Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8552 del 10/04/2010

Cassazione civile sez. III, 10/04/2010, (ud. 25/02/2010, dep. 10/04/2010), n.8552

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

T.E., B.M., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA CLITUNNO 51, presso lo studio dell’avvocato ONGARO FRANCO,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato TONETTO

GIANCARLO, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

NALETTO COSTRUZIONI SAS in persona del legale rappresentante,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CORRIDONI 4, presso lo studio

dell’avvocato PAOLO MALDARI, rappresentata e difesa dall’avvocato

CAMPANER CLAUDIO, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 740/2008 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA del

9.7.07, depositata il 23/05/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/02/2010 dal Consigliere Relatore Dott. MARIO FINOCCHIARO;

udito per la controricorrente l’Avvocato Francesco Saverio Esposito

(per delega avv. Claudio Campaner) che si riporta agli scritti.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. LIBERTINO ALBERTO RUSSO che

ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con Decreto 12 aprile 2000 il presidente del tribunale di Venezia ha intimato alla Naletto Attilio e C. s.n.c. il pagamento della somma di L. 85 milioni in favore di T.E. e B.M. pretesa a titolo di rimborso di un mutuo per tale importo in precedenza erogato alla società, come riconosciuto da sentenza n. 2265 del 1999 dello stesso tribunale passata in cosa giudicata, resa al termine di altro giudizio promosso dal T. e dalla B. nei confronti di N.A. in proprio.

La Naletto Costruzioni s.a.s. di Naletto Attilio & C. (precedentemente denominata Naletto Attilio & C. s.n.c.) ha proposto opposizione – avanti il tribunale di Venezia – avverso il descritto decreto ingiuntivo assumendo che essa opponente non aveva partecipato al giudizio definito con la sentenza invocata nel decreto opposto e che tale sentenza non erano opponibile nè faceva stato nei confronti di essa concludente.

Svoltasi la istruttoria del caso l’adito tribunale ha accolto l’opposizione e revocato il decreto opposto, atteso che pur essendo stato dimostrato che gli opposti avevano versato alla società Naletto, mediante bonifico bancario, la somma di L. 85 milioni, non era stata fornita alcuna prova, nè orale nè documentale, a dimostrazione del titolo di pagamento, che – cioè – la somma corrisposta costituisse oggetto di un mutuo.

Gravata tale pronunzia dai soccombenti T.E. e B. M. la Corte di appello di Venezia con sentenza 9 luglio 2007 – 23 maggio 2008 ha rigettato il gravame.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, non notificata, hanno proposto ricorso – affidato a un unico complesso motivo, T. E. e B.M., con atto 27 marzo 2009 e date successive.

Resiste, con controricorso la Naletto Costruzioni s.a.s..

In margine a tale ricorso – proposto contro una sentenza pubblicata successivamente al 2 marzo 2006 e, quindi, soggetto alla disciplina del processo di Cassazione così come risultante per effetto dello modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – è stata depositata relazione (ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., perchè il ricorso sia deciso in camera di consiglio.

La Naletto Costruzioni s.a.s. ha depositato memoria aderendo alle conclusioni della Relazione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., precisa, nella parte motiva:

2. Escluso che la sentenza 2265 del 1999, pronunziata in un giudizio di cui non era parte la Naletto Costruzioni s.a.s., sia opponibile a quest’ultima, i giudici di appello hanno confermato la sentenza del primo giudice evidenziando che dalla istruttoria espletata in primo grado era emerso che N.A. aveva chiesto al T. “un prestito a titolo personale” e che questo “glielo concesse”.

Lo stesso teste (figlio degli odierni ricorrenti) – hanno sottolineato i giudici del merito – non ha saputo spiegare perchè i miei genitori scelsero di bonificare direttamente il conto della Naletto Attilio s.n.c. anzichè il conto corrente personale dello stesso N., precisando che in tale modo “il teste ha evidenziato che secondo quanto da lui riscontrato il richiedente e destinatario del prestito era stato il N. personalmente e che d’altra parte che il reale mutuatario della somma fosse il N. emerge in modo in equivoco dal fatto che su sua disposizione la somma è stata poi fatta confluire sul conto corrente della Kim s.r.l.”.

In definitiva, hanno concluso i giudici di secondo grado, non può ritenersi dimostrato, nè in base alla sentenza n. 2265 del 1999 del tribunale di Venezia – non avente efficacia di giudicato nel presente giudizio;

– nè sulla scorta delle prove assunte in primo grado che il mutuo di lire 85 milioni sia stato concesso dagli appellanti T.E. e B.M. alla Naletto Costruzioni s.a.s. (ex Naletto Attilio & C. s.n.c.) e quindi la pronuncia di rigetto della domanda di restituzione del mutuo proposta contro detta società merita piena conferma.

3. I ricorrenti censurano la riassunta sentenza denunziando, con un unico motivo: art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, falsa applicazione di norma di diritto ed omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia: della individuazione del soggetto beneficiario del prestito.

Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., i ricorrenti hanno formulato, a conclusione del motivo, il seguente quesito di diritto: dica la Corte di Cassazione se con riferimento all’operazione di prestito per cui è causa, e con riferimento agli elementi processuali sopra ricorsati e, in particolare, per la mancata impugnazione della sentenza del tribunale di Venezia n. 1121/03 id est, la sentenza di primo grado emessa nel presente giudizio nella parte in cui ha individuato il beneficiario della dazione di cui a lite nella società Naletto Attilio S.n.c., questa ultima deve essere individuata come destinataria della operazione di prestito per cui è causa con obbligo della relativa restituzione.

4. Il proposto ricorso pare inammissibile, sotto diversi, concorrenti, profili.

In primis si evidenzia la non conformità del quesito che conclude l’unico motivo del ricorso stesso al modello delineato dall’art. 366 bis c.p.c..

Infatti:

– la funzione propria del quesito di diritto, da formularsi a pena di inammissibilità del motivo proposto, è di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto as- seritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (Cass. 7 aprile 2009, n. 8463);

– contemporaneamente il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c., deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie, sì che – di conseguenza – è inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge (Cass. 17 luglio 2008, n. 19769).

Applicando i riferiti principi di diritto al caso di specie è palese la inammissibilità dei motivi in esame, per la inidoneità dei quesiti sopra trascritti, certo essendo che manca in questo qualsiasi riferimento alla fattispecie all’esame dei giudici a quibus e alla regula iuris da costoro adottata, nonchè alla diversa regula che si pretende che questa Corte enunci con riferimento alla fattispecie decisa dalla sentenza impugnata.

Anche a prescindere da quanto precede, si osserva, comunque, che ove, come nella specie nella prima parte del ricorso, si denunzia che il giudice di appello è incorso in violazione e falsa applicazione di norme di diritto (sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3) è onere della parte ricorrente indicare quali siano le norme di diritto violate e erroneamente applicate dai giudici a quibus e indicare nel quesito quale la lettura delle stesse norme, datane dalla sentenza impugnata e quale quella corretta.

Nella specie, non solo non è dato comprendere (dalla lettura degli argomenti sviluppati nel motivo, argomenti che contra legem si risolvono nella pretesa di sollecitare da parte di questa Corte regolatrice una nuova valutazione delle risultanze di causa) quali siano le norme violate ma sotto tale profilo il quesito, come già evidenziato è totalmente carente.

Quanto alla censura sviluppata sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, si osserva che questa Corte regolatrice – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366 bis c.p.c., (introdotto, con decorrenza dal 2 marzo 2006, dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, e applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 e il 14 luglio 2009 (cfr. L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5)) – è fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, allorchè, cioè, il ricorrente denunzi la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.

Ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603).

Al riguardo, ancora è incontroverso che non è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata.

Conclusivamente, non potendosi dubitare che allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (In termini, ad esempio, Cass. 7 aprile 2008, n. 8897), non controverso che nella specie l’unico motivo di ricorso, formulato ex art. 360 c.p.c., n. 5 è totalmente privo di tale indicazione, è palese che deve dichiararsene la inammissibilità (in argomento, tra le tantissime, Cass. 13 maggio 2009, n. 11094, in motivazione).

Qualora, da ultimo, si ritenga che i ricorrenti – come pare si desuma dal richiamo alla sentenza di primo grado resa in questo giudizio – hanno sub specie del vizio di motivazione, inteso denunziare – in realtà – la violazione di un presunto giudicato interno, per non essere state oggetto di appello alcuni accertamenti in fatto contenuti nella detta sentenza è di palmare evidenza (prima ancora che la manifesta infondatezza della affermazione, certo essendo che l’unico decisum della sentenza di primo grado è stato impugnato con l’appello proprio dagli odierni ricorrenti) la inammissibilità della censura atteso che la stessa doveva essere fatta valere non quale violazione o falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3) nè – ancora – quale omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5) ma sotto il diverso profilo della nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

3. Ritiene il Collegio di dovere fare proprio quanto esposto nella sopra trascritta relazione, specie tenuto presente che non è stata presenta alcuna replica alla stessa.

Il proposto ricorso, conclusivamente, deve essere dichiarato inammissibile, con condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di questo giudizio di Cassazione, liquidate in Euro 200,00 oltre Euro 4.000,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 25 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2010

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