Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8566 del 26/03/2021

Cassazione civile sez. un., 26/03/2021, (ud. 23/02/2021, dep. 26/03/2021), n.8566

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8915-2020 proposto da:

N.F., L.F., difesi in proprio elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA G.G. BELLI N. 36, presso lo studio

dell’avvocato ROMANO CERQUETTI;

– ricorrenti –

contro

LE.RO., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE

ANTONIO GUATTIERI 15, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

MARTINELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato RAFFAELE DI PONZIO

giusta procura in calce al controricorso;

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, P.LE CLODIO 12

(CELL. (OMISSIS)), presso lo studio dell’avvocato LUISA TALDONE, che

lo rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

nonchè contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE PRESSO IL TRIBUNALE DI TARANTO, elettivamente

domiciliato in ROMA, P.LE CLODIO 12, presso lo studio dell’avvocato

LUISA TALDONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CARLO PANZUTI,

in virtù di procura in calce al controricorso;

– ricorrente incidentale –

nonchè contro

R.P., + ALTRI OMESSI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 17/2020 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE di

ROMA, depositata il 07/02/2020;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. MAURO

CRISCUOLO;

lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CAPASSO LUCIO, che ha chiesto il rigetto

del ricorso principale unito alla posizione dell’avv. M., la

declaratoria di inammissibilità del ricorso quanto alla posizione

dell’avv. Le., con assorbimento del ricorso incidentale

condizionato;

lette le memorie dei ricorrenti principali, del ricorrente

incidentale e del controricorrente avv. M..

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso depositato in data 29 maggio 2019 presso il COA di Taranto gli avv. N.F. e L.F. hanno proposto reclamo avverso la candidatura e la conseguente proclamazione come eletti degli avv. M.F. e Le.Ro., impugnando contestualmente il verbale della seduta del COA di primo insediamento.

Deducevano che gli avv. Le. e M. erano stati ammessi a partecipare alle elezioni per il rinnovo del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto a seguito di decisione della Commissione Elettorale del 2 maggio 2019, nella quale si affermava che la verifica delle condizioni di eleggibilità andava rimessa all’esito delle elezioni ed in fase di proclamazione.

Tenutesi le elezioni, la Commissione riteneva che l’avv. Le. fosse ineleggibile in quanto componente del COA per le consigliature 2011-2013 e 2014-2018, senza che con riferimento alla consiliatura 2019-2022 fosse trascorso un numero di anni pari a quello del precedente mandato, mentre in relazione alla posizione dell’avv. M., si esprimeva per la sua eleggibilità, poichè, sebbene fosse stato consigliere nelle consigliature 2011-2013 e 2014-2018, era trascorso dall’ultimo mandato alla nuova elezione un numero di anni maggiore della durata dell’ultimo mandato, posto che l’ultimo mandato era iniziato il 9/2/2015 ed era terminato 11 13/3/2017 a seguito di dimissioni dell’interessato, sicchè al momento della conclusione delle operazioni elettorali erano trascorsi 797 giorni dalla data della conclusione del precedente mandato.

Deducevano i reclamanti che sia l’avv. M. che l’avv. Le. non potevano essere ammessi alla competizione elettorale alla luce delle previsioni di cui alla L. n. 113 del 2017, art. 3, comma 3 e della L. n. 2 del 2019, avendo già svolto due mandati consecutive e non essendo trascorso un tempo superiore alla durat&dell’ultimo mandato svolto prima della candidatura alle nuove elezioni, essendo quindi incandidabili. Per l’effetto hanno chiesto dichiararsi l’incandidabilità o l’ineleggibilità dei detti avvocati, con l’annullamento in parte qua del verbale di ammissione delle candidature e dell’atto di proclamazione degli eletti, con il conseguente scorrimento della graduatoria.

Nella resistenza del COA di Taranto nonchè degli avv. M. e Le., il CNF, con la sentenza n. 17 del 7 febbraio 2020, ha dichiarato la cessazione della materia del contendere, con riferimento alla posizione dell’avv. Le., ed ha rigettato il reclamo.

In primo luogo, rilevava che nelle more del giudizio erano intervenute le dimissioni dell’avv. Le., con subentro nella funzione di consigliere del primo dei non eletti, il che determinava in parte la cessazione della materia del contendere.

Rilevava l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del reclamo, in quanto non notificato nel termine decadenziale di legge alle parti necessarie del giudizio, e cioè al COA ed a tutti i consiglieri eletti.

A tal fine riscontrava che il ricorso era stato depositato nel termine di cui al R.D. n. 37 del 1934, art. 59 richiamato dalla L. n. 247 del 2012, art. 36 sicchè andava fatta applicazione del principio giurisprudenziale per cui il reclamo elettorale è ammissibile, ove depositato nel termine prescritto, anche in difetto di preventiva notifica ad uno solo degli eletti, essendo compito dell’organo di giurisdizione domestica disporre la costituzione del contraddittorio.

Nella specie, pur a fronte del tempestivo deposito del ricorso, il COA non aveva provveduto agli adempimenti di legge, ma non poteva reputarsi leso il rispetto del contraddittorio, in quanto sia il COA che i consiglieri Le. e M. si erano regolarmente costituiti, e che anche il PG aveva ritualmente ricevuto gli avvisi di fissazione dell’udienza, partecipando alle udienze tenutesi nei mesi di settembre ed ottobre, senza sollevare alcuna eccezione, anzi concludendo per il rigetto di quella proposta dal COA.

Inoltre, non rilevava la mancata notifica del reclamo ai singoli consiglieri, in quanto l’accoglimento dello stesso avrebbe comportato la decadenza dei soli consiglieri ritenuti ineleggibili senza alcuna conseguenza per coloro che non sono investiti dalle contestazioni.

La sentenza, disattesa altresì l’eccezione di improponibilità o inammissibilità della domanda, risultando coerente con le allegazioni svolte la richiesta di dichiarare la nullità degli atti del procedimento elettorale limitatamente alla posizione dei consiglieri Le. e M., riteneva però infondato il reclamo. Dopo avere affermato che il limite del doppio mandato costituisce una causa di ineleggibilità e non anche di incandidabilità, così che la sua verifica va compiuta all’esito della procedura elettorale, riteneva che l’avv. M. fosse rieleggibile.

Infatti, questi aveva sì svolto due mandati consecutivi, ma il secondo aveva avuto una durata dal 9/2/2015 al 13/3/2017, sicchè doveva farsi applicazione della previsione di cui alla L. n. 113 del 2017, art. 3, comma 3 che dispone che tra l’ultimo mandato e la nuova competizione elettorale debba trascorrere un numero di anni eguale agli anni in cui si è svolto il precedente mandato, sicchè la ricandidatura non è impedita una volta decorso tale periodo di tempo.

Le elezioni per il rinnovo del COA di Taranto erano state indette il 12 aprile 2019 sicchè, se è pur vero che per la ricorrenza dei due mandati consecutivi superiori al biennio deve farsi riferimento alla durata legale dell’organo nel suo insieme, ai fini della rielezione del singolo consigliere, occorre considerare il periodo in cui in concreto questi abbia svolto le relative funzioni.

Nella specie emergeva quindi che tra la data delle dimissioni (13 marzo 2017) e quella dell’indizione delle successive elezioni (12 aprile 2019) erano decorsi oltre due anni, il che consentiva l’eleggibilità dell’avv. M..

2. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso gli avv. N.F. e L.F. sulla base di otto motivi. Gli avv. Le.Ro. e M.F. hanno resistito con separati controricorsi.

Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto ha a sua volta resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale condizionato affidato ad un motivo.

I ricorrenti principali, il ricorrente incidentale ed il controricorrente avv. M. hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.

Il ricorso è stato quindi esaminato in camera di consiglio senza l’intervento del Procuratore generale e dei difensori delle parti, secondo la disciplina dettata dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di conversione 18 dicembre 2020, n. 176.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso principale denuncia la violazione della L. n. 113 del 2017, art. 3, comma 3, II periodo, e comma 4 nonchè l’erronea interpretazione del D.L. n. 135 del 2018, art. 11 quinquies conv. in L. 11 febbraio 2019, n. 12 in riferimento all’ineleggibilità dell’avv. M..

Si deduce che alla luce della normativa applicabile, come interpretata dalla Suprema Corte nonchè dagli stessi precedenti del CNF, il riferimento ai mandati consecutivi che implicano il divieto di eleggibilità non può soffrire eccezioni in relazione alla situazione personale di un singolo consigliere, ove questi si sia anticipatamente dimesso, essendo invece necessario fare riferimento alla durata della carica consiliare come prevista per legge.

Nella specie, la decisione gravata, oltre ad avere arbitrariamente trasformato quella che è una causa di incandidabilità in una causa di ineleggibilità, ha rimosso l’ostacolo alla stessa presentazione della candidatura, sebbene l’avv. M. avesse svolto due mandati consecutivi, prima di quello cui si riferisce il reclamo oggetto di causa.

Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge per erronea interpretazione della L. n. 113 del 2017, art. 3, comma 3, III periodo, in quanto, con riferimento alla incandidabilità dell’avv. M., il CNF utilizza un criterio legato ad eventi soggettivi e non al criterio oggettivo invece previsto dalla norma.

Si evidenzia la differenza tra gli istituti della incandidabilità e della ineleggibilità, sottolineandosi come la prima precluda in radice la stessa possibilità di partecipazione alla competizione elettorale.

La norma di cui alla L. n. 113 del 2017, art. 3, comma 3, III periodo, prevede una causa di incandidabilità che è rimossa solo con il decorso di un numero di anni uguale agli anni nei quali si è svolto il precedente mandato.

Il CNF, oltre a non fornire risposta alla richiesta dei ricorrenti di statuire circa la necessità di verificare la candidabilità ancor prima dell’inizio della tornata elettorale, ha parificato la nozione di incandidabilità a quella di ineleggibilità ed ha considerato che il dato temporale, individuato come necessario per la ripresentazione della candidatura, sia riferito alla durata di svolgimento effettivo del mandato da parte dell’interessato e non anche a quello oggettivo, riferito cioè alla durata della precedente consiliatura.

Il riferimento alla durata soggettiva del mandato, peraltro, consentirebbe di aggirare il divieto legale, in quanto il singolo consigliere potrebbe dimettersi il giorno prima della scadenza del biennio dall’inizio del mandato, fruendo in tal modo della previsione che non considera i mandati inferiori ai due anni, con la possibilità di potersi sempre ripresentare alle successive elezioni.

Il terzo motivo del ricorso principale lamenta la violazione per erronea applicazione della L. n. 113 del 2017, art. 3, comma 3, III periodo, conseguente all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in riferimento al criterio di calcolo del tempo previsto dal detto III periodo.

Nel richiamare la distinzione tra incandidabilità ed ineleggibilità, e ribadito che nella specie si verte in un’ipotesi di incandidabilità, il CNF ha errato nel ritenere che le elezioni fossero state indette dal COA in data 12 aprile 2019, dando rilievo ad un documento non decisivo, ed omettendo di esaminare invece altri documenti.

Tale erronea valutazione ha poi inciso anche sull’individuazione del tempo trascorso dall’ultima consiliatura dell’avv. M..

Si evidenzia che le elezioni furono indette con Delib. 10 dicembre 2018 e, a seguito della previsione di cui al D.L. n. 2 del 2019, furono differite a data da stabilirsi, con successiva Delib. 14 gennaio 2019.

Quindi con Delib. 11 febbraio 2019 è stata fissata per le elezioni la data del 16-18 maggio 2019, giorni in cui le stesse si sono effettivamente svolte.

La data del 12 aprile 2019 non è quella di indizione delle nuove elezioni, rispetto alle quali va valutata la candidabilità, ma è solo quella cui risale una comunicazione agli iscritti.

Ne consegue che è frutto di un’erronea lettura del materiale probatorio la conclusione del CNF secondo cui, rispetto alla data delle dimissioni del M. (14/3/2017), sarebbe decorso un periodo di tempo superiore a quello del precedente mandato.

Il quarto motivo del ricorso principale denuncia l’erronea interpretazione della L. n. 113 del 2017, art. 3, comma 3, nella forma della violazione dei criteri di cui all’art. 12 preleggi. Si ribadisce che nella fattispecie si verte in un’ipotesi di incandidabilità e che la conclusione del CNF ha di fatto eliso la differenza voluta dal legislatore rispetto alle diverse ipotesi di ineleggibilità, in violazione dei canoni di interpretazione letterale, logico e sistematico.

Il quinto motivo del ricorso principale denuncia l’erronea interpretazione della L. n. 113 del 2017, art. 3, comma 3, nella forma della violazione dell’art. 12 preleggi, per avere il CNF interpretato la norma contro la ratio legis volta a limitare la durata dei mandati.

La soluzione cui è pervenuta la sentenza gravata finirebbe, infatti, per consentire all’avv. M. di svolgere le funzioni di consigliere per 4 mandati (con la sola eccezione del periodo conseguente alle dimissioni volontarie), mentre al contempo impedirebbe la ricandidatura ai consiglieri che dopo due mandati consecutivi non si siano ricandidati.

Si richiama la finalità della legge, come individuata dagli interventi di queste Sezioni Unite e della Corte Costituzionale, e si evidenzia che l’approdo del giudice elettorale vanificherebbe lo scopo voluto dal legislatore, e ritenuto non in contrasto con i principi della Costituzione.

Il sesto motivo del ricorso principale denuncia l’erronea interpretazione della L. n. 113 del 2007, art. 3, comma 3 nella forma della violazione dell’art. 12 preleggi, sull’erroneo presupposto che il CNF abbia interpretato la norma in senso costituzionalmente orientato, mentre invece ha gravemente disatteso i principi costituzionali.

Una volta individuata la ratio della norma nell’esigenza di assicurare la più ampia partecipazione degli iscritti alla vita degli enti associativi, aderendo alla soluzione del CNF, in tutte le ipotesi in cui i Consigli degli Ordini hanno disposto il differimento delle elezioni oltre la data prevista dalla L. n. 247 del 2012 (31 gennaio), se si ha come riferimento la durata soggettiva del mandato, tutti i consiglieri reduci da due mandati che sono rimasti in carica per effetto del differimento, non potrebbero ricandidarsi alla tornata elettorale successiva a quella nella quale non si siano presentati, ove la stessa si svolga invece nel rispetto del termine di legge, non potendo vantare il requisito del decorso di un periodo di tempo superiore a quello del numero degli anni in cui si è svolto il precedente mandato.

Il settimo motivo del ricorso principale denuncia l’erronea interpretazione della L. n. 113 del 2017, art. 3, comma 3, nella forma della violazione dell’art. 12 preleggi, per irragionevolezza di una diversa interpretazione.

Si denuncia che la soluzione fatta propria dal CNF creerebbe in occasione delle prossime elezioni un’irragionevole disparità di trattamento tra coloro che hanno ritirato la propria candidatura, per evitare di incorrere nel divieto del doppio mandato consecutivo, e l’avv. M., con il rischio di trattamenti differenziati a seconda della data individuata dai singoli COA per lo svolgimento delle elezioni, in quanto ove le stesse si siano svolte entro la data legale del 31 gennaio 2019, per i consiglieri non ricandidatisi sarebbe possibile ripresentarsi alle elezioni successive, essendo invece tale facoltà preclusa per quelli rimasti in carica solo in ragione del differimento della data di svolgimento delle elezioni.

L’ottavo motivo del ricorso principale denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per non essersi il CNF pronunciato sulla mancata osservanza da parte della Commissione elettorale del dovere di pronunciarsi circa la non candidabilità ed ineleggibilità degli avv. M. e Le., ai sensi dell’art. 9, comma 5, in relazione alla L. n. 113 del 2017, art. 3 ed all’art. 8.

Si deduce che la verifica della incandidabilità andava svolta dalla Commissione elettorale la quale vi aveva invece soprasseduto.

A tal fine si era sollecitato il CNF a fornire un indirizzo interpretativo univoco in merito ai doveri della Commissione, ma a tale sollecitazione non è stata fornita risposta.

2. L’unico motivo di ricorso incidentale del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, espressamente condizionato, e comunque tale per legge (cfr. Cass. S.U. n. 7381/2013, secondo cui, in tema di giudizio di cassazione, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni preliminari di merito o pregiudiziali di rito – quale, nella specie, improponibilità dell’appello, comunque rigettato, in relazione all’intervenuta rinuncia preventiva all’impugnazione, disattesa nella sentenza gravata sul presupposto della nullità di detta rinuncia – ha natura di ricorso condizionato all’accoglimento del ricorso principale, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, sicchè, laddove le medesime questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte solo in presenza dell’attualità dell’interesse, ovvero unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale; conf. Cass. n. 6138/2018), denuncia l’erronea decisione circa l’eccezione di inammissibilità del reclamo elettorale in quanto tardivamente proposto.

Si deduce che erroneamente il CNF ha ritenuto che sia sufficiente il mero deposito del reclamo presso il COA, e ciò a prescindere anche dalla sua notifica, essendo invece onere dello stesso COA quello di provvedere all’immediata comunicazione alle parti ed al PM.

Si evidenzia che, però, si tratta di soluzione ancorata alla precedente giurisprudenza di legittimità e che non tiene conto del mutamento del quadro normativo. Le Sezioni Unite chiamate a pronunciarsi in materia disciplinare forense, per la quale opera la medesima previsione di cui al R.D. n. 37 del 1934, art. 59 hanno infatti affermato che il ricorso al CNF debba necessariamente proporsi con notifica alle parti necessarie del giudizio e che il deposito sia solo successivo.

Ciò comporta che anche il reclamo elettorale debba essere previamente notificato ai controinteressati, e cioè al COA ed a tutti i consiglieri eletti, con la conseguenza che, in assenza di notifica, il mero deposito, ancorchè effettuato nel termine di dieci giorni dalla proclamazione degli eletti, non impedisce il maturare della decadenza.

3. Preliminarmente ritiene la Corte che debbano essere disattese le eccezioni di inammissibilità del ricorso principale sollevate dalla difesa dei controricorrenti, in quanto il mezzo di gravame è stato redatto in conformità dei canoni di forma sostanza prescritti dalla legge per la rituale proposizione del ricorso per Cassazione, nel rispetto del dettato dell’art. 366 c.p.c.

Nè appare rinvenibile la diversa causa di inammissibilità di cui all’art. 360 bis c.p.c., n. 1, posto che il tema investito dalla presente controversia, pur trovando un riferimento nell’interpretazione normativa che è stata offerta della L. n. 113 del 2017, art. 3 involge un profilo che non è stato interessato da precedente di questa Corte e che sollecita, come si avrà modo di illustrare nel prosieguo della motivazione, una puntualizzazione dell’ambito applicativo della norma, in ragione della peculiarità in fatto della vicenda.

3.1 Sempre in via preliminare la Corte rileva che non risulta specificamente impugnata la sentenza del CNF quanto alla declaratoria di cessazione della materia del contendere relativamente alla posizione dell’avv. Le. in ragione delle sue intervenute dimissioni, sicchè deve ritenersi che, allorchè nella formulazione del secondo e dell’ottavo motivo di ricorso si faccia richiamo anche all’avv. Le., ciò sia spiegabile non già con l’intento di sollecitare una decisione anche sulla posizione di quest’ultimo, quanto al fine di evidenziare come le censure inizialmente proposte accomunavano la situazione di entrambi i consiglieri eletti, sul presupposto che le ragioni che ne avrebbero impedito l’elezione erano comuni.

L’evocazione in questa sede dell’avv. Le. appare quindi funzionale essenzialmente allo scopo di assicurare l’integrità del contraddittorio, ma non sollecita alcuna richiesta di cassazione della pronuncia quanto alla detta declaratoria di parziale cessazione della materia del contendere.

4. I primi sette motivi di ricorso principale, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono fondati.

4.1 Le norme di riferimento.

La L. n. 113 del 2017, art. 3 così recita:

“1. I componenti del consiglio sono eletti dagli avvocati iscritti all’ordine ai sensi della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 25 con voto segreto, in base alle disposizioni della presente legge.

2. Hanno diritto al voto gli avvocati che risultano iscritti negli albi e negli elenchi dei dipendenti degli enti pubblici e dei docenti e ricercatori universitari a tempo pieno e nella sezione speciale degli avvocati stabiliti, il giorno antecedente l’inizio delle operazioni elettorali. Sono esclusi dal diritto di voto gli avvocati per qualunque ragione sospesi dall’esercizio della professione.

3. Sono eleggibili gli iscritti che hanno diritto di voto, che non abbiano riportato, nei cinque anni precedenti, una sanzione disciplinare esecutiva più grave dell’avvertimento. Fermo restando quanto previsto al comma 4, i consiglieri non possono essere eletti per più di due mandati consecutivi. La ricandidatura è possibile quando sia trascorso un numero di anni uguale agli anni nei quali si è svolto il precedente mandato.

4. Dei mandati di durata inferiore ai due anni non si tiene conto ai fini del rispetto del divieto di cui al secondo periodo del comma 3.”

Successivamente è intervenuto il D.L. n. 2 del 2019, art. 1 con una norma di interpretazione autentica la quale recita che:

1. la L. 12 luglio 2017, n. 113, art. 3, comma 3, secondo periodo, si interpreta nel senso che, ai fini del rispetto del divieto di cui al predetto periodo, si tiene conto dei mandati espletatati, anche solo in parte, prima della sua entrata in vigore, compresi quelli iniziati anteriormente all’entrata in vigore della L. 31 dicembre 2012, n. 247. Resta fermo quanto previsto dalla L. 12 luglio 2017, n. 113, art. 3, comma 3, terzo periodo, e comma 4.

2. Per il rinnovo dei consigli degli ordini circondariali degli avvocati scaduti il 31 dicembre 2018, l’assemblea di cui alla L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 27, comma 4, secondo periodo, si svolge entro il mese di luglio 2019.” Tale norma è stata poi abrogata dalla L. n. 12 del 2019, art. 1 che ha al contempo, con l’art. 11 quinquies, così disposto:

“Art. 11-quinquies (Interpretazione autentica della L. 12 luglio 2017, n. 113, art. 3, comma 3, secondo periodo, e proroga del termine di cui alla L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 27, comma 4). – 1. La L. 12 luglio 2017, n. 113, art. 3, comma 3, secondo periodo, si interpreta nel senso che, ai fini del rispetto del divieto di cui al predetto periodo, si tiene conto dei mandati espletati, anche solo in parte, prima della sua entrata in vigore, compresi quelli iniziati anteriormente all’entrata in vigore della L. 31 dicembre 2012, n. 247. Resta fermo quanto previsto dalla L. 12 luglio 2017, n. 113, art. 3, commi 3, terzo periodo, e comma 4.

2. Per il rinnovo dei consigli degli ordini circondariali degli avvocati scaduti il 31 dicembre 2018, l’assemblea di cui alla L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 27, comma 4, secondo periodo, si svolge entro il mese di luglio 2019.

3. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.”.

4.2 Questa Corte è stata chiamata a fornire la corretta interpretazione della previsione di cui alla L. n. 113 del 2017, art. 3 e queste Sezioni Unite si sono espresse nel senso che l’espressione “due mandati consecutivi”, da essa utilizzata, deve intendersi riferita anche ai mandati espletati anche soltanto parzialmente prima della sua entrata in vigore, con la conseguenza che, a far data dall’entrata in vigore della L. n. 113 del 2017, e fin dalla sua prima applicazione in forza dell’art. 17, comma 3 stessa legge, non erano eleggibili gli avvocati che avessero già espletato due mandati consecutivi (esclusi quelli di durata inferiore al biennio, ai sensi del comma 4 del medesimo art. 3) di componente del consiglio dell’ordine, anche se solo in parte sotto il regime anteriore alle riforme di cui alle L. n. 247 del 2012 e L. n. 113 del 2017 (cfr. Cass., Sez. Un., 19/12/2018, n. 32781).

Tale interpretazione ha poi trovato conferma nel D.L. n. 135 del 2018, art. 11-quinquies, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. 11 febbraio 2019, n. 12, con cui il legislatore ha appunto fornito l’interpretazione autentica della disposizione in esame, stabilendo che, fermo restando quanto disposto dal terzo periodo e dall’art. 3, comma 4 ai fini del rispetto del divieto si tiene conto dei mandati espletati, anche solo in parte, prima della sua entrata in vigore, compresi quelli iniziati anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 247 del 2012.

In seguito, la Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale del plesso normativo in questione, escludendo, da un lato, il contrasto della L. n. 113 del 2017, art. 3, comma 3, secondo periodo, con gli artt. 3,48 e 51 Cost., sotto il profilo dell’irragionevole limitazione del diritto di elettorato attivo e passivo, e con gli artt. 2,3,18 e 118 Cost., sotto il profilo dell’illegittima ed irragionevole compressione dell’ambito di autonomia riservato agli ordini circondariali forensi, e dall’altro, il contrasto del D.L. n. 135 del 2018, art. 11-quinquies con gli artt. 2,3,18,48,51 e 118 Cost., sotto il profilo del superamento dei limiti di ragionevolezza delle norme retroattive di interpretazione autentica (cfr. Corte Cost., sent. n. 173 del 2019). Per effetto di tali disposizioni, lo svolgimento di due mandati consecutivi di componente del consiglio dell’ordine degli avvocati, anche per una parte soltanto di ciascun quadriennio (ma per un periodo non inferiore ad un biennio) comporta pertanto l’ineleggibilità alla medesima carica per un ulteriore quadriennio, ancorchè il duplice mandato sia stato in parte espletato in epoca anteriore all’entrata in vigore della L. n. 113 del 2017; in senso conforme da ultimo Cass. S.U. n. 2603/2021).

La Corte Costituzionale ha in particolare sottolineato come l’interpretazione della norma offerta da questa Corte, che impedisce la candidatura per il terzo mandato “consecutivo”, di conseguenza consentendola una volta decorsa una tornata elettorale dopo l’espletamento del secondo mandato consecutivo (essendo però possibile il terzo mandato ove uno dei due precedenti mandati non abbia raggiunto la durata di due anni), mira a valorizzare le condizioni di eguaglianza che l’art. 51 Cost. pone alla base dell’accesso alle cariche elettive, uguaglianza che sarebbe compromessa da una competizione che possa essere influenzata da coloro che ricoprono da due (o più) mandati consecutivi la carica per la quale si concorre e che abbiano potuto così consolidare un forte legame con una parte dell’elettorato.

La previsione mira altresì ad assicurare il fisiologico ricambio all’interno dell’organo, bloccando l’emersione di forme di cristallizzazione della rappresentanza, in linea con il principio del buon andamento dell’amministrazione, anche nelle sue declinazioni di imparzialità e trasparenza, in particolar modo se riferito agli ordini forensi che concorrono in senso lato all’amministrazione della giustizia ed al diritto di difesa.

4.3 La peculiarità della vicenda, relativamente alla condizione dell’avv. F., è costituita dal fatto che questi, dopo avere svolto un primo mandato relativo al biennio 2011-2013, è stato rieletto anche per la successiva consiliatura 2014-2018, ma si è volontariamente dimesso in data 13/3/2017, anticipatamente rispetto al termine finale della consiliatura, ripresentandosi quindi per la successiva tornata elettorale 2019-2022.

La tesi dei ricorrenti principali si fonda sul rilievo che quello in esame sarebbe il terzo mandato consecutivo, in quanto frutto dell’elezione avvenuta all’esito della consiliatura nella quale era stato espletato il secondo mandato, appunto consecutivo, non potendo assumere pregnanza la decisione di dimissioni anticipate e la decorrenza di un lasso temporale, pari a quello intercorrente tra la data delle dimissioni e quella delle nuove elezioni, di mancato svolgimento delle funzioni di consigliere pari a quello della durata del precedente mandato.

A tale tesi si contrappone quella dell’avv. F. che ritiene che le intervenute dimissioni abbia fatto venire meno il carattere della consecutività, e che il mancato svolgimento delle funzioni di consigliere a seguito delle dimissioni, in ragione del tempo trascorso, permetterebbe la ripresentazione della candidatura. Tale ultima opinione è stata fatta propria dal CNF nella decisione gravata, che ha valorizzato la previsione del citato art. 3, comma 3, quarto periodo che consente la ricandidatura “quando sia trascorso un numero di anni uguale agli anni nei quali si è svolto il precedente mandato”.

Ancorchè l’avv. M. abbia espletato il secondo mandato di consigliere per un periodo superiore al biennio (il che ne impedirebbe la sterilizzazione ai fini dell’applicazione del divieto, come invece previsto dall’art. 3, comma 4 e ciò anche a voler ritenere che siffatta previsione faccia riferimento ad un criterio di valutazione soggettivo) si è ritenuto che la valutazione della consecutività del mandato debba essere compiuta alla luce della durata soggettiva del mandato, riferita cioè al concreto svolgimento delle funzioni per il singolo consigliere, e non avuto riguardo alla durata dell’intera consiliatura, di guisa che è possibile la ripresentazione per la terza tornata elettorale, essendo decorso un periodo di tempo pari o superiore a quello per il quale era perdurato il precedente mandato.

A tale soluzione si contrappone la tesi invece sostenuta in ricorso principale che fa leva sulla tendenziale assolutezza del divieto di cui all’art. 3, comma 3, secondo periodo, che preclude la ripresentazione per l’elezione immediatamente successiva alla consiliatura in cui, anche se solo in parte, sia stato espletato il secondo mandato, non potendo incidere il profilo temporale, rappresentato dal fatto che, per effetto delle dimissioni volontarie, siano state esercitate le funzioni di consigliere per un periodo di anni pari a quello intercorso dalle dimissioni sino alla data della nuova consultazione.

Ritiene la Corte che debba darsi preferenza alla tesi interpretativa dei ricorrenti principali.

4.4 In premessa, però, deve rilevarsi come sia sterile ed improduttiva di immediate conseguenze ai fini della risoluzione della questione la qualificazione del divieto di immediata ripresentazione, per colui che abbia solto due mandati consecutivi, in termini di ineleggibilità ovvero di incandidabilità, sulla quale si sofferma ampiamente la difesa dei ricorrenti.

Tradizionalmente si osserva che sia l’incandidabilità sia l’ineleggibilità incidono in senso preclusivo direttamente sulla posizione della candidatura, come peraltro confermato dalla stessa giurisprudenza costituzionale, che, sia pure in relazione alle cariche locali, ha costantemente messo in rilievo, in riferimento ad entrambi gli istituti, gli effetti preclusivi sulla posizione della candidatura, arrivando addirittura a qualificare – sia pure incidentalmente ed in esclusivo riferimento alle cariche locali – l’incandidabilità come una “particolarissima causa di ineleggibilità” (Corte Cost. sentt. n. 407 del 1992 e n. 141 del 1996), in una prospettiva di tendenziale sovrapposizione tra i due istituti, in quanto comunque “espressione del venir meno di un requisito soggettivo per l’accesso alle cariche” (Corte Cost. sent. n. 132 del 2001).

Tuttavia la questione della differenza tra le due figure non appare essere rilevante nella fattispecie, in quanto, anche a voler accedere alle tesi più rigorosa dei ricorrenti principali secondo cui si tratterebbe di un’ipotesi di incandidabilità da dover verificare prima dello svolgimento delle operazioni di voto e quindi al momento in cui le elezioni sono state indette, ritiene la Corte che la presenza dei requisiti imposti a pena di incandidabilità debba sussistere alla scadenza del termine previsto per la presentazione delle candidature, essendo erroneo il diverso riferimento alla data di indizione delle elezioni, sulla quale pure si appuntano le osservazioni dei ricorrenti.

A questo fine rileva la previsione di cui alla L. n. 113 del 2017, art. 8, comma 2 che fissa il termine per le candidature “a pena di irricevibiltà, entro le ore dodici del quattordicesimo giorno antecedente quello fissato per l’inizio delle operazioni di voto, mediante deposito presso il consiglio dell’ordine di dichiarazione sottoscritta dall’interessato e resa ai sensi degli artt. 46 e 47 testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445.”.

La norma in esame trova poi logico sviluppo nel seguente art. 9, che prevede che, scaduto il termine per la presentazione delle candidature, il presidente costituisce la commissione elettorale.

Alla luce delle norme applicabili, si osserva che il COA di Taranto aveva inizialmente indetto le elezioni per il quadriennio 2019/2022 per le date del 17-19 gennaio 2019, e che nel successivo avviso dell’11 dicembre 2018, in conformità della legge, si era fissata la data del 3 gennaio 2019 come termine per la presentazione delle candidature (e senza che tale termine, essendo la sua determinazione frutto della diretta applicazione della norma fosse stato individuato nella precedente delibera del COA).

Il successivo differimento della data delle elezioni, dapprima a data da stabilirsi (con Delib. 14 gennaio 2019) e poi alle date del 16-19 maggio 2019 (con Delib. 11 febbraio 2019), ha determinato in via automatica, quale effetto della previsione di cui all’art. 8 citato, anche il differimento della data di presentazione delle candidature al quattordicesimo giorno anteriore alla data di inizio delle operazioni di voto, e quindi al 2 maggio 2019.

Ed, infatti, in tale data si è riunita la Commissione elettorale al fine dell’esame delle candidature, senza che assuma rilevanza la circostanza che nessuno dei candidati si fosse avvalso dell’automatico differimento anche della data prescritta per la presentazione delle candidature.

La data del 12 aprile 2019, individuata dal CNF come idonea a verificare il rispetto della previsione della L. n. 113 del 2017, art. 3, comma 3, terzo periodo, è in questo senso addirittura anteriore rispetto a quella che invece costituiva il limite temporale prescritto per la verifica della candidabilità dell’avv. M., nella prospettazione fatta propria dai ricorrenti, con la conseguenza che, anche ove si accedesse alla tesi della verifica della durata del mandato in chiave soggettiva, come appunto opinato dal CNF nella decisione gravata, la diversa qualificazione del limite posto dalla norma in termini di incandidabilità non gioverebbe alla tesi di parte ricorrente.

4.5 Ritiene la Corte che il limite rappresentato dal divieto di presentazione del candidato che abbia già espletato due mandati consecutivi debba essere inteso in senso oggettivo, rilevando, come suggerito anche dall’autorevole interpretazione che della norma è stata offerta dalla Consulta, la necessità di impedire un terzo mandato da parte di chi abbia svolto le funzioni di consigliere, seppure solo per parte della consiliatura, per due mandati consecutivi, essendo quindi necessario attendere il decorso di una tornata elettorale dopo l’espletamento del secondo mandato (sebbene non integrale) trovando eccezione tale divieto nella sola ipotesi in cui uno dei precedenti mandati non abbia raggiunto la durata dei due anni. Soccorre a tal fine la valutazione che queste Sezioni Unite hanno compiuto in merito alla ratio del divieto di cui alla L. n. 113 del 2017, art. 3, comma 3, secondo periodo, che è quella di “assicurare la più ampia partecipazione degli iscritti all’esercizio delle funzioni di governo degli Ordini, favorendone l’avvicendamento nell’accesso agli organi di vertice, in modo tale da garantire la par condicio tra i candidati, suscettibile di essere alterata da rendite di posizione, nonchè di evitare “fenomeni di sclerotizzazione nelle relative compagini, potenzialmente nocivi per un corretto svolgimento delle funzioni di rappresentanza degl’interessi degl’iscritti e di vigilanza sul rispetto da parte degli stessi delle norme che disciplinano l’esercizio della professione, nonchè sull’osservanza delle regole deontologiche”.

E’ stato ribadito che “per valutazione legislativa ogni prolungato esercizio del mandato, come dalla norma individuato per tempo pari alla durata di due mandati consecutivi (purchè ognuno non inferiore a due anni e cioè, per gli Avvocati, in ragione della metà della durata del mandato ordinario), preclude la (immediata) rieleggibilità del consigliere, al fine di impedire la cristallizzazione della sua rendita di posizione e di porre almeno un limite o correttivo a quella che da taluni si è definita come l’evidente asimmetria di potere tra esponenti già in carica – soprattutto se da anni e per un mandato già rinnovato – e nuovi aspiranti alla carica.

4.6 La conformità ai principi della Costituzione di tale opzione legislativa è stata confermata dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza n. 173 del 2019, che ha ribadito come la finalità della norma sia quella di evitare compromissioni della competizione elettorale per l’influenza che possa essere esercitata da coloro che ricoprono da due o più mandati consecutivi la carica per la quale si corre, e che abbiano potuto così consolidare un forte legame con la parte dell’elettorato.

Appare evidente, ad avviso della Corte, che interpretare la norma privilegiando la durata del mandato in quanto riferita al singolo consigliere, considerando quindi il carattere della consecutività non già con riferimento alla consiliatura, cui si riferiscono le consultazioni elettorali, ma sempre al concreto esercizio delle funzioni di consigliere, risulta in contrasto con il dato letterale della norma che, quando fa riferimento alla nozione di mandato, intende evidentemente riferirsi alla durata oggettiva della consiliatura (come peraltro evidenziato, sebbene in vista della risoluzione di questioni non sovrapponibili a quella qui in esame, in numerosi precedenti del CNF richiamati dalla difesa dei ricorrenti principali).

4.7 Pur senza ipotizzare condotte che concretizzino un vero e proprio abuso del diritto (quale quello ipotizzato dai ricorrenti con le dimissioni del consigliere appena prima della maturazione del biennio, con la possibilità i quindi, di potersi ricandidare ed essere eletto continuativamente, senza limiti di mandato, fruendo della norma di esenzione di cui all’art. 3, comma 4 in esame), la lettura offerta dal CNF permetterebbe all’interessato di potersi presentare per la terza volta consecutiva alle elezioni, conservando quindi quel forte legame con l’elettorato, connotato da tratti peculiari di prossimità, tradendo quindi quella che è, secondo l’interpretazione offertane dalla Consulta, la ratio sottesa alla norma.

4.8 Nè può opporsi che tale interpretazione sarebbe lesiva del diritto costituzionalmente garantito alla partecipazione alle funzioni elettive, in quanto si tratta dell’applicazione di una norma che ha inteso effettuare un bilanciamento tra valori aventi pari “tono costituzionale”, non potendosi ravvisare un contrasto con i principi della Carta Costituzionale nella previsione del divieto del terzo mandato.

Inoltre, poichè l’interpretazione alla quale intende accedere questa Corte si ricollega direttamente al tenore letterale delle espressioni utilizzate dal legislatore, nella parte in cui prevede la non eleggibilità di chi sia stato eletto per due precedenti mandati consecutivi, non si ritiene che la stessa sia frutto di uni applicazione analogica della norma, come invece lamentato dal controricorrente M..

4.9 Del pari deve essere disatteso l’argomento del controricorrente secondo cui la diversa interpretazione offerta dai ricorrenti principali renderebbe il terzo periodo dell’art. 3, comma 3 privo di spazi applicativi.

Si deduce che, poichè la durata legale del mandato, intesa in senso oggettivo, è ormai di quattro anni, e che nell’interpretazione in chiave oggettiva si dovrebbe prescindere dall’effettivo svolgimento delle funzioni da parte del singolo consigliere, la previsione per cui la ricandidatura è possibile quando sia trascorso un numero di anni uguale agli anni nei quali si è svolto il precedente mandato, non sarebbe altro che un duplicato del divieto già posto dal secondo periodo del comma 3, con il divieto di presentazione per il terzo mandato consecutivo, risultando quindi priva di uno spazio autonomo di applicazione.

Il ragionamento, seppur suggestivo, non tiene però conto del fatto che, ancorchè la durata del mandato sia stata ormai fissata in quattro anni, ai sensi della L. n. 247 del 2012, art. 28 la consiliatura potrebbe avere una fine anticipata rispetto alla scadenza legale, nel caso di decadenza di cui allo stesso art. 28, comma 8 ovvero nelle ipotesi di scioglimento anticipato di cui all’art. 33 (impossibilità di regolare funzionamento, mancato adempimento agli obblighi prescritti dalla legge, altri gravi motivi di rilevante interesse pubblico), che impongono entro un termine ristretto l’indizione delle elezioni per la sostituzione del consiglio.

La previsione del terzo periodo del comma 3 trova quindi una sua giustificazione, rispetto al già disposto divieto di rielezione dopo due mandati consecutivi, in quanto, nel caso in cui la terza consiliatura abbia avuto una durata inferiore a quella legale, l’ex consigliere, non presentatosi per la terza volta, può partecipare alla nuova elezione solo se sia trascorso un numero di anni uguale a quello nei quali si è svolto il precedente mandato, garantendo in tal modo che il divieto di presentazione per tre mandati consecutivi, cui è correlata l’esigenza di un decorso temporale tale da favorire il ricambio all’interno dell’organo, superando quelle rendite di posizione collegate al precedente svolgimento delle funzioni elettive, non sia eluso, approfittando dell’anomala cessazione anticipata della consiliatura.

La sola disposizione di cui al secondo periodo, che contempla il generale divieto di terzo mandato consecutivo, trova quindi un completamento, ed in vista del rafforzamento delle finalità della norma, nella previsione del terzo periodo che del pari vieta la candidatura allorchè, pur non ricorrendo più il limite del terzo mandato (essendosi svolta una nuova competizione elettorale ed alla quale il consigliere uscente non abbia preso parte), non sia intercorso un periodo di tempo che la legge ritiene necessario per consentire il fisiologico ricambio all’interno dell’organo ed impedire la cristallizzazione della rappresentanza (periodo di tempo che non necessariamente corrisponde ad un quadriennio, poichè il secondo mandato consecutivo, sebbene superiore a due anni, potrebbe avere avuto una durata inferiore al quadriennio, ed è a tale ridotta durata che occorre guardare per verificare la possibilità di ricandidatura, ove anche la successiva consiliatura abbia avuto una fine anticipata).

4.10 Infine, non va trascurato quale argomento a favore dell’interpretazione in chiave oggettiva del termine mandato di cui alla norma in esame, che ancorare le condizioni per la rielezione ad una nozione di mandato che prescinda dal concreto esercizio delle funzioni di consigliere da parte del singolo interessato, oltre a sottrarre la norma al pericolo di elusioni, quali quelle paventate dai ricorrenti, assicura altresì che il giudizio in merito alla rieleggibilità dell’ex consigliere possa essere condizionata da variabili non preventivabili quali, come nella specie avvenuto, il differimento delle elezioni ovvero la maggiore sollecitudine degli organi consiliari nel procedere all’espletamento dell’iter per l’avvicendamento degli organi elettivi.

Infatti, la preoccupazione del CNF secondo cui la norma andrebbe intesa in maniera costituzionalmente orientata, nel senso che occorra limitare l’esercizio del diritto di elettorato passivo per periodi determinati, denota a contrario come l’interpretazione alla quale lo stesso ha acceduto, a fronte di una scelta legislativa, ritenuta conforme alla Carta Costituzionale dal giudice delle leggi, secondo cui fisiologicamente il periodo di tempio che deve necessariamente intercorrere tra la cessazione del mandato e la successiva possibilità di rielezione è quello pari alla durata ordinaria della consiliatura (quattro anni), implicherebbe l’elusione di tale opzione, permettendo la rielezione, peraltro immediatamente successiva alla consiliatura alla cui elezione aveva preso parte, al consigliere uscente dopo un periodo di tempo inferiore al detto quadriennio.

5. I motivi devono quindi essere accolti e la sentenza impugnata va cassata, affermando il seguente principio di diritto:

Ai fini dell’applicazione della norma di cui alla L. n. 113 del 2017, art. 3, comma 3 che prevede che i consiglieri dell’ordine degli avvocati non possono essere eletti per più di due mandati consecutivi, occorre far riferimento alla nozione di mandato in senso oggettivo, senza che possa avere rilievo la circostanza che il consigliere già eletto per il secondo mandato si sia dimesso anticipatamente rispetto alla durata legale della consiliatura, non potendo quindi ripresentarsi alle elezioni immediatamente successive. Nè può rilevare in senso contrario la diversa previsione del terzo periodo del comma 3, secondo cui la ricandidatura è possibile quando sia trascorso un numero di anni uguale agli anni nei quali si è svolto il precedente mandato, atteso che la norma mira a rafforzare il divieto di cui al precedente periodo, disponendo che il divieto di rielezione opera anche nel caso in cui, pur non essendovi stata un’immediata ripresentazione, la successiva consiliatura abbia avuto una fine anticipata rispetto al termine legale, non sia ancora decorso un numero di anni uguale a quello del precedente mandato, sempre inteso come riferito alla durata della consiliatura.

6. L’accoglimento dei primi sette motivi implica poi l’assorbimento dell’ottavo motivo.

7. Sempre per effetto dell’accoglimento dei motivi del ricorso principale, si impone poi la disamina del ricorso incidentale condizionato del COA, che ripropone l’eccezione di inammissibilità del reclamo elettorale in quanto oggetto di mero deposito presso la sede dello stesso Consiglio dell’Ordine di Taranto, in assenza di una preventiva e tempestiva notifica al ricorrente incidentale ed agli altri consiglieri eletti.

7.1 La decisione gravata ha disatteso l’eccezione, ritenendo che fosse a tal fine sufficiente il deposito nel termine prescritto dal R.D. n. 34 del 1937, art. 59 (norma applicabile anche ai reclami in materia elettorale per il rinvio operato dalla L. n. 247 del 2012, art. 36), che dispone che il ricorso al Consiglio nazionale forense è presentato negli uffici del Consiglio che ha emesso la pronuncia, e deve contenere l’indicazione specifica dei motivi sui quali si fonda, ed essere corredato della copia della pronuncia stessa, notificata al ricorrente, e ciò tenuto conto di quanto prescritto dai successivi commi 2 e 3, in base ai quali l’ufficio del Consiglio comunica immediatamente, in copia, alle altre parti il ricorso che sia stato presentato a norma del comma 1 del presente articolo, mentre al Pubblico Ministero è anche comunicata la data dell’ultima notificazione del provvedimento impugnato ai professionisti interessati, e che il ricorso e gli altri atti del procedimento rimangono depositati negli uffici del Consiglio per il termine di dieci giorni dalla scadenza di quello stabilito per ricorrere.

Per l’effetto ha ritenuto che i reclamanti avessero soddisfatto con il deposito quanto necessario ai fini della tempestività del reclamo stesso, e che l’inerzia del COA poteva reputarsi superata, sul piano delle garanzie processuali, in quanto lo stesso Consiglio e i consiglieri di cui si metteva in discussione l’elezione si erano ritualmente costituiti in giudizio, esercitando il loro diritto di difesa.

In senso analogo, ha osservato che il PG aveva ricevuto gli avvisi di convocazione e partecipato alle udienze senza nulla eccepire, così che andava disattesa l’eccezione di inammissibilità.

7.2 Deduce il ricorrente incidentale che il deposito non realizza le condizioni per la valida proposizione del reclamo, ma che è invece necessaria la preventiva notifica dello stesso nel termine di legge, notifica che nella specie è mancata con la conseguente decadenza dell’impugnazione, senza che possa assumere efficacia sanante la partecipazione al procedimento da parte dei controinteressati.

7.3 Osserva la Corte che va ribadita la correttezza della conclusione del CNF quanto alla superfluità della partecipazione al giudizio in esame dei consiglieri eletti di cui non sia messa in discussione la valida eleggibilità, alla luce della giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. n. 27769/2020), che ha confermato l’orientamento per cui, ove sia stata rigettata dal Consiglio nazionale forense la domanda avente ad oggetto l’annullamento della proclamazione dell’elezione di uno o più candidati ineleggibili e la conseguente declaratoria del diritto del reclamante a subentrare nella carica, la mancata notifica del ricorso per cassazione agli altri componenti eletti, sebbene intervenuti in primo grado, non determina violazione del principio del litisconsorzio necessario e non impone di integrare il contraddittorio nei loro confronti, atteso che l’ineleggibilità individuale comporta la sola invalidità originaria dell’elezione del soggetto ineleggibile, ma non incide sul risultato complessivo della tornata elettorale, che resta valido ed efficace, così come i voti validamente espressi in favore degli iscritti eleggibili, sicchè la loro chiamata in causa si tradurrebbe in un’attività ininfluente sull’esito del giudizio, in mancanza, in concreto, della necessità di garantirne la partecipazione al processo e l’esercizio del diritto di difesa (conf. Cass. S.U. n. 24812/2011; Cass. n. 22090/2019).

7.4 Quanto invece alla diversa questione relativa alla necessità della notifica del reclamo ai fini della sua valida proposizione, la difesa del ricorrente incidentale richiama quanto affermato da Cass. S.U. n. 13983/2017 che, ancorchè in relazione al procedimento disciplinare degli avvocati, ha affermato che il ricorso al Consiglio Nazionale Forense avverso le decisioni del Consiglio dell’Ordine degli avvocati si propone, non mediante il suo deposito presso lo stesso destinatario dell’impugnazione, bensì mediante notificazione dell’atto nei suoi confronti, con conseguente applicabilità del principio di scissione dei relativi effetti, anche nella disciplina anteriore alla L. n. 247 del 2012, sicchè, ai fini della sua tempestività, rileva il momento del perfezionamento della notifica nei confronti del notificante.

In motivazione ha affermato che la previsione del R.D. n. 37 del 1934, art. 59 a tenore del quale il ricorso è presentato negli uffici del Consiglio che ha emesso la pronuncia, postula che il ricorso sia proposto mediante notifica al destinatario dello stesso, non apparendo compatibile con la proposizione del ricorso a mezzo deposito del ricorso che questo avvenga presso lo stesso destinatario della impugnazione.

Il principio ora esposto è stato poi ripreso da Cass. S.U. n. 26857/2017, con specifico riferimento alla materia elettorale, secondo cui il reclamo avverso la proclamazione degli eletti al Consiglio dell’ordine degli avvocati può essere proposto – non potendosi interpretare il R.D. n. 37 del 1934, art. 59 (richiamato dalla L. n. 247 del 2012, art. 36, secondo periodo) nel senso che esso prescriva esclusivamente il deposito dell’atto – anche mediante notifica (e che quindi, ove quest’ultima sia eseguita tramite il servizio postale, ai fini della tempestività, rileva il momento della spedizione dell’atto al COA, stante il generale principio, costituzionalmente rilevante, della scissione soggettiva degli effetti della notificazione).

7.5 Ritiene la Corte che debba invece darsi continuità al più risalente orientamento, come espresso da Cass. S.U. n. 2602/2003, per il quale il reclamo proposto avverso il risultato delle elezioni dei Consigli degli ordini professionali, D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382, “ex” art. 6 (applicabile anche alla disciplina della professione forense, in virtù della disposizione contenuta nell’art. 18 stesso decreto), è ammissibile, una volta che sia tempestivamente depositato o presentato presso il Consiglio nazionale entro il termine di dieci giorni dalla proclamazione, pur in difetto di preventiva notifica anche ad uno solo degli eletti, competendo all’organo di giurisdizione domestica destinato a conoscere il reclamo disporre che il contraddittorio sia costituito nei confronti dei consiglieri risultati eletti, che – in quanto titolari di un diritto soggettivo alla conservazione del risultato elettorale – devono essere chiamati a partecipare al giudizio (conf. Cass., n. 20137/2014).

Tali precedenti, sebbene riferiti a fattispecie per le quali risultava ancora applicabile la previsione di cui al D.Lgs.Lgt. n. 382 del 1944, art. 6 hanno poi trovato recente conferma in Cass. S.U. n. 2606/2021, con specifico riferimento alla previsione del citato art. 59, essendosi, proprio in relazione ad un reclamo elettorale in materia di elezioni forensi, ritenuto che ai fini della salvaguardia del diritto di difesa, sia sufficiente il deposito del reclamo e che l’avviso eseguito mediante PEC dell’avvenuto deposito del ricorso e della fissazione della data d’udienza garantiscono la corretta attivazione del contraddittorio.

Ritiene la Corte che il differente quadro normativo di riferimento alla base dei precedenti conformi alla tesi sostenuta dal CNF nella decisione impugnata, non assuma rilevanza, stante il tenore letterale della norma di cui all’art. 59 che, analogamente alla previsione del D.Lgs.Lgt. n. 382 del 1944, art. 6 si limita a prevedere che il reclamo debba essere depositato.

La diversa soluzione, che invece pretende la preventiva notifica del reclamo, non trova però conforto nella lettera della legge, che appunto prevede il solo deposito ed appare piuttosto correlata alla diversa esigenza di impedire che la parte impugnante possa incorrere in una decadenza nel caso in cui, pur essendosi attivata, con un comportamento che denota in maniera inequivoca la volontà di proporre reclamo, quale è appunto l’avvenuta notifica dell’atto di impugnazione, ritardi solo nel deposito.

E’ evidente che il riferimento al principio della scissione degli effetti della notifica contenuta in Cass. S.U. n. 13983/2017, sia appunto finalizzato a tutelare il diritto della parte ad una risposta alla propria richiesta di giustizia, ed ad impedire che la stessa possa incorrere in decadenza, pur in presenza di una tempestiva reazione (laddove nel termine prescritto abbia intrapreso il procedimento notificatorio).

La lettera della legge conferma invece che la proposizione del reclamo avvenga con il deposito presso la sede del COA, ed è la legge stessa che poi individua le modalità di attivazione del contraddittorio, affidate all’iniziativa officiosa dello stesso COA. 7.6 Il ricorso incidentale deve pertanto essere rigettato.

8. La decisione impugnata deve quindi essere cassata in relazione ai motivi accolti, e la causa va rinviata al Consiglio Nazionale Forense, in diversa composizione, che riesaminerà la questione alla luce dei principi sopra enunciati.

9. Ricorrono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di Cassazione, attesa la novità e la complessità della questione oggetto del ricorso principale e la diversità di orientamenti quanto alla questione oggetto del ricorso incidentale.

10. Poichè il ricorso incidentale è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte accoglie i primi sette motivi del ricorso principale, nei limiti di cui in motivazione, dichiara assorbito l’ottavo motivo e rigetta il ricorso incidentale del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto;

Cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia al Consiglio Nazionale Forense in diversa composizione; Compensa le spese del giudizio di legittimità;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2021

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