Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8563 del 26/03/2021

Cassazione civile sez. un., 26/03/2021, (ud. 22/09/2020, dep. 26/03/2021), n.8563

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Primo Presidente f.f. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di sez. –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7721-2020 proposto da:

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, elettivamente

domiciliato in ROMA, PRESSO LA CANCELLERIA DELLA PROCURA GENERALE

PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– ricorrente –

contro

V.R., elettivamente domiciliata in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato VINCENZO DI GIROLAMO;

– resistente –

nonchè contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 15/2020 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA, depositata il 23/01/2020;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/09/2020 dal Consigliere Dott. MILENA FALASCHI;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI RENATO, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso;

udito l’Avvocato Vincenzo Di Girolamo.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

La Dott.ssa V.R., nella qualità di sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lanciano, con sentenza della sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura n. 15 del 16 dicembre 2019, veniva assolta dagli illeciti disciplinari: a) di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. c), per avere mancato ai doveri di correttezza e di imparzialità, in costanza della sua relazione sentimentale con l’avv. D.D.M. del foro di Lanciano, non osservava consapevolmente l’obbligo di astensione, trattando i procedimenti penali n. (OMISSIS), n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS) nei quali lo stesso D.D. interveniva come difensore o era comunque interessato; b) nonchè in quello n. (OMISSIS) a carico di D.R.C. e di F.A. per i reati di cui agli artt. 635,624 e 625 c.p., in cui il D.D. era persona offesa e nell’ambito del quale, concluse le indagini preliminari emetteva, in data 27.07.2016, decreto di citazione a giudizio; c) di quello di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 e art. 2, comma 1 lett. g), per avere violato i doveri di imparzialità e correttezza e in grave violazione dell’art. 116 c.p.p., nel (OMISSIS), autorizzava il rilascio di copie del proc. pen. 404 mod. 21 bis iscritto a carico di S.M., al sovrintendente della P.S. A.M., in servizio presso il Commissariato di Lanciano, sebbene fosse competente ad autorizzare il rilascio (per essere stata esercitata l’azione penale con decreto di citazione a giudizio del 02.10.2015) il Giudice di pace; d) infine di quello di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. c), per essersi resa consapevolmente inadempiente all’obbligo di astensione in presenza di gravi ragioni di convenienza e di interesse personale, provvedendo in ordine alla istanza di rilascio di copie del proc. pen. 404 mod. 21 bis iscritto a carico di S.M., avanzata dal sovrintendente della P.S. A.M., nonostante avesse con quest’ultimo un intenso rapporto di collaborazione, familiarità, confidenza e particolare vicinanza esorbitante la mera attività lavorativa. Rilevava la Sezione disciplinare che quanto alla colposa inosservanza dell’obbligo di astensione in costanza di una relazione sentimentale con l’avv. D.D., quanto al proc. pen. (OMISSIS) la partecipazione dell’incolpata alle relative attività giurisdizionali era stata palesemente minima, per cui non raggiungeva quella soglia di offensività da giustificare l’inflizione della sanzione e trovava applicazione la esimente del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis.

Per tutti gli altri illeciti contestati ne veniva esclusa del tutto la sussistenza non essendo stata data prova di un’interferenza effettiva tra l’atto e la funzione giurisdizionale; concludeva nel senso che la pretesa di un’estensione senza limiti tracciati dell’obbligo di astensione, specie in piccoli contesti, avrebbe comportato un rischioso effetto di paralisi all’intero sistema.

La Procura Generale ha proposto ricorso avverso la predetta assoluzione, sulla base di due motivi, cui ha resistito la V. con controricorso fatto pervenire a mezzo PEC in data 27.07.2020.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo la ricorrente Procura lamenta la mancanza e/o contraddittoria e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), con riferimento agli illeciti per i quali è stata pronunciata assoluzione per esclusione degli addebiti. L’asserzione non sarebbe accompagnata da alcuna indicazione in ordine ai fatti che non sarebbero stati provati e alle ragioni della non raggiunta prova in relazione alla contestazione di una pluralità di illeciti, certi nella loro oggettività, tanto da non essere stati contestati, sotto tale profilo, dalla stessa incolpata. Aggiunge l’Ufficio di Procura, dopo avere puntualizzato talune specifiche vicende, che le situazioni concernenti la relazione con l’avv. D.D., prima, e con il sovrintendente A. erano state diffusamente ricostruite negli atti del CSM nel procedimento conclusosi con il trasferimento della Dott.ssa V. al Tribunale di Larino per incompatibilità ambientale. La motivazione, inoltre, reclama – in erronea applicazione di legge – la necessità di una interferenza effettiva del comportamento omissivo con la funzione giurisdizionale, ritenendo altrimenti il venir meno della tipicità della fattispecie.

Il motivo è fondato.

Gli addebiti mossi alla dottoressa V. riguardano condotte, dalla medesima poste in essere nella propria attività professionale, connotate da specifiche violazioni dei doveri di imparzialità e correttezza processuale, violazioni tutte puntualmente indicate nel capo di incolpazione, e tali, secondo l’accusa, da sottrarre gli atti in questione alla insindacabilità propria dei provvedimenti giurisdizionali. Esclusa l’incolpazione al capo 4) relativa al procedimento n. (OMISSIS) di cui si dirà nel secondo motivo, tutte le incolpazioni sono relative alla mancata osservanza dell’obbligo di astensione nei procedimenti n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS), nonchè per avere autorizzato il rilascio di copie nel proc. pen. 404 mod. 21 bis iscritto a carico di S.M. al sovrintendente della P.S. A.M. sebbene non ne fosse competente (per essere di competenza del Giudice di pace) e la Sezione disciplinare ha escluso gli addebiti ritenendo non sussistere un’interferenza effettiva tra l’atto (o meglio, gli atti) e la funzione giurisdizionale, “che non risulta compromessa”, senza tuttavia prendere posizione sui singoli addebiti e senza spiegare in relazione a ciascuno di essi le ragioni per le quali gli atti compiuti con le modalità e sulle premesse indicate nell’incolpazione potessero non avere compromesso l’esercizio delle funzioni istituzionali dell’incolpata.

La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che in ambito disciplinare i provvedimenti giurisdizionali e le interpretazioni adottate escludono che la loro inesattezza tecnico-giuridica possa di per sè sola configurare l’illecito disciplinare del magistrato, ma non quando essa sia conseguenza di scarsa ponderazione o di approssimazione e limitata diligenza, ovvero sia indice di un comportamento del tutto arbitrario, e rischi perciò di compromettere il prestigio dell’ordine giudiziario, e considera quindi necessario per stabilire se ricorra o meno la responsabilità disciplinare accertare se il provvedimento costituisca un sintomo di negligenza o di inammissibile imperizia del giudice, come tale suscettibile di quella negativa incidenza sull’indicato prestigio dell’ordine giudiziario (Cass., Sez. Un., 27 luglio 2007 n. 16626). In altri termini, ai fini della valutazione della responsabilità disciplinare del magistrato per la condotta tenuta in sede giurisdizionale viene meno l’insindacabilità nei casi in cui il provvedimento sia abnorme, in quanto al di fuori di ogni schema processuale, ovvero sia emesso sulla base di un errore macroscopico o di grave o inescusabile negligenza, nei quali viene ad assumere rilevanza disciplinare non già il risultato dell’attività giurisdizionale, ma il comportamento deontologicamente deviante posto in essere dal magistrato nella sua funzione istituzionale (Cass. Sez. Un. 23 luglio 1999 n. 504).

Queste Sezioni Unite hanno già avuto occasione di osservare (Cass., sez. un., 5 dicembre 2012 n. 21853; 11 marzo 2013 n. 5942) che il magistrato del pubblico ministero ha l’obbligo, disciplinarmente rilevante, di astenersi ogni qual volta la propria attività possa risultare infirmata da un interesse personale o familiare. L’art. 52 c.p.p., che ne prevede la facoltà di astensione per gravi ragioni di convenienza, va difatti interpretato alla luce dell’art. 323 c.p. (il quale prevede e punisce il delitto di abuso d’ufficio), in seno al quale il riferimento all'”interesse proprio o di un prossimo congiunto” è posto a base del dovere generale di astensione; ciò in coerenza col principio d’imparzialità dei pubblici ufficiali ex art. 97 Cost. e con la necessità di equiparare il trattamento del magistrato del P.M. – il cui statuto costituzionale partecipa dell’indipendenza del giudice – al trattamento del giudice penale, obbligato ad astenersi per gravi ragioni di convenienza ai sensi dell’art. 36 c.p.p.

L’art. 323 c.p., nel contemplare l’obbligo di astensione, ha dettato una norma di carattere generale, che ha coordinato con quelle speciali che prevedono casi diversi, sicchè il richiamo – esteso, secondo lo schema della norma penale in bianco, anche alle norme speciali di futura emanazione – delinea un sistema in cui l’ipotesi di carattere generale e quelle particolari risultano armonizzate grazie a un effetto parzialmente abrogante che esclude ogni possibile contrasto.

Il risultato, per quanto riguarda l’art. 52 c.p.p., consiste nell’abrogazione della facoltà, sostituita dall’obbligo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, che rientra con ogni evidenza nelle gravi ragioni di convenienza.

Il pubblico ministero ha senz’altro veste e ruolo di parte, ma di parte pubblica, tenuta, proprio perchè tale, ad agire esclusivamente in funzione del perseguimento dei fini istituzionali assegnati dall’ordinamento.

E’ per conseguenza da escludere che il magistrato incaricato di svolgere le funzioni di pubblico ministero possa ispirare la propria condotta a fini diversi da quelli istituzionali propri dell’ufficio di appartenenza e perseguire, o anche soltanto dare l’impressione di voler perseguire, obiettivi e scopi personali, ingenerando così una situazione tale da indurre a sospetti di compiacenza nei confronti di taluna delle altre parti, private, del procedimento o di uno dei difensori di esse.

Il magistrato che svolge le funzioni di pubblico ministero nel processo penale ha quindi il dovere di essere, e di far tutto il necessario per apparire, imparziale; e tale dovere si sostanzia nell’obbligo di comportarsi in modo da rendere indubitabile che l’azione da lui svolta non sia influenzata da interessi personali e che, quindi, non si prospetti un conflitto d’interessi.

Nel caso in esame, si riscontra nella sentenza impugnata l’assenza di un qualunque accertamento sulla sussistenza di tale conflitto, che non è stato affatto argomentato limitandosi il giudice ad escludere l’interferenza effettiva tra l’atto e la funzione giurisdizionale, ruotando le ragioni della esclusione attorno ad una non meglio precisata “carenza di prove a sostegno dei fatti oggetto di incolpazione” e alla considerazione, altamente generica, secondo cui “la pretesa di un’estensione senza limiti tracciati dall’obbligo di astensione, specie in piccoli contesti quale quello nel quale operava la Dott.ssa V. comporterebbe un inevitabile e al contempo rischioso effetto di paralisi all’intero sistema”.

Di converso, in questa situazione la Sezione Disciplinare avrebbe dovuto, con riferimento alle singole condotte di incolpazione esplicitare specificamente le ragioni per le quali esse, pur con le particolari connotazioni evidenziate dall’accusa, dovevano esser ritenuti incapaci di interferenza con la funzione giurisdizionale. Si tratta all’evidenza di motivazione apparente.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta l’erronea applicazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b) in relazione al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis con riferimento all’assoluzione dall’illecito sub 4) della incolpazione di cui al proc. disc. n. (OMISSIS) per scarsa rilevanza del fatto e per mancanza di motivazione sul punto ex art. 606 c.p.p., lett. e). Ad avviso dell’Ufficio di Procura la ritenuta partecipazione minima della V. al procedimento a carico dell’avv. D.D. esauritasi nella partecipazione quale p.m. ad una udienza di rinvio del procedimento stesso, è valutazione rimasta circoscritta alla mera considerazione della consistenza oggettiva del fatto, avendo la Sezione Disciplinare omesso di motivare in ordine al riflesso della detta pur minima partecipazione sulla percezione di vicinanza e commistione di interessi che aveva determinato la collega B. a rivolgersi al Procuratore capo perchè vi ponesse rimedio, anche a seguito delle rilevate espressioni un pò perplesse degli avvocati. Dunque senza alcuna valutazione delle ripercussioni della mancata astensione sul prestigio del magistrato.

La censura è infondata.

L’esimente di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis si applica sia per il suo tenore letterale che per la sua collocazione sistematica a tutte le ipotesi di illecito disciplinare, allorchè la fattispecie tipica sia stata realizzata ma il fatto, per particolari circostanze anche non riferibili all’incolpato, non risulti in concreto capace di ledere il bene giuridico tutelato, secondo una valutazione che costituisce compito esclusivo della Sezione Disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, soggetta a sindacato di legittimità soltanto ove viziata da un errore di impostazione giuridica oppure motivata in modo insufficiente o illogico (cfr Cass., Sez. Un., 29 marzo 2013 n. 7934; Cass., Sez. Un., 26 settembre 2017 n. 2803).

Nel caso all’esame la Sezione Disciplinare ha chiaramente ritenuto di attribuire carattere dirimente, al fine di ravvisare la sussistenza della esimente de qua, alla circostanza che l’incolpata abbia partecipato ad un’unica udienza dinanzi al Gup per concordare un mero rinvio, dunque senza svolgimento di alcuna attività accusatoria/difensiva in senso tecnico.

Queste Sezioni Unite hanno già ripetutamente affermato che l’esimente di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis secondo la quale l’illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza, è applicabile, sia per il tenore letterale della disposizione e sia per la sua collocazione sistematica, a tutte le ipotesi previste negli artt. 2 e 3 medesimo decreto, anche quando la gravità del comportamento è elemento costitutivo del fatto tipico, e impone al giudice di procedere ad una valutazione di ufficio, sulla base dei fatti acquisiti al procedimento e prendendo in considerazione le caratteristiche e le circostanze oggettive della vicenda addebitata, anche riferibili al comportamento dell’incolpato, purchè strettamente attinenti allo stesso. In altri termini, l’art. 3 bis cit. introduce nella materia disciplinare il principio di offensività, proprio del diritto penale ed il bene giuridico unico è identificabile nella compromissione dell’immagine del magistrato e dell’ordine giudiziario.

La sentenza impugnata ha fatto esplicito riferimento ai principi sopra enunciati e le argomentazioni poste a base della valutazione degli elementi di rilievo non sono censurabili in sede di legittimità.

In conclusione, va accolto il primo motivo, respinto il secondo.

Non v’è luogo a provvedimento sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte, decidendo a sezioni unite, accoglie il primo motivo di ricorso, respinto il secondo;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia per il riesame alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite, il 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2021

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