Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8571 del 06/05/2020

Cassazione civile sez. III, 06/05/2020, (ud. 28/02/2020, dep. 06/05/2020), n.8571

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27926-2019 proposto da:

N.S., nato in (OMISSIS) e domiciliato in Roma piazza Cavour

presso la cancelleria civile della Corte di Cassazione,

rappresentato e difeso dall’avv.to Maria Monica Bassan con studio in

Padova, via Buonarroti n. 2 (maria.bassan.ordineavvocatipadova.it),

giusta procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA n. 5985/2019 depositato

il 22.7.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28.2.2020 dal Cons. Dott. Antonella Di Florio.

Fatto

RILEVATO

che:

1. N.S., cittadino del (OMISSIS), ricorre, affidandosi a tre motivi, per la cassazione del decreto del Tribunale di Venezia che aveva respinto l’impugnazione da lui proposta avverso il provvedimento della competente Commissione Territoriale alla quale aveva domandato, in via gradata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14 e la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6.

1.1. Per ciò che qui interessa, il ricorrente aveva narrato di aver svolto nel proprio paese di origine l’attività di sarto anche alle dipendenze di un uomo olandese che aveva avviato, in loco, una proficua attività imprenditoriale nel settore della maglieria e che, destinatario di una denuncia per evasione fiscale, aveva fatto ritorno in Olanda, interrompendo la produzione, per sfuggire alle ricerche delle autorità locali.

1.2. A seguito di ciò egli era stato minacciato dagli Agenti della NIA (National Intelligence Agency) di essere arrestato se non avesse pagato l’esposizione debitoria del titolare dell’impresa, ragione per la quale era fuggito dal suo paese di origine nel quale rischiava la carcerazione e la conseguente sottoposizione a trattamento disumano e degradante in carcere.

2. Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente, chiedendo l’eventuale partecipazione alla discussione in udienza.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

Lamenta che il Tribunale aveva messo in dubbio la sua credibilità aderendo acriticamente alle valutazioni della Commissione territoriale; ed aveva dato rilievo a circostanze ritenute non attendibili nonostante che in sede di audizione non fosse stato richiesto, riguardo ad esse, alcun chiarimento visto che le sue dichiarazioni erano state, nel complesso, coerenti e logiche.

2. Con il secondo motivo, deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3 ed art. 14, lett. B e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27 per mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, contraddicendo le informazioni provenienti dalle relazioni EASO dalle quali si evinceva il concreto rischio di una detenzione in carcere per i debiti di natura fiscale maturati dal datore di lavoro.

3. Con il terzo motivo, infine, lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 per mancata valutazione della situazione del paese di origine in funzione del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, tenuto conto della mancata valutazione della situazione di insicurezza interna.

4. Il primo ed il secondo motivo, da esaminarsi congiuntamente per la stretta connessione logica, sono inammissibili.

4.1. Circa la credibilità del richiedente, messa in dubbio dal Tribunale con argomentazioni adesive a quelle sulle quali si era basato il provvedimento di diniego della Commissione Territoriale, questa Corte ha affermato il principio, condiviso dal Collegio, secondo il quale “la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c).

4.2. Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. 3340/2019); ed è stato altresì precisato che “in tema di protezione internazionale, il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 enuncia alcuni parametri, meramente indicativi e non tassativi, che possono costituire una guida per la valutazione nel merito della veridicità delle dichiarazioni del richiedente, i quali, tuttavia, fondandosi sull’id quod plerumque accidit”, non sono esaustivi, non precludendo la norma la possibilità di fare riferimento ad altri criteri generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare il giudice circa la veridicità delle dichiarazioni rese, non essendo, in particolare, il racconto del richiedente credibile per il solo fatto che sia circostanziato, ai sensi del comma 5, lett. a) medesima norma, ove i fatti narrati siano di per sè inverosimili secondo comuni canoni di ragionevolezza” (cfr. Cass. 20580/2019).

4.3. Nel caso in esame, il Tribunale, con motivazione al di sopra della sufficienza costituzionale, ha esaminato le emergenze istruttorie desumibili dalle dichiarazioni del ricorrente e, nel rispetto della “griglia istruttoria” prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 ha ritenuto la sua narrazione non attendibile (cfr., al riguardo, pag. 8 del decreto impugnato) con una valutazione che deve ritenersi non censurabile in questa sede, attenendo alla specifica attività interpretativa del giudice di merito.

5. E, proprio per tali ragioni, anche il secondo motivo non può trovare ingresso in questa sede.

5.1. Il ricorrente censura, infatti, il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria invocata in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) con riferimento al rischio di subire un grave danno a causa della detenzione alla quale sarebbe sottoposto (non disponendo del danaro necessario per pagare la multa inflitta), tenuto conto anche delle condizioni degradanti delle carceri del (OMISSIS).

5.2. Ma, escluso che ricorrano i presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) non essendo stato neanche denunciato il timore di una condanna a morte, si osserva che, in relazione alla lett. b) della medesima disposizione, l’inammissibilità della censura sulla credibilità non consente a questa Corte di apprezzare neanche la critica mossa in relazione al rigetto della domanda di protezione sussidiaria fondata sul danno derivante dalla sottoposizione a trattamenti disumani e degradanti in quando sarebbero dipesi, in tesi, dal rischio di un regime carcerario al quale egli sarebbe stato esposto sulla base della medesima narrazione di cui non è consentito l’esame in questa sede.

6. Il terzo motivo, invece, è fondato.

6.1. Con esso il ricorrente contesta che il Tribunale aveva escluso la sua condizione di vulnerabilità, omettendo, pur in presenza di documentazione attestante l’avvenuto inserimento lavorativo in Italia, di compiere la doverosa comparazione fra l’integrazione raggiunta e le conseguenze dell’eventuale rimpatrio in relazione alla temuta privazione dei diritti fondamentali, ignorando del tutto la condizione degrado complessivo del paese, attestate dal più recente rapporto EASO.

6.2. Al riguardo, si osserva che il Tribunale di Venezia, dopo aver affermato che “la non credibilità e la genericità del racconto del ricorrente costituiscono motivi sufficienti anche per negare la protezione umanitaria” (cfr. pag. 12 della sentenza impugnata) ha respinto la domanda escludendo, da una parte, la sussistenza di condizioni di vulnerabilità del ricorrente, ed affermando, dall’altra, l’irrilevanza del livello di integrazione raggiunto ricondotto, genericamente, a “brevi contratti di lavoro a tempo determinato” che non gli avrebbero consentito di condurre un’esistenza dignitosa in Italia, attesa anche l’irrilevanza del suo inserimento sociale.

Ha altresì affermato che il diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU può subire legittime ingerenze da parte di pubblici poteri finalizzati al raggiungimento di interessi pubblici contrapposti, quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, soprattutto ove lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza (cfr. pag. 12 u.cov e 13 del decreto impugnato).

6.3. Al riguardo, deve premettersi che questa Corte ha avuto modo di chiarire che “il giudizio di scarsa credibilità della narrazione del richiedente, in relazione alla specifica situazione dedotta a sostegno della domanda di protezione internazionale, non può precludere la valutazione, da parte del giudice, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, delle diverse circostanze che concretizzino una situazione di “vulnerabilità”, da effettuarsi su base oggettiva, in quanto il riconoscimento del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, deve essere frutto di valutazione autonoma, non potendo conseguire automaticamente al rigetto delle altre domande di protezione internazionale, attesa la strutturale diversità dei relativi presupposti” (cfr. Cass. 10922/2019); ed è stato altresì condivisibilmente ritenuto che “in tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela che è invece atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello “status” di rifugiato o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione.” (cfr. Cass. 13079/2019).

6.4. Tanto premesso, si osserva che nel caso in esame manca del tutto un giudizio di comparazione fondato, da una parte, su un circostanziato esame della documentazione prodotta dal ricorrente a sostegno della sua integrazione e, dall’altra, su una valutazione delle condizioni di sicurezza del paese di origine.

Sul primo requisito (integrazione) contrariamente alla sintetica descrizione riportata nel decreto, emerge una qualificazione professionale specifica del ricorrente come “sarto”, mestiere per il quale si era formato ed aveva già lavorato nel paese di origine e che ha ricominciato a svolgere alle dipendenze di una impresa tessile veneziana con cui ha stipulato un contratto di lavoro a tempo determinato, successivamente prorogato ed ancora in essere al momento della decisione del Tribunale: rispetto all’attività svolta, oltretutto, il datore di lavoro ha formulato una lettera di apprezzamento lodandone le qualità ed auspicando la continuità del rapporto, esternando l’intenzione di un ampliamento dell’orario di lavoro e della definizione di un contratto a tempo indeterminato (doc. sub 7 fasc. primo grado prodotto in questa sede).

Sul secondo (livello di sicurezza) si osserva che dalle informazioni Easo 2017 (alle quali si è riferito lo stesso Tribunale), pur emergendo un miglioramento rispetto al regime pregresso, le condizioni del paese di origine risultano non stabilizzate ed ancora caratterizzate da grave fragilità e da condizioni molto critiche del sistema giudiziario/penitenziario rispetto al quale egli ha esternato il timore del rischio di compromissione del nucleo ineliminabile dei diritti fondamentali della persona (cfr. Cass. 4455/2018; Cass. SU 29860/2019).

6.5. E’ stato, al riguardo, definitivamente chiarito, quanto ai presupposti necessari per ottenere la protezione umanitaria, che:

a. non si può trascurare la necessità di collegare la norma che la prevede ai diritti fondamentali che l’alimentano.

b. le relative basi normative sono “a compasso largo”: l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali, col sostegno dell’art. 8 Cedu, promuove l’evoluzione della norma, elastica, sulla protezione umanitaria “a clausola generale di sistema”, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l’attuazione.

c. deve essere, pertanto, ribadito l’orientamento di questa Corte (inaugurato da Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, e seguito, tra le altre, da Cass. 19 aprile 2019, n. 11110 e da Cass. n. 12082/19, cit., nonchè dalla prevalente giurisprudenza di merito) che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa, ex art. 8 CEDU, tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro Paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale.

7. Pertanto, il decreto – che non ha fatto corretta applicazione di tali principi – deve essere, in parte qua, cassato con rinvio al Tribunale di Venezia in diversa composizione per il riesame della controversia alla luce dei principi di diritto sopra evidenziati e valutando, nei termini comparativi richiamati, la condizione del ricorrente con particolare riferimento al livello di integrazione raggiunto anche attraverso il lavoro, e, sulla base di informazioni aggiornate alla data della decisione provenienti da fonti ufficiali, le condizioni sociali e giudiziarie del paese di provenienza al fine di verificare se l’eventuale rimpatrio possa compromettere il nucleo ineliminabile dei suoi diritti fondamentali.

8. Il Tribunale di rinvio dovrà altresì decidere in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE

accoglie il terzo motivo di ricorso e rigetta gli altri; cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia al Tribunale di Venezia in persone di diverso giudice per il riesame della controversia ed anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione terza civile della Corte di Cassazione, il 28 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2020

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