Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 856 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. III, 17/01/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 17/01/2020), n.856

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 30081/2018 R.G. proposto da:

A.A., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Nicola Cera,

Sandra Antico e Donato Mondelli, con domicilio eletto presso lo

studio di quest’ultimo in Roma, Corso Trieste, n. 109;

– ricorrente –

contro

Alleanza Assicurazioni S.p.a., rappresentata e difesa dall’Avv.

Giulia Salami, con domicilio eletto in Roma, via Gioacchino Belli,

n. 36, presso lo studio degli Avv.ti Silvia Tritto e Silvia

Clemenzi;

– controricorrente –

e nei confronti di:

M.G.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia, n. 956/2018

depositata il 20 aprile 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 dicembre

2019 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. A.A. convenne in giudizio avanti il Tribunale di Verona Alleanza Toro S.p.a. chiedendone la condanna, ai sensi dell’art. 2049 c.c., al pagamento della somma di Euro 7.000.

Espose di avere consegnato tale somma a M.G. conosciuto sin dal 2002 quale collaboratore, agente, consulente, dipendente della convenuta – perchè fosse destinata all’adeguamento di strumenti assicurativi e di avere però successivamente appreso da altro collaboratore di Alleanza Toro S.p.a. che essa non era stata effettivamente versata alla società, nè tanto meno destinata all’investimento promesso.

Esteso il contraddittorio nei confronti del M., chiamato in causa dalla convenuta, ma rimasto contumace, il Tribunale rigettò la domanda, ritenendo non dimostrato l’effettivo esborso della detta somma, stante l’inammissibilità, ex artt. 2721 e 2726 c.c., della prova orale a tal fine dedotta.

2. Tale decisione è stata confermata dalla Corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, sebbene sulla base di motivazione in parte diversa.

Qualificata infatti la domanda come diretta a far valere la responsabilità extracontrattuale della convenuta ai sensi dell’art. 2049 c.c., ha rilevato che la stessa andava rigettata per l’assorbente ragione della insussistenza nel caso concreto degli elementi, individuati dalla giurisprudenza di legittimità (con specifico riferimento all’arresto di Cass. 04/11/2014, n. 23448), necessari a fondare tale responsabilità.

Posto infatti che, nel caso di specie, era risultato che il M. non fosse legato da alcun rapporto con la società d’assicurazioni (nè di agenzia, nè di lavoro subordinato), ma operasse in proprio quale segnalatore di clienti “non autorizzato in ogni caso a raccogliere da questi somme superiori a Euro 1.500” e che, pertanto, la responsabilità della convenuta poteva configurarsi solo alla duplice condizione della buona fede del terzo e di una colpa dell’apparente preponente idonea ad ingenerarne l’affidamento, ha negato potesse ravvisarsi la prima di tali condizioni, avuto riguardo: alla mancanza di quietanze (a fronte peraltro del versamento della somma in contanti); alla diversità delle modalità di perfezionamento dell’investimento rispetto a quelle, più formali e documentalmente riscontrate, seguite in precedenza.

Ha peraltro soggiunto che “la consegna puntuale e specifica delle varie somme… non è stata confermata dai testi escussi che si sono espressi in maniera generica ovvero nel senso di aver visto la consegna di danaro ma senza riferire circa gli importi precisi ovvero i prodotti finanziari cui si sarebbero riferiti”.

3. Avverso tale decisione A.A. propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria; vi resiste Alleanza Assicurazioni S.p.a. depositando controricorso.

L’altro intimato, M.G. (rimasto contumace anche in appello), non svolge difese nella presente sede.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, “motivazione apparente e/o irriducibilmente contraddittoria e/o perplessa o incomprensibile in merito alla statuizione di estraneità di M. alla struttura organizzativa di Alleanza Ass.ni”.

Rileva che tale valutazione è contraddetta dall’affermazione (pag. 13 della sentenza) che il M. aveva il potere di riscuotere per conto di Alleanza i premi non superiori ad Euro 1.500; circostanza soggiunge – mai contestata nemmeno da Alleanza e rilevante ai fini di causa dal momento che, se il M. fosse stato mero segnalatore e non avesse potuto riscuotere i premi, nessun danno si sarebbe verosimilmente verificato.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia inoltre, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 2094 e 2222 c.c., “sull’impossibilità di configurare come autonomo il rapporto tra M. e Alleanza”.

Sostiene che l’affermazione che il M. fosse un mero segnalatore di clienti, oltre ad essere sorretta da motivazione meramente apparente e/o contraddittoria, è comunque errata in diritto atteso che, secondo l’interpretazione giurisprudenziale, perchè possa configurarsi la responsabilità del preponente ex art. 2049 c.c. non è necessario che il rapporto datore di lavoro/commesso sia di tipo subordinato, bastando anche un “inserimento temporaneo o occasionale nell’organizzazione aziendale” ovvero che “le mansioni in concreto demandate abbiano facilitato la commissione dell’illecito e del danno” o ancora un rapporto di mera preposizione.

Rapporto questo, sostiene, ravvisabile nella specie in ragione dell’accertata autorizzazione all’incasso di somme sino ad Euro 1.500.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’erronea mancata applicazione dell’art. 2049 c.c..

Sostiene, in sintesi, che la preposizione rilevante ai sensi dell’art. 2049 c.c. può derivare anche da un rapporto di fatto e che non sono essenziali nè la continuità, nè l’onerosità del rapporto; che è piuttosto sufficiente l’astratta possibilità di esercitare un potere di supremazia o di direzione, non essendo necessario l’esercizio effettivo di quel potere.

4. Con il quarto motivo, infine, il ricorrente denuncia, in subordine, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1189 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto insussistenti i presupposti (condotta colpevole idonea ad ingenerare l’affidamento del terzo danneggiato e buona fede di quest’ultimo) per la configurabilità della responsabilità della convenuta pur in assenza di rapporto alcuno di preposizione con il M..

Sostiene che il primo di tali presupposti era desumibile dalla mancata vigilanza sull’operato del M., effettuata solo con colpevole ritardo.

Quanto al secondo rileva che le prove acquisite dimostravano l’esistenza di una condotta del M. di consistenza e durata tale da ingenerare nel solvens una ragionevole presunzione sulla rispondenza alla realtà dei poteri rappresentativi dell’accipiens.

Contesta infine, in quanto in tesi smentita dalle deposizioni raccolte a verbale, l’affermazione secondo cui i testi si sarebbero espressi in maniera generica sulla consegna di denaro.

Segnala infine la necessità di acquisire, nell’auspicato giudizio di rinvio, la sentenza del Tribunale di Verona, sezione penale, in data 22/10/2015 che, nel condannare il M. per i medesimi fatti, ha affermato che il reato è aggravato per essere stato commesso in ragione del rapporto di lavoro intercorrente con Alleanza assicurazioni e ha inoltre considerato quale circostanza attenuante l’avere l’imputato ammesso i fatti, tra cui l’avere sottratto all’ A. la somma di Euro 7.000.

5. Il ricorso si espone a un preliminare e assorbente rilievo di inammissibilità, per aspecificità.

La sentenza impugnata si fonda infatti su due distinte rationes decidendi:

– la prima, considerata dalla Corte di merito quale ragione preliminare e assorbente, è data dalla ritenuta insussistenza, ad un tempo, di un rapporto di qualsiasi natura che legasse il M. alla società convenuta e dei presupposti per configurare, in tale ipotesi, una responsabilità extracontrattuale di quest’ultima per il fatto illecito del sedicente promotore finanziario (buona fede del danneggiato e condotta colpevolmente idonea della società finanziaria rigenerarne l’affidamento);

– la seconda, bensì avviluppata alla prima nel discorso argomentativo svolto in sentenza ma tuttavia logicamente da essa distinguibile e idonea a rappresentare autonomo fondamento giustificativo, data dal rilievo della inidoneità della prova orale raccolta, in quanto generica, a dimostrare che il dedotto esborso di denaro sia effettivamente avvenuto (v. sentenza impugnata, pag. 16, secondo cpv.).

A questa seconda ratio decidendi sono dedicate in ricorso solo alcune incidentali considerazioni, inserite a conclusione della illustrazione del quarto motivo di ricorso, in rubrica (e in tutta la restante ben più ampia illustrazione) dedicato a tutt’altra questione (configurabilità nella specie dei presupposti della buona fede del solvens e della condotta colposa della società finanziaria) (v. ricorso pag. 28, capoversi dal secondo al settimo).

Tali considerazioni sono del seguente testuale tenore:

“non si comprende dove la sentenza dice che i testi si sarebbero espressi in maniera generica sulla consegna di denaro.

“Infatti è risultato assolutamente chiaro e senza possibilità di dubbio alcuno che la Sig.ra T.N. al cap.12 (memoria istruttoria di primo grado): “Vero che A.A. accettava di investire delle somme nello strumento finanziario proposto e per tale motivo versava ad Alleanza Assicurazioni per il tramite di M. le seguenti somme in contanti: 1.000,00 a gennaio -febbraio 2004;

1.000,00 ad aprile -maggio 2005; Euro 1.000 ad ottobre-novembre 2005; 1.000,00 a settembre 2008; per un totale di Euro 4.000,00” rispose: “è vero ho assistito a tutti i versamenti”. Sul cap. 21 (memoria istruttoria di primo grado) “Vero che in data 25.3.2008 il sig. A. sottoscriveva un apposito modulo con intestazione e marchio Alleanza Assicurazioni e in tale occasione versa va l’importo di Euro 3.000,00, come risulta dal documento 5-copia e 10-originale che si rammostrano al teste”; la Sig.ra T.N. ancora una volta rispose: “è vero”.

” A.E. (udienza 30.4.2013), tra l’altro, dichiarò “E’ vero che i versamenti venivano eseguiti nelle mani di M. e avvenivano in contanti” (cap. 23); “è vero che in occasione dei versamenti M. compilava di proprio pugno i moduli di Alleanza che portava agli appuntamenti”.

“Nello stesso modo testimoniò A.G.M. (udienza 30.4.2013) e I.S. (udienza 14.5.2013).

“Non si capisce cos’altro si sarebbe dovuto provare”.

5.1. Com’è evidente, il rilievo, così svolto, al di là della sua eccentricità rispetto alla parte del ricorso nella quale, come detto, è graficamente inserita, lascia comunque del tutto inespresse le ragioni della critica in funzione cassatoria, ovvero omette di indicare a quale dei vizi per i quali è consentito il sindacato di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., esso si intenda ricondurre, limitandosi il ricorso, in tale parte, da un lato, a sottoporre degli elementi asseritamente desumibili dall’istruzione raccolta, dall’altro, a manifestare solo una “non comprensione” della valutazione espressa in sentenza circa l’efficacia probatoria di detti elementi.

In tal modo, risulta anzitutto inadempiuto l’onere di specificità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, secondo cui il ricorso deve indicare “i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano”.

Come affermato da Cass. Sez. U. n. 17931 del 2013, tale requisito comporta l’esigenza di una chiara esposizione, nell’ambito del motivo, delle ragioni per le quali la censura sia stata formulata e del tenore della pronunzia caducatoria richiesta, che consentano al giudice di legittimità di individuare la volontà dell’impugnante e stabilire se la stessa, così come esposto nel mezzo di impugnazione, abbia dedotto un vizio di legittimità sostanzialmente, ma inequivocamente, riconducibile ad alcuna delle tassative ipotesi di cui all’art. 360 citato.

5.2. Risultano inoltre inosservati gli oneri di specifica indicazione imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6, essendo omessa la trascrizione dei verbali di causa ove sono raccolte le deposizioni testimoniali richiamate e mancando comunque una compiuta localizzazione degli stessi, e degli altri atti richiamati, nel fascicolo processuale.

5.3. Dalle esposte considerazioni può comunque emergere, a tutto concedere, solo una critica alla ricognizione della fattispecie concreta, quale operata in sentenza sulla base della valutazione delle risultanze probatorie di causa; una censura dunque diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato.

Anche in tale prospettiva emerge palese – oltre evidentemente all’estraneità del vizio di violazione di legge dedotto in rubrica -l’inammissibilità del rilievo in quanto sostanzialmente mirato a sollecitare una mera rivalutazione delle prove raccolte e comunque totalmente estraneo al paradigma censorio dettato dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass. Sez. U. 07/04/2014, nn. 8053-8054; Id. 22/09/2014, n. 19881), ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva – peraltro, ripetesi, nemmeno dedotta – dell’omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.

5.4. Tanto meno può assumere rilievo censorio, in questa sede, il riferimento alle affermazioni contenute nella sentenza penale pronunciata nei confronti del M. nel 2015, trattandosi di elemento istruttorio che, a tacere di ogni altra considerazione, dichiaratamente non è compreso tra gli elementi acquisiti nel giudizio di appello.

Al riguardo varrà comunque rammentare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell’assolvimento dell’onere gravante sul terzo danneggiato di provare l’illecita appropriazione da parte del promotore finanziario del denaro consegnatogli ai fini dell’investimento, in funzione dell’azione risarcitoria promossa nei confronti dell’intermediario, non può ritenersi rilevante nè una condotta processuale esplicitamente ammissiva da parte del promotore finanziario nè un comportamento qualificabile come ficta confessio (cfr. Cass. 14/12/2018, n. 32514; 27/10/2016, n. 21737; 27/06/2016, n. 13212). E’ necessario pertanto che il soggetto che agisce nei confronti dell’intermediario provi la effettiva consegna del denaro ai promotore finanziario per l’effettuazione di operazioni finanziarie rientranti nel campo di operatività del rapporto fra il promotore e l’intermediario (Cass. 25/01/2011, n. 1741).

6. L’inammissibilità dei sopra esposti rilievi, i soli ad essere dedicati a tale parte della motivazione della sentenza impugnata, lasciandone intatta l’idoneità a giustificare di per sè solo la decisione, rende ultroneo l’esame degli altri motivi di ricorso dedicati al distinto – e in detta prospettiva meramente aggiuntivo e non necessario -fondamento giustificativo.

7. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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