Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8573 del 06/05/2020

Cassazione civile sez. III, 06/05/2020, (ud. 28/02/2020, dep. 06/05/2020), n.8573

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27943-2019 proposto da:

W.X., nata in (OMISSIS) rappresentata e difesa dall’avv.to Andrea

Saccucci del Foro di Roma con studio in Roma, via Lisbona n 9,

giusta procura speciale allegata al ricorso, elettivamente

domiciliata presso il suo studio;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA n 16260/2019 depositato il

26.6.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28.2.2020 dal Cons. Dott. Antonella Di Florio.

Fatto

RILEVATO

che:

1. W.X., cittadina cinese, domandò alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, nelle varie forme previste dalla legge.

1.1. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

1.2. Avverso tale provvedimento l’odierna ricorrente propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis ricorso dinanzi alla sezione specializzata del Tribunale di Roma, che lo respinse con il decreto (n. 16260/2019 depositato il 26.6.2019) avverso il quale W.X. ricorre, affidandosi a cinque motivi e chiedendone la cassazione.

2. Per ciò che interessa in questa sede, la ricorrente ha narrato di essere cittadina cinese e di essere stata costretta a fuggire dal proprio paese perchè perseguitata per motivi religiosi in quanto era diventata fedele della (OMISSIS), culto oggetto della rigida politica repressiva attuata dal (OMISSIS).

2.1. Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente, chiedendo di poter partecipare all’udienza di discussione ex art. 370 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 2, comma 1, Lett. G ed art. 14, lett. B nonchè ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 la nullità della sentenza impugnata. Lamenta che il Tribunale aveva del tutto omesso di decidere in ordine alla domanda di protezione sussidiaria, ritualmente proposta sia nell’atto introduttivo che nelle conclusioni formulate.

1.1. Con il secondo, terzo e quarto motivo, deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5:

a. la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007 e dell’art. 116 c.p.c. nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione fra le parti, visto che la valutazione del Tribunale si era incentrata soltanto su elementi secondari e si era basata su opinioni soggettive non fondate sulle emergenze istruttorie;

b. la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008: lamenta che era stata del tutto ignorata la documentazione prodotta a dimostrazione dei trattamenti disumani cui sono esposti i fedeli del culto da lei praticato e che non era stato esercitato il potere istruttorio ufficioso necessario per integrare i profili di non credibilità sui quali si era apoditticamente fondata la decisione;

c. l’omesso esame della circostanza decisiva, puntualmente allegata e consistente nella morte del fratello, avvenuta in circostanze sospette, mentre era detenuto presso la stazione di polizia a seguito del suo arresto per motivi religiosi, chiaro indice di persecuzione visto che anche lui aderiva allo stesso culto e l’aveva indotta a diventarne seguace.

1.2. Con il quinto motivo, lamenta, infine, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 in relazione alla protezione umanitaria, nonchè l’omessa considerazione del percorso di integrazione intrapreso attraverso l’apprendimento della lingua italiana, l’adesione all’attività di volontariato e la partecipazione alle attività organizzate dal capitolo romano della (OMISSIS).

2. Il primo motivo è infondato.

2.1 Con esso si denuncia l’omessa pronuncia sulla domanda di protezione sussidiaria che, invece, è stata esaminata ed espressamente respinta (cfr. folio 5, secondo cpv della sentenza impugnata).

La censura, pertanto, non trova riscontro nel provvedimento impugnato.

3. Gli altri quattro motivi devono essere congiuntamente esaminati in quanto sono intrinsecamente connesse: essi, infatti, sono riferiti, in sostanza, all’omesso esame ed alla correlativa assenza di motivazione delle prove decisive dedotte a sostegno della situazione di persecuzione religiosa subita, e dunque, della credibilità della richiedente.

3.1. Deve premettersi, al riguardo, che il tribunale capitolino – pur non negando che il culto religioso (cui aveva dichiarato di appartenere la richiedente) è oggetto di persecuzione da parte delle autorità cinesi ha evidenziato molteplici profili di criticità e inverosimiglianza del racconto della cittadina cinese, affermando, in particolare, che: a) non era credibile la riferita mancata identificazione di quest’ultima da parte delle autorità di polizia, nonostante fosse stata fermata in possesso di materiale per il proselitismo religioso del culto vietato dalle autorità; b) non poteva ritenersi verosimile che le fosse stato rilasciato il visto turistico, nonostante la sua identificazione come soggetto pericoloso per l’ordine pubblico interno, circostanza questa che metteva in discussione anche la sua appartenenza al predetto culto; c) dovevano inoltre ritenersi contraddittorie una serie di circostanze riferite al proselitismo che aveva praticato nei confronti di una collega che aveva poi comunicato la sua fede al datore di lavoro che l’aveva licenziata.

3.2. Il tribunale ha infine evidenziato che non ricorrevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria e di quella umanitaria perchè, da un lato, non era riscontrabile una situazione di conflitto interno nel paese di provenienza della richiedente e, dall’altro, non erano emerse condizioni di una sua particolare vulnerabilità.

4. In tal modo sintetizzate le statuizioni del Tribunale, il Collegio osserva che la seconda, terza e quarta censura sono fondate.

4.1. Deve premettersi, al riguardo, che questa Corte ha affermato che “in tema di protezione internazionale, il dovere di cooperazione istruttoria del giudice, che è disancorato dal principio dispositivo e libero da preclusioni e impedimenti processuali, presuppone l’assolvimento da parte del richiedente dell’onere di allegazione dei fatti costitutivi della sua personale esposizione a rischio, a seguito del quale opera il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, e in quali limiti, nel Paese di origine del richiedente si verifichino fenomeni tali da giustificare l’applicazione della misura, mediante l’assunzione di informazioni specifiche, attendibili e aggiornate, non risalenti rispetto al tempo della decisione, che il giudice deve riportare nel contesto della motivazione, non potendosi considerare fatti di comune e corrente conoscenza quelli che vengono via via ad accadere nei Paesi estranei alla Comunità Europea” (cfr. Cass. 11096/2019); e che “quando il richiedente alleghi il timore di essere soggetto nel suo paese di origine ad una persecuzione a sfondo religioso o comunque ad un trattamento inumano o degradante fondato su motivazioni a sfondo religioso, il giudice deve effettuare una valutazione sulla situazione interna del Paese di origine del richiedente, indagando espressamente l’esistenza di fenomeni di tensione a contenuto religioso, senza che in direzione contraria assuma decisiva rilevanza il fatto che il richiedente non si sia rivolto alle autorità locali o statuali per invocare tutela, potendo tale scelta derivare, in concreto, proprio dal timore di essere assoggettato ad ulteriori trattamenti persecutori o umanamente degradanti.” (cfr. Cass. 28974/2019).

4.2. Tali principi sono stati del tutto disattesi dal Tribunale che, da una parte, ha respinto la domanda volta ad ottenere lo stato di rifugiato, escludendo che le ragioni di allontanamento dal paese di origine della ricorrente fossero collegate a persecuzioni per motivi religiosi ma senza negare – anzi ammettendo – che il culto da lei professato fosse oggetto di violenta repressione (viene, infatti, riportata un’informativa redatta dalla “Immigration and Refugee Board of Canada” nella quale si dà atto che tutti gli aderenti alle riunioni clandestine della Chiesa venivano identificate e registrate durante violente irruzioni degli apparati di sicurezza: cfr. folio 4 del decreto impugnato); e, dall’altra, ha ritenuto non meritevole di accoglimento la domanda di protezione sussidiaria avuto riguardo sia alla condizione soggettiva della ricorrente, vista l’inverosimiglianza del racconto (dal quale non poteva evincersi che in caso di reimpatrio potesse essere esposta ad un danno grave) sia “a quella del paese di origine, dove non si registrano forme di violenza indiscriminata idonea a rappresentare un pericolo per la popolazione (cfr. rapporto Cina Amnesty International 2017/2018) (cfr. folio 5 della sentenza impugnata).

4.3. Si osserva, al riguardo, quanto segue.

In ordine alla credibilità della ricorrente in relazione alla vicenda personale narrata emerge che il Tribunale ha atomisticamente esaminato gli elementi della narrazione relativi alla denunciata persecuzione religiosa, limitandosi a valorizzare, contro la sua tesi, la circostanza secondo cui ella aveva fatto ingresso nel nostro paese con il visto turistico regolarmente ottenuto, contrastante, quindi, con la narrata persecuzione che poteva logicamente fondarsi soltanto sulla sua schedatura come adepta del culto professato (con il conseguente rischio di essere arrestata, ove fosse rientrata in patria).

4.4. La questione ridonda sulla credibilità della ricorrente rispetto alla quale non è inutile ricordare che il D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 3 infatti, dispone che: “qualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri se l’autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) il richiedente ha presentato la domanda di protezione internazionale il prima possibile, a meno che egli non dimostri di aver avuto un giustificato motivo per ritardarla; e) dai riscontri effettuati il richiedente è, in generale, attendibile”.

4.5. La connessione logica fra tali elementi che il giudice di merito è tenuto ad articolare va compiuta sulla base del principio affermato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in materia di onere della prova, secondo cui “stante la particolare situazione in cui si trovano i richiedenti asilo, sarà frequentemente necessario concedere loro il beneficio del dubbio quando si vada a considerare la credibilità delle loro dichiarazioni e dei documenti presentati a supporto” (cfr.: CEDU, R.C. v. Svezia, 2010, paragrafo 50; CEDU, N. v. Svezia, 2010, paragrafo 53; CEDU, A.A. v. Svizzera, 2014, paragrafo 59).

4.6. Al riguardo, si evidenza che al ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era stata allegata ampia documentazione per dimostrare, da un lato, che le forme di persecuzione religiosa erano attuate con modalità ed intensità diverse a seconda delle diverse aree geografiche interne alla Cina (cfr., in particolare, report Amnesty International, doc. 11, e report Refword – Uchr, doc 13 fasc. primo grado prodotto in questa sede) e, dall’altro, che il rilascio del visto per l’espatrio poteva essere negato solo a chi avesse pendenze e precedenti penali ovvero per chi fosse ritenuto una minaccia per la sicurezza nazionale (sotto quest’ultimo profilo era stato anche allegato un parere pro veritate sulla specifica questione, ignorato dal Tribunale (doc. 36 fasc. primo grado): tale omissione consente a questa Corte di apprezzare, accogliendola, la censura proposta secondo cui la circostanza che fosse stato rilasciato il visto turistico non poteva ritenersi significativa per escludere la sussistenza del rischio paventato dalla ricorrente di essere perseguitata, una volta che rientrata in patria, ove avesse continuato a praticare la sua fede religiosa.

5. Risulta altresì fondato il quarto motivo con il quale viene denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, consistente nell’episodio della narrazione della ricorrente riguardante la morte del fratello convivente – che l’aveva introdotta nella (OMISSIS), essendo anche lui un fedele nonchè un dirigente della comunità – in condizioni sospette e mai chiarite, avvenuta mentre era detenuto presso la stazione di polizia a seguito del suo arresto: la circostanza – riferita dapprima in sede di audizione dinanzi alla Commissione territoriale (cfr. doc. 3 fasc. primo grado) e successivamente riproposta dinanzi al Tribunale in sede di impugnazione (cfr. ricorso, punti 14 e 15 a pag. 4), non è stata affatto considerata nella motivazione del decreto, nonostante che fosse decisiva al fine di inquadrare la complessiva condotta persecutoria agita nei confronti della ricorrente e la fondatezza del rischio che, nel casso di rientro in patria, fosse assoggettata alla stessa sorte del fratello.

6. In conclusione, il vizio denunciato nel secondo, terzo e quarto motivo di ricorso e ricondotto all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 con riferimento alle due forme di protezione “maggiore” (stato di rifugiato e protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. B)) deve ritenersi fondato.

7. Il quinto motivo, riguardante la protezione umanitaria, rimane logicamente assorbito.

8. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata con rinvio al Tribunale di Roma in diversa composizione per il riesame della controversia alla luce dei principi di diritto sopra evidenziati e sulla base dei fatti non esaminati nella motivazione impugnata.

8.1. Il Tribunale dovrà altresì decidere in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte,

accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Roma in diversa composizione per il riesame della controversia ed anche per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione terza civile, il 28 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2020

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