Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8565 del 06/05/2020

Cassazione civile sez. I, 06/05/2020, (ud. 17/01/2020, dep. 06/05/2020), n.8565

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 35628/2018 proposto da:

S.H.H.U., elettivamente domiciliato in Roma, Via della

Giuliana, 32 presso lo studio dell’avvocato Antonio Gregorace che lo

rappresenta e difende per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., elettivamente

domiciliato per legge presso l’Avvocatura Generale dello Stato in

Roma, Via dei Portoghesi, 12;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1375/2018 della Corte di appello di Ancona

depositata il 12.07.2018;

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Laura Scalia

nella camera di consiglio del 17/01/2020.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Ancona con la sentenza in epigrafe indicata pronunciando su ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 ha rigettato l’impugnazione da S.H.H.U. avverso l’ordinanza del locale tribunale che aveva respinto l’opposizione del primo al diniego frapposto dalla competente Commissione territoriale al riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ed umanitaria.

La Corte di appello, confermando il provvedimento di primo grado, ha ritenuto che la mancata comparizione del richiedente dinanzi alla Commissione territoriale al fine di rilasciare dichiarazioni personali e quindi l’omessa deduzione di gravi motivi a giustificazione di tale mancata comparizione avessero determinato l’impossibilità di acquisire ulteriori elementi circa la situazione e la vicenda personale del ricorrente.

La sommarietà delle informazioni possedute non avrebbe quindi permesso alla Corte di merito il riconoscimento della protezione sussidiaria non vivendo il paese di provenienza, pur trovandosi in una situazione di insicurezza, quel conflitto armato necessario per il riconoscimento della protezione invocata.

Quanto poi al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari non era stato dimostrato l’inserimento in Italia del ricorrente che aveva depositato un contratto di lavoro con una retribuzione che, pari a 700,00 Euro mensili, non avrebbe garantito una esistenza libera e dignitosa.

S.H.H.U. ricorre in cassazione con quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente – originario del (OMISSIS) che nelle dichiarazioni rese presso l’Ufficio di Polizia di Stato competente per territorio aveva affermato di essere di religione (OMISSIS), di appartenere al gruppo etnico “(OMISSIS)”, di aver raggiunto dal Paese di provenienza dapprima la Libia e quindi l’Italia quivi documentando l’esistenza di un rapporto di lavoro con busta paga, estratto conto previdenziale e dichiarazione del datore di lavoro sulla natura indeterminata del rapporto medesimo -, denuncia la violazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’obbligo di collaborazione istruttoria, previsto dalla direttiva 2004/83/CE poi recepita dal D.Lgs. n. 251/07 e dalla giurisprudenza di legittimità.

I giudici di merito avrebbero dovuto svolgere un ruolo attivo provvedendo a disporre l’audizione del richiedente al fine di valutare ed approfondire i temi rilevanti.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’omesso esame delle dichiarazioni rese alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate sul Paese di origine.

Le notizie pubblicate sui maggiori organi di stampa, sui siti web e sul sito del M.A.E. “(OMISSIS)” nonchè dalla costante giurisprudenza di merito segnalano tensioni politiche tra governo ed opposizione ed una situazione di non sicurezza e di conflitto del Paese di provenienza.

3. Con il terzo motivo il ricorrente fa valere la mancata concessione della protezione sussidiaria per le condizioni del Paese di origine con violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

La situazione del (OMISSIS) avrebbe esposto il richiedente ad una condizione di grave pericolo per la sua incolumità e di persecuzione, nel rischio di essere lasciato alla mercè del sistema giudiziario non garante di diritti dei cittadini. La zona di provenienza caratterizzata da forte instabilità avrebbe integrato i presupposti per il riconoscimento della protezione sub D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, richiamato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32. La Corte di merito non avrebbe preso in considerazione il grado di integrazione raggiunto in Italia dal richiedente che unitamente alle condizioni del Paese di provenienza avrebbero deposto per il riconoscimento di siffatta tutela.

5. Tutti i motivi proposti si prestano ad una valutazione di inammissibilità, ex art. 360 bis c.p.c., n. 2, risolvendosi gli stessi in una reiterazione della critica che, già portata dinanzi ai giudici di appello, ha trovato nell’impugnata sentenza debita e corretta risposta in applicazione dei principi espressi da questa Corte di legittimità, non valendo il ricorso a condurre questa stessa Corte a rimeditare le raggiunte conclusioni.

5.1. Il primo motivo è ancora inammissibile perchè in ragione della giurisprudenza di questa Corte di legittimità, in tema di protezione internazionale sussidiaria, il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 sancisce un dovere di cooperazione del richiedente consistente nell’allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, ponendo quindi a carico del giudice del merito l’obbligo di cooperazione istruttoria nel vagliare le dichiarazioni rese dal richiedente protezione oltre che nell’informarsi in modo adeguato e pertinente alla richiesta, soprattutto con riferimento alle condizioni generali del Paese d’origine, allorquando le informazioni fornite dal richiedente siano deficitarie o mancanti (in termini: Cass. n. 7333 del 10/04/2015; Cass. n. 25319 del 16/12/2015).

Fermo l’indicato principio, la mancata comparizione del richiedente protezione internazionale ed umanitaria nella fase amministrativa dinanzi alla competente Commissione territoriale – e quindi la mancata resa delle dichiarazioni che, procedimentalizzate nei termini e per i contenuti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e art. 5, comma 3, lett. c) consentono al giudice del merito di valutarne la credibilità – esclude che possa farsi carico al giudicante del dovere di cooperazione istruttoria e di disporre la comparizione personale del richiedente dinanzi a sè ai fini “integrativi”.

La mancanza già nella fase amministrativa dinanzi alla competente Commissione territoriale di un racconto reso sui presupposti legittimanti l’accoglimento della tutela internazionale ed umanitaria esclude, in radice, che il richiedente protezione abbia riscontrato la domanda circostanziandola ed effettuando a tal fine ogni sforzo.

5.2. Il secondo motivo è inammissibile anche perchè non coglie la ratio decidendi dell’impugnata sentenza e richiama del tutto impropriamente quale fatto decisivo per il giudizio, che si vorrebbe omesso nelle valutazioni dei giudici di merito, una evidenza, e tale è il racconto reso dinanzi alla Commissione territoriale, non verificatasi.

L’obbligo informativo sul Paese di origine in applicazione del principio sopra richiamato non resta pertanto neppure integrato in capo al giudice del merito.

5.3. Il terzo ed il quarto motivo restano assorbiti.

La errata valutazione delle condizioni del Paese di origine è questione neppure destinata a venire in considerazione, per le ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) in ragione della insussistenza stessa di un racconto del richiedente e quindi di una situazione personale di pericolo cui correlare quella del paese di origine.

In ogni caso la Corte di merito ha correttamente scrutinato le condizioni del (OMISSIS) quanto all’ipotesi del conflitto armato e della violenza generalizzata di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) escludendola nella sua oggettiva sussistenza rispetto al (OMISSIS) ed i contenuti sul punto addotti in ricorso, rispetto ai quali non viene neppure allegata, per non incorrere la parte nella inammissibilità da novità, la tempestiva deduzione nella precedente fase (da ultimo: Cass. n. 32804 del 13/12/2019) sono per ciò stesso ed ancora inammissibili.

5.4. Nel resto sulla protezione umanitaria.

Va anzitutto rilevato che la regolamentazione di cui al D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, che ha, tra l’altro, sostituito la disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari, con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande proposte, come nella specie, prima della sua entrata in vigore, che vanno valutate in base alla disciplina preesistente (Cass. n. 4890 del 2019).

Ciò posto, la valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere correlata ad una valutazione individuale, da spendersi caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia che va comparata con la situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio.

Ed infatti là dove infatti si prescindesse dalla situazione particolare del richiedente, si prenderebbe in considerazione non già la peculiare situazione del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (Cass. 03/04/2019 n. 9304).

Ciò posto, venuta meno per l’inattendibilità del racconto – incapace come tale di definire una situazione di vulnerabilità del richiedente protezione umanitaria nel Paese di provenienza – uno dei due termini di comparazione secondo i quali deve trovare svolgimento il giudizio sulla riconoscibilità della protezione umanitaria, l’ulteriore situazione descritta dal ricorrente come da lui goduta in Italia, diviene irrilevante, come ritenuto dalla Corte di merito.

Questa Corte di legittimità, in tema di protezione umanitaria, ha infatti affermato che l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass. SU n. 29459 del 13/11/2019).

6. Il ricorso è in via conclusiva e nel suo complesso inammissibile.

Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 17 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2020

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