Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8569 del 10/04/2010

Cassazione civile sez. III, 10/04/2010, (ud. 25/02/2010, dep. 10/04/2010), n.8569

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 6092-2009 proposto da:

FACCI E FACCI SRL già Nuova Vanti e Facci Spa, in persona del suo

amministratore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

XXI APRILE 12, presso lo studio dell’avvocato PIZZINO ALESSANDRO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MOSCHETTA WILLIAM,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

KIA MOTORS ITALIA SPA, (d’ora in avanti per brevità KIA), in persona

del suo legale rappresentante amministratore delegato, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA G. NICOTERA 29, presso lo studio

dell’avvocato ALLOCCA GIORGIO, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati BULLO CLAUDIO, MAGGIAR ERIC ANTONIO, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 412/2008 della CORTE D’APPELLO di MILANO del

15/01/08, depositata il 12/02/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/02/2010 dal Consigliere Relatore Dott. MAURIZIO MASSERA;

udito l’Avvocato Pizzino Alessandro, difensore della ricorrente che

si riporta agli scritti;

udito l’Avvocato Allocca Giorgio, difensore della controricorrente

che si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. LIBERTINO ALBERTO RUSSO che

ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

La Corte letti gli atti depositati:

 

Fatto

OSSERVA

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato il 6 marzo 2009 la Facci & Facci S.r.l. ha chiesto la cassazione della sentenza, non notificata, depositata in data 12 febbraio 2008 dalla Corte d’Appello di Milano che, in riforma della sentenza del Tribunale, aveva respinto la sua domanda di risarcimento danni a seguito dell’intervenuta disdetta del rapporto contrattuale intercorso con la Kia Motors Italia.

Quest’ultima ha resistito con controricorso.

2 – I tre motivi del ricorso risultano inammissibili, poichè la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366-bis c.p.c..

Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360 c.p.c., per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella dei 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

3. – Con il primo motivo la ricorrente denuncia errata valutazione della prova; violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c..

La censura affronta il tema – valorizzato dalla Corte territoriale ai fini della decisione – della necessità “di riorganizzare l’insieme o una parte sostanziale della rete” per assumere che, contrariamente a quanto da essa affermato, nessuno dei documenti in atti e neppure la prova testimoniale la dimostrano.

Ma è orientamento costante (confronta, tra le altre, le recenti Cass. Sez. Un. n. 28547 del 2008; Cass. Sez. 3 n. 22302 del 2008) che, in tema di ricorso per cassazione, a seguito della riforma ad opera dei D.Lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 c.p.c., comma 6, oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità. In altri termini, il ricorrente per cassazione, ove intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 – di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento. La violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile. La ricorrente non ha ottemperato agli oneri sopra indicati. Inoltre il quesito finale non postula l’enunciazione di un principio di diritto basato sulle norme indicate decisivo per il giudizio e di applicabilità generalizzata, ma piuttosto si attesta su un’istanza di verifica dell’apprezzamento che la Corte d’Appello ha fatto delle risultanze processuali.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del regolamento Cee n. 1475/95 e dell’art. 2697 e segg.

c.c..

Anche a tale proposito non viene formulato un quesito di diritto rispondente ai criteri sopra enunciati, ma sostanzialmente si chiede di stabilire su chi gravasse l’onere probatorio riguardo alle condizioni previste dalla normativa Cee. Inoltre tale quesito appare del tutto svincolato dal caso specifico e dalla motivazione della sentenza impugnata che ha ritenuto la documentazione versata in atti idonea a dimostrare l’assunto della Kia.

Con il terzo motivo viene ipotizzata errata interpretazione degli artt. 1226 e 113 c.p.c.. La censura riguarda il capo della sentenza che ha dichiarato carente la prova del danno che la ricorrente assumeva avere subito a fronte della liquidazione equitativa cui aveva fatto ricorso il Tribunale.

Ma la questione, che non può essere risolta senza esaminare gli atti ed esprimere valutazioni di merito, risulta priva d’interesse dal momento che la soluzione adottata dalla Corte territoriale rendeva superfluo il relativo accertamento.

D’altra parte il quesito finale presenta le medesime caratteristiche negative evidenziate per i precedenti.

4.- La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;

La ricorrente ha presentato memoria; entrambe le parti hanno chiesto d’essere ascoltate in camera di consiglio;

Le argomentazioni addotte dalla ricorrente con la memoria non trattano il tema della rilevata violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 e non dimostrano il puntuale assolvimento dell’onere processuale imposta dall’art. 366 bis c.p.c.;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione;

che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ..

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2010

 

 

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