Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8565 del 26/03/2021

Cassazione civile sez. un., 26/03/2021, (ud. 12/01/2021, dep. 26/03/2021), n.8565

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Primo Presidente f.f. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di sez. –

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente di sez. –

Dott. D’ANTONIO Enrico – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22065-2020 proposto da:

B.M., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO

VITTORIO EMANUELE II 269, presso lo studio dell’avvocato ROMANO

VACCARELLA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GUIDO LUIGI BATTAGLIESE;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, MINISTRO DELLA

GIUSTIZIA;

– intimati –

avverso l’ordinanza n. 81/2020 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA, depositata il 13/07/2020;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/01/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI RENATO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi gli avvocati Romano Vaccarella e Guido Luigi Battagliese.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, in data 30 aprile 2019 chiese – ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 22, comma 1 – la sospensione cautelare in via facoltativa dal servizio e dallo stipendio nonchè il collocamento fuori del ruolo organico della magistratura della Dott.ssa B.M., giudice del Tribunale di Roma, in quanto sottoposta a procedimento disciplinare (per l’illecito di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 4, comma 1, lett. d)) in conseguenza dell’iscrizione nel registro degli indagati presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Perugia e poi rinviata a giudizio dal GUP del suddetto Tribunale per il reato di cui agli artt. 81 e 648-bis c.p. (riciclaggio continuato), per aver ricevuto in due distinte occasioni due bonifici esteri di rilevante importo (segnalati come operazioni sospette) rinvenienti da delitti ex art. 416 c.p. e D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2 e 8 commessi in (OMISSIS) ed ascritti a C.F. e Ba.Pa. sub n. 44630-16-21 Procura di Roma, oltre che a soggetti a loro collegati fra cui Co.Lu., M.N., S.M. nonchè a società a loro riconducibili, fra cui Cosmec S.r.l., Energie Nuove S.r.l., Faust Immobiliare S.r.l., Jaed Immobiliare S.r.l..

La Sezione disciplinare di Consiglio Superiore della Magistratura, con l’ordinanza n. 59/2019, dispose il provvedimento cautelare richiesto, ritenendo sussistenti sia il fumus commissi delicti del reato di riciclaggio, connotato da indubbia gravità, sia il periculum in mora.

Avverso tale ordinanza la Dott.ssa B. propose ricorso dinanzi a queste S.U., che lo accolsero in parte, cassarono l’ordinanza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura per un nuovo esame.

Con ordinanza n. 81/2020, depositata il 13 luglio 2020, rilevato di non rinvenire elementi indiziari tali da poter ritenere la provenienza illecita del denaro ricevuto dalla Dott.ssa B. con il primo bonifico per la vendita di gioielli e lingottini d’oro e considerato che, invece, risultava diverso il compendio indiziario relativo al secondo bonifico, tale da poter ritenere sussistente il fumus del delitto di riciclaggio contestato alla Dott.ssa B. e ritenuto, altresì, sussistente il requisito del periculum in mora, la predetta Sezione disciplinare, in sede di rinvio, ha disposto la sospensione cautelare dalle funzioni e dallo stipendio della Dott.ssa B. nonchè il collocamento fuori ruolo della predetta.

Avverso l’ordinanza appena richiamata la Dott.ssa B.M. ha proposto ricorso articolato in quattro motivi.

Il Ministero intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede, mentre il Pubblico Ministero ha chiesto il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va premesso che, come si evince dall’ordinanza impugnata in questa sede, la Dott.ssa B. è stata incolpata: “dell’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 4 comma 1, lett. d), in relazione alla commissione del delitto di cui agli artt. 81 e 648 bis c.p., per avere ricevuto in due distinte occasioni due bonifici esteri di rilevante importo (segnalati altresì come operazioni sospette) rivenienti dai delitti di cui all’art. 416 c.p.D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2 e 8 commessi in (OMISSIS) ed ascritti a C.F. e Ba.Pa. sub n. 44630-16-21 Procura Roma (oltre che a soggetti a loro collegati fra i quali Co.Lu., M.N., S.M. nonchè a società a loro riconducibili, fra le quali Cosmec srl, Energie Nuove srl, Faust Immobiliare srl, Jaed Immobiliare srl).

In particolare:

1. Nell'(OMISSIS) la Dott.ssa B. sottoscriveva preliminare di acquisto di un immobile sito in (OMISSIS) per un complessivo rilevante importo di cui non aveva disponibilità e che otteneva successivamente mediante la vendita del dipinto di cui sub 3;

2. In data (OMISSIS) riceveva un bonifico estero privo di causale dell’importo di Euro 150.000 proveniente da conto attestato in Liechtenstein e disposto da un conto intestato alla società panamense ERNETA HOLDING Inc. relativo ad una asserita vendita di diamanti e lingottini d’oro; la Erneta Holding (società rivelatasi inesistente alla data di sottoscrizione del contratto, in quanto disciolta dal (OMISSIS)) sarebbe stata contattata tramite internet dalla Dott.ssa B., la quale avrebbe poi consegnato i diamanti (senza sapere chi fosse il legale rappresentante di Erneta Holding nè sapere chi avesse firmato il contratto on line (OMISSIS)) ad uno sconosciuto, presentatole da tale Be.Gi., deceduto nel (OMISSIS) e risultato essere stato amministratore di società amministrata anche dal C.;

3. In data (OMISSIS) la Dott.ssa B. riceveva bonifico estero di Euro 262.000 asseritamente riferito alla vendita del 9.8.2013 del dipinto antico “Davide con la testa di Golia” per la complessiva somma di Euro 312.000 alla società Cosmec srl in associazione in partecipazione con la Jaed Immobiliare srl (società entrambe facenti capo al C. ed al Ba., oltre che al Co. quale prestanome ed alla S. ed alla M. con le quali, per conto di Cosmec, la B. aveva trattato la vendita del dipinto). Ulteriore bonifico di Euro 50.000 veniva ricevuto, per il medesimo tramite, dalla madre della Dott.ssa B. quale comproprietaria del dipinto. In particolare i bonifici venivano eseguiti da J.S. dal (OMISSIS) a J. Immobiliare srl che bonificava poi gli importi a Cosmec srl che a sua volta eseguiva i bonifici a B.M. e Ca.Ro.An., madre della B.. Il dipinto “Davide con la testa di Golia”, sottoposto, a consulenza, risultava avere valore modestissimo (fra i 5.000 ed i 10.000 Euro, trattandosi di una copia della tela con medesimo soggetto dipinta da Guido Reni e custodita al Louvre), valore modesto che risultava peraltro ben noto, risultando il valore dichiarato in esportazione dell’opera medesima nel 1980 di un milione di Lire; la Soprintendenza, inoltre, aveva all’epoca autorizzato l’esportazione, circostanza che risulta di per sè incompatibile con un valore storico-artistico del dipinto medesimo, o con l’attribuzione a Simon Vouvet o Guido Reni.

La Dott.ssa B. non risulta avere ricevuto le eredità dichiarate nè risulta avere fornito agli istituti di credito segnalanti le operazioni, alcuna valida documentazione.

Fatti commessi in (OMISSIS) ed oggetto del procedimento penale iscritto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia al 7532/15 RGNR, decreto di rinvio a giudizio del 7 marzo 2019.

Notizia circostanziata assunta il 13 novembre 2015.

Così riformulata l’incolpazione a seguito dell’imputazione per la quale è stato emesso il decreto di rinvio a giudizio”.

Per tali fatti la Procura della Repubblica di Perugia ha aperto il procedimento penale n. 7532/2015 a carico dell’attuale ricorrente, per la quale è stato chiesto il rinvio a giudizio per il delitto di cui agli artt. 81 e 648 bis c.p.c. per aver ricevuto in due distinte occasioni due bonifici esteri di rilevante importo (segnalati come operazioni sospette) derivanti dai delitti di cui agli artt. 416 c.p., D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2 e 8 commessi in (OMISSIS) ed ascritti a C.F. e Ba.Pa. (oltre che a soggetti a loro collegati fra i quali Co.Lu., M.N., S.M. nonchè a società a loro riconducibili, fra le quali Cosmec S.r.l., Energie Nuove S.r.l., Faust Immobiliare S.r.l., J. Immobiliare S.r.l.).

Il giudice dell’udienza preliminare ha rinviato a giudizio la ricorrente, fissando la prima udienza dibattimentale in data 17 dicembre 2019.

Si è già detto, nell’esposizione in fatto, dell’avvio del procedimento disciplinare nei confronti della Dott.ssa B. (azione disciplinare esercitata in data 8 novembre 2016 dal Ministro della Giustizia) e dei provvedimenti cautelari emessi dalla Sezione disciplinare del CSM, l’ultimo dei quali, adottato in sede di rinvio disposto da questa S.U., è stato impugnato in questa sede.

2. Il primo motivo è così rubricato: “Violazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) – inosservanza delle norme processuali in relazione all’art. 627 comma 3, violazione dei principi della sentenza di annullamento con rinvio di questa SS.UU. n. 5588/2020 del 3.12.2019-28.02.2020 – in ordine: (iii) alla qualificazione giuridica del reato contestato a carico del magistrato odierno ricorrente, come oggettivamente risultante dal capo di imputazione in relazione ai fatti ivi indicati – fumus -; (iv) alle argomentazioni difensive in sede disciplinare”.

Assume la ricorrente che “nel capo di imputazione/incolpazione” sarebbero indicati genericamente i reati di cui all’art. 416 c.p. e del D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2 e 8 senza specificare da quali di questi reati deriverebbe il profitto oggetto di riciclaggio, senza indicare la data di commissione dei singoli reati presupposti, con attribuzione degli stessi a C. e Ba., mentre altri soggetti sarebbero indicati soltanto tra parentesi e sarebbero altresì elencate plurime società, senza specifica indicazione a quale di queste si faccia riferimento ed in relazione a quali reati astrattamente ipotizzati.

Sostiene la B. che da tale genericità del capo di incolpazione deriverebbe un vulnus difensivo e che solo l’ordinanza impugnata delineerebbe in modo chiaro e specifico – pur se, ad avviso della ricorrente, errando in fatto e in diritto – quale sarebbe la fattispecie concreta di riciclaggio, indicando per la prima volta il reato presupposto e chi l’avrebbe commesso.

Tale attività spetterebbe però all’accusa e non al Giudice e comunque ne sarebbe derivato un ribaltamento dell’impianto accusatorio, come delineato nel capo di incolpazione, ed uno svuotamento dell’attività difensiva su di esso impostata.

Evidenzia la ricorrente che al beneficiario del preteso riciclaggio, C., ne sarebbe stato sostituito un altro, definito nel capo di imputazione “prestanome”, Co., quale effettivo titolare del rapporto, che i reati “coperti” dal riciclaggio sarebbero cambiati rispetto al capo di imputazione, che i rapporti tra le società con le quali la B. aveva avuto rapporti si sarebbero arricchiti di ulteriori relazioni taciute nel capo di imputazione e sovente contrastanti con lo stesso; comunque, come nell’originario capo d’incolpazione, l’accusa formulata ex novo dalla sezione disciplinare delineerebbe un’ipotesi scolastica di delitto di riciclaggio impossibile.

Lamenta, conclusivamente, la ricorrente che la Sezione disciplinare del CSM non si sarebbe uniformata alla sentenza di annullamento di queste SS.UU..

3. Con il secondo motivo si denuncia “Violazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) – inosservanza delle norme processuali, in relazione alle regole sulla contestazione dei fatti e di acquisizione ed utilizzazione delle prove – violazione del principio iusta alligata et probata – decisione ultra vires”.

Sostiene la ricorrente che il capo di “imputazione, totalmente pervertito dal CSM, nella motivazione dell’ordinanza”, rimarrebbe come quello originario – “totalmente infondato ed incongruo”; rappresenta che nella loro “materialità” i fatti a lei contestati dalla P.G. sarebbero i seguenti: intendendo la B. acquistare l’appartamento confinante con il suo e non disponendo della somma necessaria, la medesima aveva venduto ad una società dei diamanti e dei lingottini d’oro, ricavandone, tramite bonifico, Euro 150.000,00, e poi, dopo aver stipulato il preliminare, aveva venduto il quadro già sopra ricordato ad un’altra società ricavandone, sempre con bonifico, Euro 262.00,00 (oltre Euro 50.000,00 per i quali era stato emesso bonifico in favore della madre); poichè entrambe le società acquirenti erano riconducibili a C.F., anni dopo indagato per i delitti di cui agli art. 416 c.p. e D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2 e 8 nella condotta della ricorrente sarebbero stati ravvisati gli estremi del delitto di riciclaggio e cioè di aver nel 2013 – quando il C. non era sospettato di alcunchè e frequentava insospettati e insospettabili soggetti – ricevuto, tramite bonifici, somme delle quali avrebbe conosciuto la provenienza delittuosa al fine di occultare (o almeno di ostacolare la conoscenza della) provenienza delittuosa di quelle somme e tanto non al fine di cogliere l’occasione di congiungere il suo appartamento con quello confinante ma al fine di aiutare il C. nell’occultamento della provenienza delle somme illecite da lui corrisposte al venditore.

Lamenta la ricorrente che, con l’ordinanza impugnata in questa sede, quel Collegio sarebbe andato alla ricerca di altri e diversi elementi di prova, non offerti dall’accusa, pur di sostenere il provvedimento richiesto, così sostituendosi il CSM al PG nella identificazione del reato presupposto oltre quanto dedotto dalla stessa accusa, venendo meno al dovere di terzietà del giudice.

4. Con il terzo motivo si denuncia “Violazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione all’art. 648 bis c.p. nella parte in cui si assume la diretta provenienza della somma di denaro di cui al bonifico ricevuto dal magistrato al reato tributario D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 8 e se ne afferma la consapevolezza”.

Sostiene la ricorrente che l’assunto accusatorio – già inizialmente insostenibile – anche così come rimeditato dalla Sezione disciplinare proprio per rimediare all’originaria inconsistenza – sarebbe errato e, comunque, identificherebbe quale reato presupposto un “illecito incapace di generare autonomamente proventi che possano essere oggetto del delitto di riciclaggio”.

Secondo la B., “il profitto del reato tributario, in relazione a(l) qual(e) è assunta la illiceità della provenienza del denaro oggetto del bonifico contestato, può individuarsi esclusivamente in un vantaggio patrimoniale (anche inteso in termini di risparmio di spesa) direttamente collegabile in termini di causalità alla commissione del reato stesso”.

Evidenzia la ricorrente che, nel caso all’esame, quand’anche “le società del C.- Co. abbiano commesso il reato tributario di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8…, tale illecito non è assimilabile quale reato presupposto, per l’assenza del necessario requisito della pertinenzialità”.

Conclusivamente, deduce la ricorrente che la Sezione disciplinare, al fine di superare l’inconsistenza e l’illogicità dell’intera tesi accusatoria originaria, avrebbe indebitamente alterato i fatti di incolpazione, riscrivendo il capo di imputazione sulla base di elementi e circostanze che sarebbero oltretutto “errate ed infondate anche nei fatti, risolvendosi così e pur sempre nella totale e manifesta illogicità della motivazione”.

Censure vengono sollevate dalla ricorrente anche in relazione alla prova della consapevolezza, che verrebbe tratta dalla conoscibilità della potenziale provenienza illecita della somma incassata in quanto trattasi di un bonifico estero proveniente da società residente in paradiso fiscale. A tale riguardo viene dalla medesima evidenziato che il bonifico ricevuto a titolo di pagamento del quadro venduto diversamente da quello relativo alla vendita dei preziosi (sul punto va rimarcato che la Sezione disciplinare, con l’ordinanza impugnata in questa sede, v. p. 6, ha ritenuto che “non sia possibile rinvenire elementi indiziari tali da ritenere la provenienza illecita del denaro ricevuto dalla Dott.ssa B. col primo bonifico per la vendita di gioielli e lingottini d’oro”) – è un bonifico nazionale eseguito da una società di capitali italiana.

In particolare, sostiene la ricorrente che: a) “il reato presupposto assunto dal Collegio non è assimilabile come tale per assenza del requisito della pertinenzialità, non generando di per sè un profitto”; b) “la somma oggetto del bonifico del 19.08.2013 non può essere qualificata come utilità del reato”; c) “conseguentemente non può oggettivamente sussistere il reato di riciclaggio”; d) “non esistono elementi indiziari di una consapevolezza della provenienza illecita”; e) “la motivazione del Collegio è gravemente carente, contraddittoria e illogica”.

5. Il quarto motivo è così testualmente rubricato “Violazione ex artt. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) carenze, insufficienza, nonchè manifesta illogicità della motivazione, risultante dal suo testo, sia quanto al fumus che al periculum”.

Ad avviso della parte ricorrente, la motivazione del provvedimento impugnato si fonderebbe su “una serie di elementi indiziari asseritamente affermati, ma privi di alcun reale riscontro nel materiale probatorio, di cui viene fatto mal governo, ed anzi, contrari a quanto affermato nel capo di imputazione, per cui la motivazione risulta illogica, (i) sia nella parte in cui, ritiene astrattamente sussistente quale reato presupposto, quello di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8 privo del requisito di pertinenzialità…; (ii) sia nella parte in cui si deduce la provenienza del denaro da parte di J. Immobiliare, e non dalla J.S., contrariamente a quanto affermato nel capo di imputazione; (iii) sia nella parte in cui ritiene sussistente la coscienza della provenienza delittuosa sulla bas(e) di circostanze di fatto errate (o per meglio dire inesistenti per come rappresentate); (iv) sia nella parte in cui fa mal governo ed errata applicazione, così disattendendoli, sia dei principi di diritto e dei presupposti che sorreggono la misura cautelare irrogata, sia nei principi posti dalla sentenza di rinvio”.

In particolare, quanto al fumus boni iuris, la ricorrente sostiene, in sintesi, che la ricostruzione operata dalla Sezione disciplinare avrebbe fatto mal governo delle risultanze istruttorie che afferma di aver utilizzato e denuncia “la illogicità ed inconsistenza in fatto e in diritto dell’impianto accusatorio e della relativa incolpazione, ricostruito indebitamente dal Collegio decidente, in luogo e sostituzione di quello dell’accusa”. Quanto al periculum in mora, la ricorrente evidenzia che “il fatto storico contestato nel capo di imputazione/incolpazione riguardava originariamente due fatti, che erano legati sotto il profilo te(le)ologico, comportamentale, e logico nella ricostruzione dell’incolpazione”, e che anche la richiesta cautelare si basa sulla contestazione di una pluralità di condotte, venuta ormai meno, avendo l’ordinanza impugnata in questa sede riconosciuto l’assenza di profili illeciti, nel primo fatto, senza che poi tale circostanza sia stata presa in considerazione dal Collegio a quo. Rappresenta, inoltre, che, trattandosi di un comportamento isolato, risalente a sette anni fa, commesso – pur a voler ritenere configurabile, in tesi, il reato – nell’ambito della propria vita familiare, senza alcun collegamento con le funzioni giudiziarie esercitate, non sussisterebbe alcun motivo di pericolo, o di prevenzione di pericolo, della compromissione del prestigio, che possa essere soddisfatto dalla misura cautelare adottata, evidenziandosi l’insussistenza di ogni rilevanza mediatica del fatto. Lamenta che l’ordinanza ora all’esame assuma la sussistenza di un potenziale pericolo per la lesione concreta del prestigio della magistratura senza illustrare in che modo tale prestigio venga leso, abbia confuso la concreta gravità dei fatti contestati con l’astratta gravità del reato ascritto e sia priva di attualità, mancando ogni elemento per ritenere che, attendendo i tempi per la decisione disciplinare di merito, la funzione giurisdizionale, il suo ordinato svolgimento e il rapporto di fiducia tra magistrati e cittadini ne sarebbero compromessi.

6. La ricorrente propone censure parcellizzate, tuttavia le stesse vanno analizzate unitariamente, alla luce della valutazione del compendio istruttorio operata dalla Sezione disciplinare del CSM e conclusivamente sintetizzata a p. 15 e 16 della sentenza impugnata. I motivi, che, quindi, possono essere esaminati congiuntamente, anche perchè strettamente connessi tra loro, sono tutti da disattendere.

Anzitutto non sussiste la dedotta violazione dell’art. 627 c.p.p., comma 3, e tanto alla luce del principio affermato da queste Sezioni Unite, secondo cui il giudice di rinvio è vincolato al principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione in relazione ai punti decisivi non congruamente valutati dalla sentenza cassata, sicchè esso conserva il potere di procedere ad una nuova valutazione dei fatti già acquisiti e di quegli altri la cui acquisizione si renda necessaria in relazione alle direttive espresse dalla sentenza di annullamento (Cass., sez. un., 22/07/2013, n. 17779).

Non è, quindi, in tesi, rilevante che l’ordinanza cautelare in scrutinio si sarebbe fondata su fatti non contestati dai titolari dell’azione disciplinare e su prove non offerte dall’accusa, come si può argomentare pure da Cass., sez. un., 25/11/2008, n. 28046 (v. in motivazione, in cui si afferma che “ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 22 la sospensione facoltativa può essere disposta anche prima dell’inizio del procedimento disciplinare, onde non rileva che alcuni dei comportamenti ascritti non fossero stati contestati dai titolari dell’azione”).

Inoltre, queste Sezioni Unite hanno già condivisibilmente affermato che: “a) in caso di cassazione con rinvio per vizio di motivazione (da solo o cumulato con il vizio di violazione di legge) il giudice del rinvio non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo, in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata, mantenendo tutte le facoltà che competevano originariamente al giudice del rinvio quale giudice di merito, relativamente ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell’ambito dello specifico capo della sentenza oggetto di annullamento, con il solo limite del divieto di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento impugnato ritenuti illogici ed eliminando, a seconda dei casi, le contraddizioni ed i difetti argomentativi riscontrati (tra le tante: Cass. pen. 20 febbraio 2018, n. 11641; Cass. civ. 29 maggio 2014, n. 12102; Cass. civ. 2 febbraio 2018, n. 2652); b) l’efficacia preclusiva della sentenza di cassazione con rinvio opera soltanto con riferimento ai fatti che il principio di diritto enunciato presuppone come pacifici o come già accertati definitivamente in sede di merito. Essa non incide sul potere del giudice di rinvio non solo di riesaminare i fatti, oggetto di discussione nelle precedenti fasi non presupposti dal principio di diritto, ma anche, nei limiti in cui non si siano già verificate preclusioni processuali o decadenze, di accertarne di nuovi da apprezzare in concorso con quelli già oggetto di prova (tra le altre: Cass. pen. 16 marzo 2020, n. 10255; Cass. pen. 4 marzo 2020, n. 8733; Cass. pen. 17 luglio 2017, n. 34794; Cass. civ. 26 settembre 2018, n. 22989; Cass. civ. 6 luglio 2017, n. 16660; Cass. civ. 30 maggio 2001, n. 7379); c) non viola l’obbligo di uniformarsi al principio di diritto il giudice di rinvio che, dopo l’annullamento per vizio di motivazione, pervenga nuovamente all’affermazione di responsabilità sulla scorta di un percorso argomentativo in parte diverso ed in parte arricchito rispetto a quello già censurato in sede di legittimità. Pertanto, eventuali elementi di fatto e valutazioni contenuti nella pronuncia di annullamento non sono vincolanti per il giudice di rinvio, ma rilevano esclusivamente come punti di riferimento al fine dell’individuazione del vizio o dei vizi segnalati e, non, quindi, come dati che si impongono per la decisione a lui demandata, di talchè si devono ritenere inammissibili le censure sollevate in merito (fra le tante: Cass. pen. 14 maggio 2015, n. 20044; Cass. pen. 17 luglio 2017, n. 34794 cit.; Cass. pen. 27 maggio 2019, n. 23140); d) nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice di merito non è vincolato nè condizionato da eventuali valutazioni in fatto formulate dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente, spettando al solo giudice di merito il compito di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova (Cass. pen. 4 marzo 2020, n. 8733 cit.)” (v. Cass. 3/09/2020, n. 18303).

Alla luce dei principi sopra riportati, deve ritenersi che, nella specie, la Sezione disciplinare per uniformarsi al principio di diritto enunciato da queste Sezioni Unite poteva, nel rispetto dei suindicati limiti, non solo riesaminare i fatti già oggetto di discussione nelle precedenti fasi processuali non presupposti dal principio di diritto, ma anche fare riferimento a fatti ulteriori.

Va poi evidenziato che il sindacato di queste S.U. sulla motivazione delle decisioni della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura è limitato, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), al controllo della congruità, adeguatezza e logicità della stessa, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, perchè è estraneo al sindacato di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (Cass., sez. un., 19/3/2019, n. 7691).

Ciò vale anche, ed a maggior ragione, per le decisioni relative alla adozione di misure cautelari, giacchè questa, non concretando l’irrogazione di una sanzione disciplinare, non richiede un completo accertamento in ordine alla sussistenza degli addebiti (riservato al giudizio di merito sull’illecito), ma esige soltanto una valutazione circa la rilevanza dei fatti contestati, astrattamente considerati, e la delibazione della possibile sussistenza degli stessi (Cass., sez. un., 4/11/2020, n. 24631; Cass., sez. un., 27/01/2020, n. 1719; Cass., sez. un., 15/01/2020, n. 741; Cass., sez. un., 21/12/2012, n. 23856; Cass., sez. un., 25/11/2008, n. 28046).

Va pure rimarcato che, secondo la consolidata giurisprudenza di queste Sezioni Unite, anche per l’adozione della misura cautelare della sospensione di un magistrato dalle funzioni e dallo stipendio, ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, artt. 21 e 22 non concretando l’irrogazione di una sanzione disciplinare, valgono i principi appena richiamati (v. anche Cass., sez. un., 27/07/2018, n. 20028; Cass., sez. un., 23/07/2015, n. 15475 e, con riferimento alla disciplina anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 109 del 2006 v., ex multis, Cass. 6/07/2005, n. 14212; Cass., sez. un., 21/07/2004, n. 13602; Cass., sez. un., 29/12/1994, n. 11284).

Nella specie, la Sezione disciplinare ha espressamente ricostruito il quadro emergente dagli atti del fascicolo della Procura di Perugia e dai documenti allegati alla memoria difensiva. Siffatta valutazione, ampia e approfondita, era proprio quella che si chiedeva nella sentenza rescindente, in conformità con la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’adozione della misura cautelare della sospensione di un magistrato dalle funzioni e dallo stipendio presuppone una valutazione circa la rilevanza dei fatti contestati, astrattamente considerati, e la delibazione della possibile sussistenza degli stessi nonchè la loro oggettiva gravità e la loro compatibilità con l’esercizio delle funzioni giurisdizionali.

In particolare la Sezione disciplinare ha fornito congrua, adeguata e logica motivazione, in relazione all’operata valutazione sia del carattere “sospetto” e fittizio della vendita, sia della consapevolezza in capo alla B. del carattere “fittizio” dell’intera operazione, sia dell’esistenza di una rete societaria “opaca”, caratterizzata da una complessa architettura di partecipazioni societarie incrociate, di cui si dà specificamente conto, sia della sussistenza di delitti a monte potenzialmente idonei a configurare reati presupposti, evidenziandosi che risultano esaminati dalla Sezione disciplinare gli aspetti fondamentali della vicenda, come si evince dalla medesima motivazione dell’ordinanza impugnata. Ed in tale ambito è perimetrato il sindacato di queste S.U. sulle decisioni della Sezione disciplinare del CSM, mentre esulano da tale perimetro le doglianze della ricorrente volte a contestare l’effettiva sussistenza dei reati ascritti.

Per mera completezza si osserva che, contrariamente all’assunto della ricorrente (v. ricorso 24), la Sezione disciplinare non ha affermato che J.S. ha sede in (OMISSIS) ma a (OMISSIS) come sostenuto dalla B. (v. ord. imp. p. 6, 7, 9).

Ribadito che, in tema di responsabilità disciplinare del magistrato, ai fini dell’applicazione di misure cautelari ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 22 come quella applicata nel caso all’esame, il giudice non è tenuto al completo e pieno accertamento della sussistenza degli addebiti (che è riservato al giudice di merito sull’illecito), va evidenziato che quel giudice deve valutare, oltre alla rilevanza disciplinare dei fatti contestati astrattamente rilevati e della possibile sussistenza degli stessi, anche la loro oggettiva gravità e la loro compatibilità con l’esercizio delle funzioni giurisdizionali in assoluto o nel distretto ove erano state esercitate in precedenza (Cass., sez. un., 15/01/2020, n. 741).

Queste Sezioni Unite hanno già avuto modo di affermare che la norma appena richiamata attribuisce un ruolo essenziale alla gravità del fatto, alla quale innanzitutto è correlata la compatibilità dell’esercizio delle funzioni (Cass., sez. un., 23/07/2015, n. 13602) ed hanno pure evidenziato che “il profilo della compatibilità assorbe quelli dell’urgenza del provvedimento e dell’attualità del pericolo, previsti dalla disciplina generale codicistica, chiaro essendo che, se vi è incompatibilità con l’esercizio delle funzioni giurisdizionali, tale esercizio deve cessare immediatamente, e che l’attualità del pericolo è insita nell’attualità dell’incompatibilità” (Cass., sez. un., 21/07/2018, n. 20028).

Alla luce di quanto appena riportato e della motivazione, congrua, adeguata e logica, espressa nell’ordinanza impugnata circa “la risonanza in sede locale” del processo penale ancora in corso, pur se i fatti risalgono al (OMISSIS), e circa la gravità delle condotte contestate alla B., tale da determinare ex se una inevitabile caduta di autorevolezza e di prestigio e credibilità del detto magistrato, sia all’interno che all’esterno dell’ufficio giudiziario di appartenenza, con ricadute negative sulla legittimazione dell’esercizio delle funzioni giurisdizionali, risulta evidente l’infondatezza delle censure sollevate dalla ricorrente e volte a sostenere l’insussistenza, nella specie, del periculum.

7. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

8. Non vi è da provvedere sulle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 12 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2021

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