Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8558 del 10/04/2010

Cassazione civile sez. III, 10/04/2010, (ud. 25/02/2010, dep. 10/04/2010), n.8558

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ROMEO

ROMEI 23, presso lo studio dell’avvocato CAPUZZI FILIPPO GIUSEPPE,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FENZA MASSIMO,

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

SPA ALLIANZ (già SpA Riunione Adriatica di Sicurtà) in persona dei

procuratori speciali, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA

88, presso lo studio dell’avvocato SPADAFORA GIORGIO, che la

rappresenta e difende, giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 24/2009 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI del

12.12.08, depositata il 21/01/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/02/2010 dal Consigliere Relatore Dott. MARIO FINOCCHIARO;

udito per il ricorrente l’Avvocato Filippo Giuseppe Capuzzi che si

riporta agli scritti, insistendo per l’ammissibilità del ricorso.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. LIBERTINO ALBERTO RUSSO che

ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con atto 23 ottobre 2002 P.G. ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Cagliari la Compagnia di Assicurazione L’Italica s.p.a. chiedendone la condanna al pagamento della somma di Euro 6.315,75, reclamata in forza del contratto di assicurazione inter partes per responsabilità civile verso terzi, derivante dalla sua attività professionale di consulente del lavoro.

Costituitasi in giudizio la convenuta ha resistito alla avversa pretesa deducendo che il danno denunciato (sanzioni irrogate a un cliente del P. per omissioni contributive INPS riferibili a erronee indicazioni dello stesso P.) non era coperta dalla garanzia assicurativa, atteso che questa era limitata alle sanzioni fiscali e non anche a quelle previdenziali.

Svoltasi la istruttoria del caso, l’adito giudice ha rigettato la domanda.

Gravata tale pronunzia dal soccombente P. la Corte di appello di Cagliari, nel contraddittorio dalla RAS Assicurazioni s.p.a., già l’Italica s.p.a. che – costituitasi in giudizio – ha chiesto il rigetto della impugnazione avversaria – con sentenza 12 dicembre 2008 – 21 gennaio 2009 ha rigettato l’appello.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, notificata il 17 febbraio 2009, ha proposto ricorso affidato a due motivi, con atto 9 aprile 2009 P.G..

Resiste, con controricorso la ALLIANZ s.p.a., già Riunione Adriatica di Sicurtà s.p.a..

In margine a tale ricorso – proposto contro una sentenza pubblicata successivamente al 2 marzo 2006 e, quindi, soggetto alla disciplina del processo di Cassazione così come risultante per effetto dello modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – è stata depositata relazione (ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.) perchè il ricorso sia deciso in Camera di consiglio.

la s.p.a. Riunione Adriatica di Sicurtà s.p.a. ha depositato memoria facendo proprie le osservazioni svolte nella relazione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., precisa, nella parte motiva:

2. In forza delle condizioni particolari della polizza di assicurazione invocata dall’appellante, hanno evidenziato i giudici del merito, la Italia s.p.a. (oggi Riunione Adriatica di Assicurazione) ha prestato garanzia – tra l’altro – per le sanzioni di natura fiscale inflitte ai clienti dell’assicurato per errori imputabili all’assicurato stesso.

Le chiare espressioni letterali adoperate dai contraenti – hanno ancora evidenziato quei giudici – non consenso affatto di ritenere ultronea la delimitazione della garanzia alle sole sanzioni fiscali, nè tanto meno di ricomprendervi le sanzioni di natura previdenziali, anche se maggiormente connaturate all’esercizio della professione di consulente del lavoro (svolta dal P.) giacchè tale volontà non è stata espressa dai contraenti medesimi.

3. Il ricorrente censura la riassunta pronunzia de-nunziando, nell’ordine:

– da un lato, violazione o falsa applicazione delle norme di diritto contenute negli artt. 1362, 1363, 1370 e 1371 c.c., per non avere quei giudici interpretato il contratto inter partes nel senso indicato da esso concludente nel corso dei giudizi di merito e, cioè, affermando che la polizza copriva anche le sanzioni previdenziali. Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., si sottopone all’esame di questa Corte il seguente quesito di diritto:dica l’ecc.ma Corte di Cassazione se il giudice di appello ha correttamente applicato il disposto contenuto negli artt. 1362, 1363, 1370 e 1371 c.c., quando ha affermato che le chiare espressioni letterali adoperate dai contraenti giustificavano la limitazione della garanzia alle sole sanzioni fiscali o se doveva, viceversa, davanti a un evidente contrasto tra l’oggetto della garanzia, le condizioni generali e le condizioni particolari, ricorrere alla regole ermeneutiche convenute negli artt. 1370 e 1311 c.c., primo motivo;

– dall’altro, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio secondo motivo.

4. Il proposto ricorso pare inammissibile. Stante la inammissibilità di entrambi i motivi in cui si articola.

4.1. Quanto al primo motivo – a prescindere da ogni altra considerazione (le regole legali di ermeneutica contrattuale sono elencate negli artt. 1362 – 1371 c.c. secondo un ordine gerarchico, per cui le norme strettamente interpretative, dettate dagli artt. 1362 – 1365 c.c., precedono quelle interpretative integrative, esposte dagli artt. 1366 – 1371 c.c. e ne escludono la concreta operatività quando la loro applicazione renda palese la comune volontà dei contraenti cfr., ad esempio, Cass. 13 dicembre 2006, n. 26690 e, comunque, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicchè, quando di una clausola siano, in tesi, possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra cfr. Cass. 22 febbraio 2008, n. 4178) – lo stesso pare inammissibile perchè si conclude con un quesito di diritto non conforme al modello come delineato dall’art. 366 bis c.p.c..

Come noto:

– la funzione propria del quesito di diritto, da formularsi a pena di inammissibilità del motivo proposto, è di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (Cass. 7 aprile 2009, n. 8463);

– contemporaneamente, il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c., deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie, sì che – di conseguenza – è inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge (Cass. 17 luglio 2008, n. 19769).

Applicando i riferiti principi di diritto al caso di specie è palese la inammissibilità del motivo in esame, per la inidoneità del quesito sopra trascritto, certo essendo che manca in questo qualsiasi riferimento alla fattispecie all’esame dei giudici a quibus è alla regula iuris da costoro adottata.

4.2. Quanto al secondo motivo si osserva che questa Corte regolatrice – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto, con decorrenza dal 2 marzo 2006, dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47 e applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 e il 14 luglio 2009 (cfr. L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5) – è fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, allorchè, cioè, il ricorrente denunzi la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.

Ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603).

Al riguardo, ancora è incontroverso che non è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata.

Conclusivamente, non potendosi dubitare che allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (In termini, ad esempio, Cass. 7 aprile 2008, n. 8897), non controverso che nella specie il secondo motivo di ricorso, formulato ex art. 360 c.p.c., n. 5 è totalmente privo di tale indicazione, è palese che deve dichiararsene la inammissibilità (in argomento, tra le tantissime, Cass. 13 maggio 2009, n. 11094, in motivazione).

3. Ritiene il Collegio di dovere fare proprio quanto esposto nella sopra trascritta relazione, specie tenuto presente che non è stata presenta alcuna replica alla stessa.

Il proposto ricorso, conclusivamente, deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00 oltre Euro 1.700,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 25 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2010

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