Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8577 del 06/04/2018

Cassazione civile, sez. I, 06/04/2018, (ud. 15/12/2017, dep.06/04/2018),  n. 8577

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha respinto tutte le domande svolte da GALA GROUP INVESTMENTS LIMITED nei confronti di GAMBLING ITALIA S.R.L. e GALA BINGO S.R.L.; ha accolto la domanda di inibitoria a carico di GALA GROUP INVESTMENTS LIMITED e di EUROBET ITALIA S.R.L. unipersonale dell’utilizzo del marchio “Gala Bingo” in ogni sua forma e del domanin name (OMISSIS), respingendo ogni altra domanda e regolando le spese di lite.

2. Il giudice di secondo grado, per quanto in questa fase ancora rileva, ha ritenuto che il marchio comunitario “(OMISSIS)”, di cui è titolare GALA GROUP INVESTMENTS LIMITED, non sia confondibile con il marchio italiano “(OMISSIS)”, di cui è titolare GAMBLING ITALIA S.R.L., atteso che i termini “casinò” e “bingo” sarebbero sufficientemente diversi e autonomamente identificanti l’attività, così da evitare ogni rischio di confusione nell’esercizio delle relative attività di impresa. Escluso il conflitto tra i marchi, il giudice distrettuale ha ritenuto legittimo l’uso della denominazione sociale Gala Bingo s.r.l. e del domain name (OMISSIS) da parte della stessa società; e ha ritenuto illecito l’uso, da parte di Eurobet s.r.l., società controllata da Gala Group, del domain name (OMISSIS), in quanto contraffattivo di quello legalmente utilizzato dalla Gala Bingo s.r.l.; ha inibito a Gala Group l’uso del marchio “(OMISSIS)” e del domain name (OMISSIS).

3. Per la cassazione della pronuncia GALA GROUP INVESTMENTS LIMITED ha proposto ricorso con cinque motivi, resistiti da GAMBLING ITALIA S.R.L. e GALA BINGO S.R.L. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La Corte rileva in via preliminare che la memoria depositata dalla ricorrente in data 6 dicembre 2017 ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, è tardiva rispetto al termine ivi fissato e che non vi è luogo a provvedere sull’istanza depositata dalla ricorrente e datata 11 dicembre 2017 con la quale il difensore chiede di essere “audito” nell’udienza camerale del 15 dicembre 2017, posto che l’ultimo alinea dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, espressamente esclude che le parti possano intervenire nella detta udienza.

2. Il ricorso lamenta:

2.1. Primo motivo: “Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 12, comma 1, lett. d), e art. 25, (Codice Proprietà Industriale) e dell’art. 9 del Reg. CE n. 207/2009, nonchè dell’art. 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, e mancata considerazione di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”, deducendo l’erroneità della sentenza impugnata laddove avrebbe negato la contraffazione del marchio comunitario “(OMISSIS)” ad opera del marchio “(OMISSIS)” delle resistenti, utilizzabili nella stessa classe merceologica e confondibili in astratto a prescindere dal contesto d’uso, unico criterio invece a essere stato esaminato dalla sentenza impugnata. A nulla rileverebbe in proposito la contumacia della ricorrente in fase di appello, posto che la falsa applicazione di legge denunciata risultava evidente anche sulla scorta del materiale a disposizione del giudice di secondo grado, che dimostrava la affinità dei marchi e il sicuro effetto confusorio determinato dal loro contemporaneo utilizzo.

2.2. Secondo motivo: “Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 12, comma 1, lett. d), e art. 25, (Codice Proprietà Industriale) e degli artt. 7 e 9 del Reg. CE n. 207/2009, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3”, deducendo l’erroneità della sentenza impugnata nell’applicazione dell’accertamento in concreto della confondibilità, siccome basato su una distorta interpretazione dei criteri ermeneutici applicabili in tema di capacità distintiva.

2.3. Terzo motivo: “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12, comma 1, lett. d), e art. 25 del Codice Proprietà Industriale e degli artt. 7 e 9 del Reg. CE n. 207/2009, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3”, deducendo l’erroneità della sentenza impugnata laddove avrebbe omesso di individuare il cuore del marchio – quand’anche debole – nella dicitura “(OMISSIS)”, rispetto al quale irrilevante era la questione dell’autonoma capacità distintiva della parola “Bingo” rispetto alla parola “Casinò”.

2.4. Quarto motivo: “Violazione e/o falsa applicazione del D.M. 31 gennaio 200, n. 29, artt. 1 e 2, e della L. 13 maggio 1999, n. 133, art. 16, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3”, deducendo l’erroneità della sentenza impugnata laddove avrebbe omesso di considerare che, anche alla luce del regolamento istitutivo del gioco del bingo, la relativa attività deve esse svolta in apposite sale e previa autorizzazione statale, esattamente come il casinò, di talchè erronea sarebbe la motivazione della Corte che su tale pretesa distinzione avrebbe distinto le due fattispecie.

2.5. Quinto motivo: “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e art. 115 c.p.c., nonchè degli artt. 20 e 22 del Codice Proprietà Industriale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3” deducendo l’erroneità della sentenza impugnata laddove ha inibito alla ricorrente l’uso del marchio (OMISSIS) in ogni sua forma l’utilizzo del domain name (OMISSIS), in assenza di alcuna prova – il cui onere incombeva sulle resistenti – della condotta di contraffazione della ricorrente.

3. Il ricorso va respinto.

4. Il primo motivo è infondato. Insegna una risalente sentenza di questa Corte che a configurare l’ipotesi di una contraffazione di marchio è necessario che essa investa quegli elementi, costitutivi e caratteristici, che adempiono alla specifica funzione di identificare il prodotto contrassegnato nella sua consistenza merceologica e nella sua provenienza imprenditoriale; quindi l’individuazione degli elementi caratterizzanti il marchio presuppone l’individuazione del suo carattere forte o debole in rapporto con la presenza di elementi espressivi, denominativi ovvero astratti, metaforici e traspositivi (in funzione grafica o fonetica), la determinazione della sua struttura semplice o complessa, la definizione del livello comportamentistico e valutativo dei destinatari del prodotto. Il relativo giudizio, previo apprezzamento di tutti gli elementi suddetti in relazione ai marchi contrapposti, si concreta in una valutazione globale e sintetica in ordine alla loro confondibilità, ed è rimesso al giudice del merito nonchè e sottratto al sindacato in sede di legittimità se sorretto da motivazione giuridicamente corretta e logicamente congrua (Sez. 1, Sentenza n. 2692 del 29/05/1978). A tale arresto si sono conformate anche le successive pronunce di questa Corte rese dalla Sez. 1, n. 1473 del 09/02/1995; n. 9617 del 25/09/1998; n. 21086 del 28/10/2005; n. 13592 del 04/12/1999; n. 4405 del 28/02/2006; n. 1906 del 28/01/2010. La motivazione della sentenza impugnata è conforme a tali principi laddove ha motivato il proprio giudizio comparativo sui due marchi, valutandoli nel loro complesso e con riferimento ai destinatari del loro utilizzo e pervenendo logicamente a concludere per la loro reciproca non interferenza. Che il giudizio sia stato condotto in concreto e non anche in astratto appare una petizione di principio della ricorrente; dalla lettura della motivazione impugnata emerge che la Corte distrettuale ha diffusamente argomentato come, per il consumatore italiano, il termine “bingo” sia associato a uni gioco di gruppo, laddove il termine “casinò” sia associato a una precisa attività imprenditoriale, rigidamente controllata dallo Stato e soggetta a specifiche e cogenti autorizzazioni. Tale valutazione attiene al merito della controversia ed è incensurabile in questa sede se non nei ristretti limiti dell’assoluta apparenza o insanabile contraddizione della relativa motivazione; circostanze estranee al caso di specie, ove il ricorso mira a sostituire un’esegesi della prova favorevole alle ricorrenti rispetto a quella sfavorevole adottata dal giudice di secondo grado ciò che all’evidenza non è consentito in questa fase.

5. Parimenti infondato è il secondo motivo. In primo luogo la censura lamenta la pretesa violazione della qualificazione del marchio come “debole” effettuata dalla Corte di appello, senza tuttavia indicare da quali passi della sentenza tragga tale conclusione. Invero la sentenza impugnata non fa alcun cenno alla distinzione tra marchio forte e marchio debole, nè identifica quale sia il cuore dei due marchi. Argomenta però con chiarezza che “Bingo” e “Casinò” sono termini diversi e non confondono il consumatore il quale, pur in presenza del comune appellativo “(OMISSIS)”, non potrebbe cadere in confusione sul tipo di attività svolta in ciascuno dei due diversi contesti. E ancora una volta, come per il primo mezzo, tale motivazione appare riconoscibile come, tale e coerente con la cornice normativa e giurisprudenziale di riferimento e la censura è inammissibile per la parte in cui, similmente al primo motivo, tende a far compiere a questa Corte un nuovo e più favorevole accertamento di fatto, fondato su quale sia il “cuore” dei marchi in questione.

6. Il terzo motivo è infondato. In primo luogo la censura dà per scontato, senza tuttavia indicare i passi della sentenza che legittimerebbero tale conclusione, che la Corte di appello abbia qualificato il marchio della ricorrente come marchio debole; in ogni caso, anche qualora così fosse, si deve rilevare che questa Corte ha affermato (Sez. 1, Sentenza n. 14684 del 25/06/2007) che la qualificazione del segno distintivo come marchio debole non impedisce il riconoscimento della tutela nei confronti della contraffazione, in presenza dell’adozione di mere varianti formali, inidonee ad escludere la confondibilità con ciò che del marchio imitato costituisce l’aspetto caratterizzante, ovverosia il nucleo cui è affidata la funzione distintiva. La sentenza impugnata ha sul punto accertato che tra i due marchi la variante bingo/casinò sia tale da evitare il rischio di confusione, coerentemente escludendo l’interferenza.

7. Il quarto motivo è infondato, posto che il richiamo alla rigidità della legislazione in tema di autorizzazione all’apertura e alla gestione dei casinò non è stato fatto dalla Corte di appello per affermare che il gioco del bingo sia sottratto ad analoghe autorizzazioni, ma per escludere che nell’immaginario del consumatore i termini “casinò” e “bingo” siano sinonimi o comunque possano generare confusione sulla tipologia delle attività da ciascuno evocate; ne deriva che la circostanza che anche il gioco del bingo sia soggetto ad autorizzazioni risulta del tutto irrilevante e non inficia la coerenza della decisione impugnata.

8. Il quinto motivo è inammissibile poichè, sotto il paradigma della violazione di legge, tende a far compiere a questa Corte un nuovo giudizio di fatto sulla confondibilità dei domain name oggetto di inibizione, in presenza di una motivazione resa dal giudice di secondo grado superiore al minimo costituzionale e riconoscibile come tale.

9. La soccombenza regola le spese.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 15 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2018

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