Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8572 del 26/03/2021

Cassazione civile sez. un., 26/03/2021, (ud. 23/03/2021, dep. 26/03/2021), n.8572

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Primo Presidente f.f. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di sez. –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente di sez. –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso per cassazione iscritto al NRG 23154 del 2019 promosso

da:

F.G. s.r.l., rappresentata e difesa dall’Avvocato

Luigi M. D’Angiolella, elettivamente domiciliata presso l’Avvocato

Orazio Abbamonte, in Roma, via Sistina, n. 121 (studio Corrias

Lucente);

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, – U.T.G. PREFETTURA DI CASERTA, MINISTERO

DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE e MINISTERO DELLA DIFESA,

rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, e

domiciliati presso gli Uffici di questa in Roma, via dei Portoghesi,

n. 12;

– controricorrenti –

e nei confronti di:

COMUNE DI CALVI RISORTA; COMUNE DI CARDITO; SOGESID s.p.a.;

– intimati –

avverso la sentenza del Consiglio di Stato n. 758/2019, pubblicata il

30 gennaio 2019;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23 marzo 2021 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Procuratore Generale Aggiunto Dott. Salvato Luigi, che ha chiesto

dichiararsi il ricorso inammissibile.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Il Consiglio di Stato, con sentenza pubblicata il 30 gennaio 2019, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto gli originari ricorsi proposti dalla s.r.l. F.G. avverso l’informazione antimafia emessa, nei suoi confronti, dalla Prefettura di Caserta.

2. – Per la cassazione della sentenza del Consiglio di Stato la società F.G. ha proposto ricorso, con atto notificato il 23-30 luglio 2019, sulla base di due motivi.

Il Ministero dell’interno con la Prefettura di Caserta, il Ministero dell’economia e delle finanze e il Ministero della difesa hanno resistito con controricorso.

3. – Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Il pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

La società ricorrente ha depositato una memoria illustrativa in prossimità della camera di consiglio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 111 e 103 Cost., rifiuto di giurisdizione, eccesso di potere giurisdizionale ai sensi dell’art. 362 c.p.c. e art. 110 cod. proc. amm. Con esso ci si duole che la sentenza impugnata abbia sostanzialmente affermato che, in materia di interdittiva antimafia, il giudice amministrativo avrebbe poteri limitatissimi. La ricorrente ritiene che limitare il potere del giudice amministrativo a casi, di fatto, solo di abnormità dell’atto, eliminerebbe la possibilità per il privato cittadino, a fronte di uno “sconfinato” potere delle prefetture di emettere provvedimenti interdittivi, di chiedere ed ottenere una pronuncia giurisdizionale che accerti o meno la legittimità degli atti impugnati. Ad avviso della ricorrente, la definizione di “tutela avanzata” che l’ordinamento appresta in tema di interdittiva antimafia, e l’idea che venga in rilievo una “norma aperta”, cioè senza un numerus clausus di ipotesi in essa ricomprese, avrebbe il significato di “una sorta di quasi insindacabilità”. Il Consiglio di Stato avrebbe finito per rifiutare il ruolo attribuitogli dall’art. 103 Cost., perchè non avrebbe giudicato il vizio di istruttoria, il vizio di motivazione, la contraddittorietà, l’attualità dell’indagine. Il giudice amministrativo non avrebbe rispettato le regole sulla giurisdizione, rifiutandosi di fatto di esprimersi sulla legittimità degli atti impugnati.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

1.2. – Alla Corte di cassazione è consentito sindacare la legittimità delle decisioni del Consiglio di Stato “per i soli motivi inerenti alla giurisdizione” (art. 111 Cost., comma 8).

Rientra tra i motivi attinenti alla giurisdizione denunciabili con il ricorso per cassazione il rifiuto da arretramento rispetto a una domanda inclusa invece nella giurisdizione del giudice amministrativo, ossia il rifiuto determinato dalla affermata estraneità della domanda alle attribuzioni giurisdizionali di quel giudice (Cass., Sez. Un., 15 aprile 2020, n. 7839).

Il rifiuto sindacabile dalle Sezioni Unite è, dunque, quello “in astratto”, vale a dire quello che deriva dalla affermazione da parte del giudice speciale che quella situazione soggettiva è priva di tutela per difetto di giurisdizione, in contrasto con la regula juris che invece gli attribuisce il potere di ius dicere sulla domanda; non quello “in concreto”, che si ha quando la negazione della tutela alla situazione soggettiva azionata è la conseguenza della ipotizzata inesatta interpretazione delle norme o della non corretta ricognizione e valutazione degli elementi in fatto (Cass., Sez. Un., 28 maggio 2020, n. 10087).

1.3. – Nella specie è da escludere in radice l’ipotizzato arretramento, perchè – come ha esattamente sottolineato il pubblico ministero nelle sue conclusioni scritte – il Consiglio di Stato, con l’impugnata pronuncia, ha ritenuto pienamente rientrante nella cognizione giurisdizionale del giudice amministrativo il sindacato sull’attività svolta dalla pubblica amministrazione nella materia delle interdittive antimafia.

Il Consiglio di Stato ha infatti evidenziato:

– che “il giudice amministrativo è chiamato a valutare la gravità del quadro indiziario, posto a base della valutazione prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, e il suo sindacato sull’esercizio del potere prefettizio, con un pieno accesso ai fatti sintomatici del pericolo, consente non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l’autorità amministrativa trae da quei fatti secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva, e non sanzionatoria, della misura in esame”;

– che “il sindacato per eccesso di potere sui vizi della motivazione del provvedimento amministrativo, anche quando questo rimandi per relationem agli atti istruttori, scongiura il rischio che la valutazione del prefetto divenga… una pena del sospetto e che la portata della discrezionalità amministrativa in questa materia, necessaria per ponderare l’esistenza del pericolo infiltrati-vo in concreto, sconfini nel puro arbitrio”;

che “l’equilibrata ponderazione dei contrapposti valori costituzionali in gioco, la libertà di impresa, da un lato, e la tutela dei fondamentali beni che presidiano il principio di legalità sostanziale, secondo la logica della prevenzione, richiede alla prefettura… un’attenta valutazione di tali elementi, che devono offrire una quadro chiaro, completo e convincente del pericolo di infiltrazione mafiosa, e a sua volta impone al giudice amministrativo, nel sindacato sulla motivazione, un altrettanto approfondito esame di tali elementi, singolarmente e nella loro intima connessione, per assicurare una tutela giurisdizionale piena ed effettiva contro ogni eventuale eccesso di potere da parte del prefetto nell’esercizio di tale ampio, ma… non indeterminato, potere discrezionale”.

In questo contesto, quello che finisce per denunciare la società ricorrente è che, secondo la ricostruzione interpretativa del Consiglio di Stato della disciplina sulla interdittiva antimafia, ci si trovi di fronte ad una clausola generale, ad un catalogo aperto, espressione di una frontiera avanzata della prevenzione: frontiera avanzata che – si afferma nella impugnata sentenza – impone, a servizio delle prefetture, un uso di strumenti, accertamenti, collegamenti, risultanze, necessariamente anche atipici (come atipica è la capacità delle mafie di perseguire i propri fini), dovendo il campo valutativo del potere prefettizio arrestarsi solo di fronte ad un fatto inesistente od obiettivamente non sintomatico.

Si tratta, evidentemente, di una doglianza che, del motivo inerente alla giurisdizione, ha soltanto l’etichetta della autoqualificazione.

Con il motivo, la ricorrente denuncia – come disvelato nella memoria illustrativa – “le modalità di esercizio della funzione giurisdizionale”.

Lamenta, nella sostanza, l’erroneità della interpretazione delle norme di diritto applicabili alla fattispecie e, su questa base, della correttezza del controllo in concreto esercitato dal giudice amministrativo: interpretazione e controllo che costituiscono il proprium della funzione giurisdizionale e non possono integrare la violazione dei limiti esterni della giurisdizione (Cass., Sez. Un., 28 settembre 2020, n. 20445).

2. – Con il secondo motivo (difetto di giurisdizione; violazione dei limiti esterni della giurisdizione; eccesso di potere giurisdizionale; violazione del divieto per la pubblica amministrazione di compiere un sindacato sulla discrezionalità tecnica della pubblica amministrazione) la ricorrente censura che il giudice amministrativo abbia svolto delle valutazioni estese al merito, ossia all’ambito che la legge riserva all’amministrazione, come tale sottratto al sindacato del giudice amministrativo. Il Consiglio di Stato avrebbe violato i limiti esterni della giurisdizione tanto da “determinare” la legittimità dell’interdittiva emessa nei confronti della società ricorrente. Il giudice amministrativo avrebbe addirittura fondato la sua decisione su fatti mai riferiti dalla prefettura e, comunque, totalmente estranei alla fattispecie concreta. Il Consiglio di Stato avrebbe motivato la legittimità del provvedimento interdittivo, presupponendo, erroneamente, che la società F.G. avesse rapporti con un “personaggio di spessore criminale contiguo al clan dei (OMISSIS)”. Sostiene la ricorrente che la società non avrebbe mai avuto alcun rapporto con un personaggio di spessore criminale contiguo al clan dei (OMISSIS), che il soggetto citato nell’interdittiva antimafia (ritenuto pregiudizievole per la società) non sarebbe legato a “certi tipi di ambiente” e che il riferimento sarebbe a episodi datati nel tempo. Ad avviso della ricorrente, nel momento in cui il giudice amministrativo ha sostituito la propria attività a quella dell’amministrazione confermando il provvedimento interdittivo, vi sarebbe stata una indebita sovrapposizione da parte del giudice amministrativo del proprio giudizio a quello insindacabile della P.A. Sarebbe configurabile l’eccesso di potere giurisdizionale, essendosi di fronte ad un caso di radicale stravolgimento delle norme del processo amministrativo, tale da implicare un evidente diniego di giurisdizione. L’organo giudicante avrebbe travalicato il limite esterno della giurisdizione, esprimendo veri e propri giudizi di merito, là dove si è sostituito alla pubblica amministrazione. Si sostiene, conclusivamente, che il Consiglio di Stato avrebbe compiuto – illegittimamente – un sindacato intrinseco di tipo forte, avendo sostituito, senza l’ausilio di nessun consulente tecnico, i provvedimenti adottati dalla P.A. “con una propria, arbitraria ed ingiustificata valutazione”.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

2.2. – Il Consiglio di Stato, nell’accogliere con l’impugnata pronuncia l’appello delle Amministrazioni, ha riformato la pronuncia del TAR per la Campania e confermato il provvedimento interdittivo, dopo avere ritenuto correttamente valutato dall’autorità prefettizia il grave pericolo di infiltrazione mafiosa per il legame tra i fratelli F. e soggetti o società contigui o, addirittura, riconducibili alla camorra.

2.3. – Tanto premesso, occorre ricordare che le decisioni del giudice amministrativo concernenti la legittimità dei provvedimenti della P.A. possono essere impugnate, con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8, qualora siano affette da eccesso di potere giurisdizionale sotto il profilo dello sconfinamento nella sfera del merito.

Tale vizio è configurabile quando l’indagine svolta dal giudice amministrativo ecceda i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato, dimostrandosi strumentale ad una diretta e concreta valutazione dell’opportunità e convenienza dell’atto, ovvero se la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, evidenzi l’intento dell’organo giudicante di sostituire la propria volontà a quella dell’amministrazione mediante una pronuncia che, in quanto espressiva di un sindacato di merito ed avente il contenuto sostanziale e l’esecutorietà propria del provvedimento sostituito, non lasci spazio ad ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa (Cass., Sez. Un., 4 febbraio 2021, n. 2604).

2.4. – Ad escludere la denunciata usurpazione della funzione amministrativa è assorbente il rilievo che, in relazione alle pronunce di rigetto dell’impugnazione del provvedimento amministrativo, non è neppure ipotizzabile lo sconfinamento nella sfera del merito, per la semplice e decisiva ragione che simili pronunce si esauriscono nella conferma del provvedimento impugnato, per cui l’autorità che l’ha emesso mantiene intatti tutti i poteri che avrebbe avuto se l’atto non fosse stato impugnato, con la sola eccezione di ravvisare in esso i vizi di legittimità ritenuti insussistenti dal giudice amministrativo (Cass., Sez. Un., 13 marzo 2019, n. 7207).

Pertanto, la valutazione diretta dei documenti e delle risultanze sottoposti alla cognizione del giudice amministrativo in relazione alla correttezza della impugnata interdittiva, quand’anche ulteriori rispetto a quelli espressamente presi in considerazione dal provvedimento amministrativo oggetto di ricorso, potrebbe al più costituire un error in iudicando di per sè sottratto al sindacato di questa Corte regolatrice (Cass., Sez. Un., 26 novembre 2018, n. 30526). Su questa base, è già stata esclusa la sindacabilità della sentenza del Consiglio di Stato che abbia riconosciuto, proprio in tema di interdittiva antimafia, la legittimità del provvedimento impugnato con integrazione degli argomenti usati dall’amministrazione (Cass., Sez. Un., 9 settembre 2020, n. 18671).

3. – Infine, la ricorrente chiede che sia sollevata questione di legittimità costituzionale degli artt. 89-bis, 91 e 94 codice antimafia, per violazione degli artt. 3,24,27,41,42,97 e 103 Cost., in considerazione dell’indeterminatezza della fattispecie, della gravità degli effetti del provvedimento ed in quanto adottato sulla scorta di “indagini approssimative ed indiziarie”, senza che sia garantito il diritto di difesa, e ciò anche in considerazione della circostanza che la giurisprudenza amministrativa avrebbe “di molto limitato la possibilità di sindacato giurisdizionale”.

3.1. – Il dubbio di legittimità costituzionale è manifestamente inammissibile per irrilevanza.

Esattamente il pubblico ministero, nelle conclusioni scritte, ha evidenziato, con richiamo alla giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. Un., 9 aprile 2020, n. 7762), che la questione sollevata non concerne norme relative alla giurisdizione, bensì la disciplina del provvedimento impugnato, che non è destinata a trovare applicazione nel presente giudizio per la sua estraneità al sindacato esercitabile dalle Sezioni Unite.

4. – Il ricorso è inammissibile.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

5. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, ricorrono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalle Amministrazioni controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 10.000 per compensi, oltre alle eventuali spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2021

 

 

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA