Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8574 del 26/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 26/03/2021, (ud. 21/01/2021, dep. 26/03/2021), n.8574

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29857-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE E DEL TERRITORIO, (c.f. (OMISSIS)), in persona,

del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

PRIMA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

L.M.D.I., C.D., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA ANTONIO CANTORE, 5, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO

MATTIA RUSSO, rappresentati e difesi dall’avvocato DANIELE OSNATO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1602/12/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della SICILIA, depositata il 13/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO

FRANCESCO ESPOSITO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La Commissione tributaria regionale della Sicilia – a seguito di rinvio disposto con ordinanza di questa Corte n. 11090/2016 – con sentenza in data 13 marzo 2019 – ha accolto il ricorso in riassunzione proposto da PR.IM.A. s.r.l., C.D. e L.M.D.I. avverso gli avvisi di accertamento con i quali, in relazione all’anno d’imposta 2004, veniva determinato – sulla base degli studi di settore maggior reddito d’impresa in capo alla società e maggior reddito di partecipazione in capo ai due soci.

Posto che la Commissione tributaria provinciale di Caltanissetta aveva rigettato i ricorsi della società e dei soci sul rilievo che i ricavi conseguiti dalla vendita di un immobile erano superiori all’ammontare dei ricavi dichiarato dalla società, circostanza che denotava una grave incongruenza che giustificava l’accertamento mediante studi di settore, osservava la CTR che il giudice di prime cure non aveva adeguatamente considerato la circostanza che nel modello Unico 2005 (relativo all’anno d’imposta 2004) la PR.IM.A. s.r.l. aveva compiuto degli errori materiali (circostanza incontroversa) in relazione alla vendita dell’immobile che avevano determinato il difetto di congruità dei ricavi dichiarati rispetto allo studio di settore, congruità che invece sarebbe stata conseguita se la vendita fosse stata correttamente annotata.

Avverso la suddetta sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo.

I contribuenti resistono con controricorso.

Sulla proposta del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con unico mezzo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), nonchè dell’art. 112 c.p.c. e art. 2697 c.c.. Sostiene che la sentenza impugnata è affetta da motivazione meramente apparente estrinsecandosi in argomentazioni inidonee a rivelare le ragioni poste a fondamento della decisione. La pronuncia gravata, secondo la ricorrente, costituiva il risultato di un esame superficiale delle controdeduzioni in riassunzione dell’Ufficio, con conseguente omessa pronuncia e violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Lamenta, infine, che i contribuenti non avevano assolto all’onere probatorio posto a loro carico.

Il ricorso è infondato.

Va rammentato che:

– “La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass., Sez. U., n. 22232/2016; conf. Cass. n. 13977 del 2019).

– “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass., Sez. U., n. 8053/2014).

La motivazione della sentenza impugnata non rientra nelle gravi anomalie argomentative individuate in detti arresti giurisprudenziali e pertanto, non concretizzando un chiaro esempio di “motivazione apparente” ossia del tutto mancante, si pone sicuramente al di sopra del “minimo costituzionale”. La CTR, invero, sulla base della documentazione aziendale e del modello Unico 2005 (relativo all’anno d’imposta 2004) ha rilevato che la PR.IM.A. s.r.l. aveva compiuto degli errori materiali in relazione alla vendita di un immobile (circostanza incontroversa) che avevano determinato il difetto di congruità dei ricavi dichiarati rispetto allo studio di settore, congruità che invece sarebbe stata conseguita se la vendita fosse stata correttamente annotata.

Le censure concernenti l’omessa pronuncia e la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato si palesano inammissibili perchè carenti sotto il profilo dell’autosufficienza, non avendo la ricorrente trascritto nel ricorso per cassazione il contenuto rilevante delle controdeduzioni, limitandosi ad un generico rinvio all’atto allegato al ricorso.

In ogni caso, la ricorrente, criticando la ricostruzione operata dalla CTR in ordine alla rilevanza attribuita alla errata annotazione della vendita dell’immobile, come pure censurando la decisione impugnata in relazione all’applicazione dell’onere probatorio, pur evocando il vizio di violazione di legge, prospetta una diversa valutazione delle risultanze fattuali, il cui apprezzamento è tuttavia riservato al giudice di merito. Ed invero, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (tra le tante, Cass. n. 9097 del 2017).

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2021

 

 

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