Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8554 del 10/04/2010

Cassazione civile sez. III, 10/04/2010, (ud. 25/02/2010, dep. 10/04/2010), n.8554

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

G.S., GO.SA., B.F. tutte eredi di

G.A., titolare dell’omonima azienda agricola, elettivamente

domiciliate in ROMA, VIA VIGLIENA 2, presso lo studio dell’avvocato

FALCONI AMORELLI ALESSANDRO, che le rappresenta e difende unitamente

all’avvocato A. GABRIELLA DOLCE PANCALDI, giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

B.A., BI.FR., B.P.,

B.M., B.R. in B.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 290/2008 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE del

24.1.08, depositata il 21/02/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/02/2010 dal Consigliere Relatore Dott. FINOCCHIARO Mario;

E’ presente il P.G. in persona del Dott. RUSSO Libertino Alberto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. B.R., BI.Fr. e B.P. hanno convenuto in giudizio innanzi al tribunale di Prato l’Azienda Agricola di Gori Albano, chiedendo che, pronunciata la risoluzione del contratto intervenuto tra le parti per la potatura di 11 piante di cedro, stante il grave inadempimento della parte convenuta che aveva eseguito l’operazione non a regola d’arte, con danno irreparabile alle piante, la convenuta fosse condannata al risarcimento dei danni da liquidare sia nel valore delle piante e nella spesa per la loro sostituzione, sia nella diminuzione di valore dell’immobile di cui le piante stesse erano pertinenza.

Svoltasi, in contumacia di parte convenuta, la istruttoria del caso, l’adito tribunale con sentenza 11 gennaio 1995 ha rigettato la domanda, per mancanza di prove sullo stato delle piante dopo la potatura e sul nesso di causalità tra la potatura e il danneggiamento lamentato.

Gravata tale pronunzia dai soccombenti B. nel contraddittorio di G.A., titolare della azienda convenuta che, costituitosi in giudizio ha resistito all’avverso gravame, la Corte di appello di Firenze, con sentenza 24 gennaio 21 febbraio 2008 in riforma della sentenza del primo giudice ha condannato B. F., G.S. e GO.Sa., nella loro qualità di eredi di G.A., al pagamento, ciascuno in proporzione della propria quota ereditaria, in favore dei B.B.R., B.A., B.M., BI.Fr., B.P., della somma di Euro 126.607, oltre interessi come in motivazione.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, non notificata, hanno proposto ricorso, affidato a tre motivi, B.F., G. S. e GO.Sa., con atto 6 aprile 2009 e date successive, nei confronti di B.B.R., B.A., B.M., BI.Fr., B.P..

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

In margine a tale ricorso – proposto contro una sentenza pubblicata successivamente al 2 marzo 2006 e, quindi, soggetto alla disciplina del processo di Cassazione così come risultante per effetto dello modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – è stata depositata relazione (ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.) perchè il ricorso sia deciso in Camera di consiglio.

Non sono state depositate memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. precisa, nella parte motiva:

2. Hanno accertato i giudici di secondo grado:

– le piante, potate dal G.A. su incarico dei B., erano di altezza non inferiore a dieci metri;

– tali piante, fino alla potatura era sane e poi seccarono;

– la potatura è stata eseguita dal G.A. con modalità drastiche e senza una adeguata preparazione delle piante;

– tali modalità di potatura, incompatibili con la l salute e la vita dei cedri ne hanno con certezza determinato la morte;

– avuto riguardo alla stima del consulente tecnico, e tenuto conto l’esborso complessivo per l’abbattimento delle piante preesistenti sino al trapianto di nuove, compreso il loro acquisto, il danno viene liquidato, ai valori attuali, in Euro 126.607,00, e agli attori devono essere attribuiti gli interessi legali maturati sulla somma di Euro 82.558,00, rivalutata anno per anno, fino al soddisfo.

3. I ricorrenti censurano la riassunta pronunzia denunziando:

– da un lato, violazione dell’art. 2697 c.c. nella parte in cui prevede che l’attore deve provare i fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio, in collegamento con l’art. 290 c.p.c. e segg.

(contumacia), per avere i giudici di appello affermato che in primo grado non era stato contestato che le fotografie prodotte con la citazione riproducessero le piante potate. Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. i ricorrenti sottopongono all’esame di questa Corte il seguente principio di diritto: dica la corte se la contumacia del convenuto e la conseguente mancata contestazione di circostanze dedotte in un giudizio di primo grado (nella fattispecie corrispondenza degli alberi fotografati a quelli oggetto della potatura) relative a un diritto disponibile (nella fattispecie:

azione di risoluzione di un contratto d’opera e richiesta di risarcimento del danno) comporti la loro assunzione nel quadro probatorio, tenuto conto che il principio della non contestazione (secondo cui i fatti non contestati non hanno bisogno di essere provati) non è applicabile contro la parte rimasta volontariamente contumace e, pertanto, non è idonea a fare ritenere come ammessi i fatti allegati dalla parte costituita primo motivo;

– dall’altro violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nella parte in cui subordina l’ammissibilità delle nuove prove in appello alla loro indispensabilità (art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la Corte posto, a fondamento della decisione, le prove ammesse in grado di appello, sulla corrispondenza delle fotografie prodotte in primo grado allo stato degli alberi dopo la potatura, sul rilievo che tale prova era ammissibile in quanto comunque appariva indispensabile per la decisione, avuto riguardo al motivo di rigetto della domanda di primo grado secondo motivo;

– da ultimo insufficiente motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5), quanto alla dichiarata responsabilità del loro dante causa per i danni patiti da controparte. Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. i ricorrenti sottopongono all’esame di questa Corte il seguente principio di diritto: dica la corte se il giudice di merito sia tenuto a motivare la propria decisione con particolare riguardo al nesso di causalità fra la condotta che si assume avere provocato il danno ed il danno medesimo, sulla base degli elementi di prova acquisiti nel corso dell’istruttoria, fra i quali non può essere ricompresa la ctu terzo motivo.

4. Il proposto ricorso non pare possa essere accolto, attesa la manifesta infondatezza del secondo motivo e la inammissibilità dei restanti.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

4.1. La sentenza ora oggetto di ricorso per Cassazione è stata pronunziata il 21 febbraio 2008, in riforma della sentenza 11 gennaio 1995, del tribunale di Prato.

E’ di palmare evidenza, pertanto, che il presente giudizio, in quanto definito in primo grado con sentenza del gennaio 1995, è stato instaurato con citazione introduttiva (di primo grado) notificata in epoca anteriore al 30 aprile 1995.

Alla luce del combinato disposto di cui alla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 52 e art. 90, comma 1 – pertanto – la sentenza ora oggetto di ricorso è stata resa nel vigore dell’art. 345 c.p.c., nella sua formulazione risultante per effetto della L. 14 luglio 1950, n. 581, art. 36 e non – contrariamente a quanto invoca la difesa dei ricorrenti con il secondo motivo -nel testo attualmente vigente (come, cioè, sostituito dalla più volte ricordata L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 52).

Disponeva il ricordato art. 345 c.p.c., comma 3 nel testo applicabile ratione temporis – per quanto rilevante al fine del decidere – che nel giudizio di appello le parti possono proporre nuove eccezioni, produrre nuovi documenti e chiedere l’ammissione di nuovi mezzi di prova…

Pacifico quanto sopra è palese che non vi è stata alcuna violazione della regola di cui all’art. 345 c.p.c. nella circostanza che i giudici di appello abbiano dato ingresso, in causa, nel giudizio di appello alle prove testimoniali dirette a dimostrare che le fotografie, già prodotte in primo grado, con la citazione introduttiva, riproducevano le piante dopo la potatura eseguita del convenuto.

4.2. Giusta un insegnamento assolutamente pacifico presso la giurisprudenza di questa Corte regolatrice e che nella specie deve trovare ulteriore conferma, ove una sentenza (o un capo di questa) si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario – per giungere alla cassazione della pronunzia – non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo stesso dell’impugnazione.

Questa, infatti, è intesa alla cassazione della sentenza in toto, o in un suo singolo capo, id est di tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano.

E’ sufficiente, pertanto, che anche una sola delle dette ragioni non formi oggetto di censura, ovvero che sia respinta la censura relativa anche ad una sola delle dette ragioni, perchè il motivo di impugnazione debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni (In tale senso, ad esempio, tra le tantissime, Cass. 11 gennaio 2007, n. 389; Cass. 18 settembre 2006, n. 20118; Cass. 24 maggio 2006, n. 12372).

Pacifico quanto precede, è palese la inammissibilità del primo motivo.

I giudici di secondo grado, in particolare, dopo avere affermato che la parte convenuta, contumace in primo grado, non aveva contestato che le fotografie prodotte con la citazione in primo grado dagli attori riproducessero le piante dopo la potatura seguita dal G. A. prima ratio decidendi hanno precisato che le fotografie riproducessero le piante potate.. è stato confermato dai testimoni escussi in questa sede processuale seconda ratio decidendi.

Certo quanto sopra, è paese che deve essere dichiarato inammissibile, per carenza di interesse, il primo motivo di ricorso.

Infatti, a seguito della dimostrata manifesta infondatezza del secondo motivo di ricorso – con il quale è stata censurata, appunto, la seconda delle rationes decidendi sopra trascritte – anche nella eventualità il primo motivo dovesse risultare fondato non per questo potrebbe mai pervenirsi alla cassazione della sentenza impugnata e, quindi, a un qualsiasi risultato utile per i ricorrenti.

4.3. Il terzo motivo, da ultimo, pare inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c..

Almeno sotto due, concorrenti, profili.

4.3.1. In primis si osserva che non esiste alcuna relazione tra il motivo dedotto insufficiente meditazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) e la parte conclusiva del motivo, nella quale si sottopone all’esame di questa Corte un quesito di diritto dica la corte se il giudice di merito sia tenuto a motivare la propria decisione con particolare riguardo al nesso di causalità fra la condotta che si assume avere provocato il danno ed il danno medesimo, sulla base degli elementi di prova acquisiti nel corso dell’istruttoria, fra i quali non può essere ricompressa la ctu ma non – come puntualmente prescrive l’art. 366 bis c.p.c., seconda parte la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

4.3.2. Anche a prescindere da quanto precede – ove si ritenga che in realtà il ricorrente abbia inteso censurare la sentenza impugnata non sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ma sotto quello, diverso, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 – il proposto quesito che totalmente prescinde da un insegnamento giurisprudenza più che consolidato, alla luce del quale anche le risultanze della consulenza tecnica possono – ricorrendo determinate circostanze – essere poste a base della decisione e dell’accertamento degli elementi decisivi al fine del decidere (cfr. Cass. 30 maggio 2007, n. 12695; Cass. 19 gennaio 2006, n. 1020; Cass. 22 giugno 2005, n. 13401) non è conforme al modello designato dall’art. 366 bis c.p.c..

Costituisce ius reception, infatti, nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione che a norma dell’art. 366 bis c.p.c., è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo (Cass., sez. un., 11 marzo 2008, n. 6420).

3. Ritiene il Collegio di dovere fare proprio quanto esposto nella sopra trascritta relazione, specie tenuto presente che non è stata presenta alcuna replica alla stessa.

Il proposto ricorso, conclusivamente, deve essere rigettato, mentre nessun provvedimento deve essere adottato in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità non avendo gli intimati svolto attività difensiva in questa sede.

PQM

LA CORTE Rigetta il ricorso;

nulla sulle spese di lite di questo giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della sezione terza civile della Corte di Cassazione, il 25 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2010

 

 

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