Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8571 del 26/03/2021

Cassazione civile sez. un., 26/03/2021, (ud. 23/03/2021, dep. 26/03/2021), n.8571

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Primo Presidente f.f. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di sez. –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente di sez. –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso per cassazione iscritto al NRG 21733 del 2019 promosso

da:

C.A., rappresentata e difesa dagli Avvocati Massimo

Bellardi, e Anselmo Carlevaro, elettivamente domiciliata presso il

loro studio in Roma, via Gian Giacomo Porro, n. 8;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI GHEMME, rappresentato e difeso dagli Avvocati Maurizio

Goria, e Roberto Maria Izzo, con domicilio eletto presso lo studio

di quest’ultimo in Roma, via Monte Santo, n. 68;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Consiglio di Stato n. 399/2019, pubblicata il

16 gennaio 2019;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23 marzo 2021 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Procuratore Generale Aggiunto Dott. Salvato Luigi, che ha chiesto

dichiararsi il ricorso inammissibile.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – C.A. ha ottenuto dal Comune di Ghemme il permesso di costruire n. (OMISSIS) per l’edificazione di un immobile residenziale con relativa recinzione, ubicato alla confluenza della via (OMISSIS) nella via (OMISSIS).

A costruzione ultimata, il Comune, con ordinanza n. 7 del 9 giugno 2006, ha annullato d’ufficio il permesso nella parte relativa alla recinzione e ne ha ordinato la demolizione.

Il Comune ha motivato l’atto di autotutela osservando che la recinzione non rispettava la larghezza di m. 12 prevista nel piano regolatore generale per la sede stradale di via (OMISSIS) e non si allineava al filo delle recinzioni preesistenti, come invece imposto dalle norme tecniche di attuazione.

2. – La C. ha impugnato l’ordinanza di annullamento in autotutela avanti al Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte. L’adito TAR, con sentenza n. 695 del 2008, ha rigettato il ricorso.

3. – Il Consiglio di Stato, con sentenza resa pubblica mediante deposito in segreteria il 16 gennaio 2019, ha respinto l’appello dell’interessata.

Il Consiglio di Stato ha rilevato che la normativa di piano del Comune di Ghemme prevede espressamente l’ampliamento a m. 12 della sede stradale di via (OMISSIS), in atto larga 8 m., e che l’art. 10 delle norme tecniche di attuazione, nelle zone consolidate o di completamento, consente l’edificazione di nuove recinzioni solo a filo delle preesistenti. Il giudice amministrativo dell’appello ha inoltre rilevato, per un verso, che l’annullamento d’ufficio del titolo è intervenuto a distanza ravvicinata rispetto al suo precedente rilascio e, per l’altro verso, che l’ordinanza in autotutela risulta essenzialmente finalizzata alla tutela di un vincolo di inedificabilità, sicchè l’affidamento maturato dal privato si presenta del tutto recessivo.

4. – Per la cassazione della sentenza del Consiglio di Stato C.A. ha proposto ricorso, con atto notificato il 9 luglio 2019, sulla base di tre motivi.

Il Comune di Ghemme ha resistito con controricorso.

5. – Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.

Il pubblico ministero presso questa Corte ha depositato conclusioni scritte, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

Il Comune ha depositato una memoria illustrativa in prossimità della camera di consiglio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia violazione di legge; violazione della normativa di piano regolatore che prevede un ampliamento della carreggiata, nonchè carente e contraddittoria motivazione. Ad avviso della ricorrente, dovrebbe escludersi che il lotto di proprietà della C. possa ritenersi in qualche modo vincolato ad ampliamenti della strada; inoltre, sarebbero insussistenti i presupposti del provvedimento di annullamento del permesso di costruire in precedenza rilasciato. La sentenza del Consiglio di Stato sarebbe incorsa in una “palese violazione” delle norme contenute nel piano regolatore.

Il secondo mezzo lamenta contraddittoria motivazione nell’accertamento dell’asserita violazione costituita dal mancato rispetto del “filo delle recinzioni esistenti”. La sentenza impugnata non avrebbe esaminato i documenti prodotti, i quali, ad avviso della ricorrente, dimostrerebbero l’assoluta inesistenza di altre recinzioni, sul lato dell’immobile della C., che anche solo in astratto avrebbero potuto costituire un riferimento per la costruzione “a filo”.

Denunciando violazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21-nonies con il terzo motivo la ricorrente deduce che il provvedimento di annullamento d’ufficio non sarebbe affatto intervenuto a breve distanza, ma dopo un atto e quattro mesi dal rilascio del permesso di costruire, e soprattutto quando l’edificazione del muro di cinta risultava già integralmente completata. Il Comune avrebbe avuto un onere particolarmente pregnante nell’individuare l’interesse pubblico a tutela del quale veniva prospettato l’annullamento del permesso di costruire, sicchè la mancanza di motivazione sul punto determinerebbe l’illegittimità dell’atto.

2. – I tre motivi – che possono essere esaminati congiuntamente, stante la stretta connessione – sono inammissibili.

3. – Occorre premettere che il ricorso per cassazione contro le sentenze del Consiglio di Stato può essere proposto soltanto per motivi inerenti alla giurisdizione (art. 111 Cost., comma 8, art. 362 c.p.c. e art. 110 cod. proc. amm.).

Il ricorso è dunque ammesso quando il giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento) ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento); ovvero nelle ipotesi di difetto relativo di giurisdizione, che si ha quando il giudice amministrativo affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici (Cass., Sez. Un., 12 marzo 2021, n. 7031).

Il controllo del limite esterno della giurisdizione, che la Costituzione affida alla Corte di cassazione, non include il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di comportare errores in iudicando o errores in procedendo: ne consegue che il controllo di giurisdizione non può estendersi al sindacato di sentenze ritenute abnormi o anomale ovvero frutto di uno stravolgimento delle norme di riferimento (Cass., Sez. Un., 11 novembre 2019, n. 29082; Cass., Sez. Un., 4 dicembre 2020, n. 27770).

4. – Ha osservato esattamente il pubblico ministero che i tre motivi di ricorso si limitano a denunciare, formalmente e sostanzialmente, asserite violazioni di legge e carenze e contraddittorietà della motivazione: essi censurano l’interpretazione data dal Consiglio di Stato alla disciplina di pianificazione urbanistica comunale, la ricognizione della situazione di fatto operata da quel giudice e la valutazione circa la sussistenza dei presupposti dell’annullamento in autotutela del permesso di costruire.

5. – Le doglianze articolate dalla ricorrente non riguardano una violazione inerente all’essenza della giurisdizione o allo sconfinamento dai limiti esterni di essa. Le censure articolate si risolvono, tutte, nella denuncia di meri errores in iudicando compiuti dal Consiglio di Stato, come tali non sindacabili dalle Sezioni Unite.

6. – Il ricorso è inammissibile.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

7. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, ricorrono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal Comune controricorrente, che liquida in complessivi Euro 4.200, di cui Euro 4.000 per compensi, oltre a spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2021

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