha ritenuto il giudice di appello che la contribuente, dichiarando ii credito in misura superiore a quella effettivamente spettante, ma non utilizzandolo per la parte erroneamente dichiarata in eccedenza e versando le dovute imposte, avesse commesso una violazione solo formale, non sanzionabile.

Propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, affidandolo ad un unico motivo; resiste con controricorso la società contribuente. La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

La contribuente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 2, comma 8; del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5; e del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 5-bis, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto non sanzionabile la presentazione di una dichiarazione Iva, successivamente rettificata, nella quale era stata esposta un’eccedenza di imposta non dovuta, senza che a tale violazione si sia accompagnato l’omesso versamento delle imposte.

Assume l’Ufficio che la dichiarazione infedele ai fini Iva, pur rettificabile ai fini del tributo, non preclude l’applicazione delle sanzioni.

Sostiene il ricorrente la natura non meramente formale della violazione.

Preliminarmente, va rigettata l’eccezione di inammissibilità del motivo per non avere il ricorrente raffrontato la ratio decidendi della sentenza impugnata con la giurisprudenza di questa Corte, risultando richiamati nel ricorso precedenti di legittimità.

Il motivo è infondato.

Non risulta invero censurato l’accertamento contenuto in sentenza, secondo cui l’originaria dichiarazione Iva della contribuente aveva esposto per l’esercizio 2008 un’eccedenza di imposta (“IVA a credito di Euro 1.494.947,00”) superiore a quella dovuta e che, a seguito della rettifica operata nel 2011, veniva esposta nuovamente una eccedenza di imposta, benchè di importo inferiore (“dichiarazione integrativa con la quale provvedeva a modificare il credito risultante dalla dichiarazione per il 2008 pari ad Euro 994.677,00”).

Parimenti risulta che la società contribuente ha assunto che, a norma del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5, comma 4, novellato dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, art. 15, l’esposizione di un’eccedenza di imposta non dovuta è sanzionabile proporzionalmente alla “maggior imposta dovuta” o alla “differenza di credito utilizzato”, rilevando che nel caso di specie non era stato accertato alcun utilizzo del credito in misura superiore a quella spettante, ma era stata sanzionata la sola esposizione di un’eccedenza in parte non dovuta. Inoltre, risulta che la contribuente ha invocato l’applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5-bis, e della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, assumendo che, nel caso concreto, la violazione contestata si era tradotta in una mera violazione formale senza alcun debito di imposta, non aveva arrecato pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non aveva inciso sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo

Ugualmente, risulta dall’atto di irrogazione delle sanzioni, riportato per specificità dallo stesso Ufficio ricorrente, che è stata sanzionata nel caso di specie la mera esposizione di una eccedenza di imposta non dovuta (“dall’originaria dichiarazione presentata emerge un’eccedenza detraibile superiore rispetto a quella spettante”), non anche l’utilizzo della stessa. Nella sostanza, il ricorrente Ufficio assume quindi che la dichiarazione andava sanzionata a norma del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5, comma 4, anche per il solo fatto di avere esposto una “eccedenza detraibile superiore a quella spettante”.

Fatte tali premesse, deve farsi applicazione del principio espresso da questa Corte, secondo cui – conformemente a quanto affermato dal medesimo Ufficio con Circolare 8/e del 17 aprile 2017 in tema di sanzioni applicabili in caso di dichiarazione infedele per il contribuente che si trovi a credito di imposta – la sanzione per infedele dichiarazione si riferisce a quella parte di credito non spettante effettivamente utilizzata dal contribuente, in assenza del cui utilizzo il contribuente non ha tratto alcun vantaggio dalla violazione, nè ha arrecato alcun danno all’Erario (Cass., Sez. V, 23 gennaio 2019, n. 1801).

Nello stesso senso, questa Corte ha già affermato che il riporto di una eccedenza di imposta in misura superiore a quella dovuta non è equiparabile all’indebito o fraudolento uso di tale credito, ove all’irregolarità formale della dichiarazione non segua il mancato versamento di imposte, cui solo è riconducibile un concreto danno erariale, non potendo ipotizzarsi un tentativo di illecito fiscale qualora il contribuente tenga una condotta in buona fede e non ponga in essere atti diretti all’utilizzo del maggior credito erroneamente riportato nelle dichiarazioni successive (Cass., Sez. V, 3 febbraio 2017, n. 2882; Cass., Sez. V, 24 maggio 2019, n. 14178; Cass., Sez. V, 30 giugno 2020, n. 13101).

La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi.

Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza.

Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2021

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