Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8545 del 06/05/2020

Cassazione civile sez. I, 06/05/2020, (ud. 10/01/2020, dep. 06/05/2020), n.8545

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2206/2019 proposto da:

J.J. V, elettivamente domiciliato in Roma, Via Attilio

Regolo n. 9, presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Lipera,

rappresentato e difeso dall’avvocato Graziella Coco giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, elettivamente domiciliato in Roma, Via Dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo

rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 597/2018 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 25/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2020 dal Consigliere Dott.ssa Paola GHINOY;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Caltanissetta confermava l’ordinanza del Tribunale che aveva rigettato la domanda proposta da J.J. V, nato a (OMISSIS), volta ad ottenere in via principale il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.; in via subordinata, il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14; in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. La Corte territoriale riferiva che il richiedente aveva esposto alla Commissione di avere lasciato il proprio paese, la Liberia, per timore di essere ucciso a causa della sua militanza politica nel partito di opposizione, il “Congresso per il cambiamento Democratico”, dai membri del partito al governo, che avevano già ucciso il padre, mentre il fratello, che aveva collaborato alla campagna elettorale, era scomparso. Aveva quindi abbandonato il paese con la famiglia recandosi prima in Sierra Leone, ove la famiglia si era fermata, successivamente in Guinea Conakry, Mali, Burkina Faso, Niger e Libia. In quest’ultimo stato era stato arrestato ingiustamente e sottoposto a tortura in quanto cristiano, riportando cicatrici alla spalla e sul braccio. Era riuscito a fuggire tramite una finestra aperta nel bagno della prigione e si era imbarcato per l’Italia.

3. Argomentava che, pur essendo credibile il racconto del richiedente, tuttavia la condizione personale e familiare, valutata in termini di attualità, impediva di configurare un reale fumus persecutionis, in quanto – come riportato dagli organi di stampa – a seguito della vittoria nella competizione elettorale del 2017, nel gennaio 2018 è salito alla carica presidenziale della Liberia il leader del partito “Congresso per il cambiamento Democratico”. Peraltro le elezioni del 2017 si collocavano in un solco di normalizzazione politica della Liberia già da tempo avviato, che nel 2012 aveva visto la condanna del despota liberiano T.C. da parte della Corte speciale delle Nazioni Unite per la Sierra Leone, istituita all’Aja. Riteneva quindi che l’attuale condizione socio-politica dello Stato africano escludesse il pericolo che esponenti del partito al governo quali l’appellante potessero subire persecuzioni. Escludeva per le stesse ragioni che si registrasse in Liberia un conflitto armato. Negava infine la protezione umanitaria, in quanto l’appellante non aveva allegato profili di particolare vulnerabilità, non essendo quindi sufficiente la documentata integrazione sociale nel nostro paese. In merito infine alla domanda volta riconoscere il diritto di asilo, riteneva che essa non avesse un contenuto più ampio rispetto al diritto di ottenere le forme tipiche di protezione.

4. Per la cassazione della sentenza J.J. V ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi, cui il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Come primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 9, comma 2, in relazione alle valutazioni ed agli specifici accertamenti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8; la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 lettera a) della Convenzione di Ginevra e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e) e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in merito all’esistenza dei presupposti per ottenere lo status di rifugiato. Sostiene che la documentazione prodotta, attestante la militanza nel partito di opposizione, avrebbe dovuto determinare l’accoglimento della domanda, dovendosi avere riguardo alla situazione in cui viveva in Liberia.

6. Il motivo non è fondato.

7. Il giudice di merito ha ritenuto che la situazione che la Liberia presenta oggi renda inattuale il pericolo paventato dal ricorrente per il caso di rimpatrio.

8. La soluzione adottata dal giudice di merito è coerente con i presupposti della richiesta protezione, considerato che il riconoscimento dello status di rifugiato, si caratterizza per la circostanza che lo straniero non può o non vuole fare ritorno nel Paese nel quale in precedenza dimorava abitualmente, per il fondato timore di una persecuzione personale e diretta, per l’appartenenza ad un’etnia, associazione, credo politico o religioso, ovvero in ragione delle proprie tendenze o stili di vita; sicchè la situazione socio politica o normativa del paese di provenienza in tanto è rilevante in quanto si correla alla posizione del singolo richiedente, il quale sia personalmente esposto al rischio nel caso di rimpatrio di specifiche misure sanzionatorie a carico della sua integrità psico-fisica (cfr. Cass. n. 10177 del 2011, e sulla personalizzazione del rischio, Cass. n. 14157 del 2016, e Cass. n. 30105 del 2018).

9. Deve poi ulteriormente precisarsi che l’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato integra un apprezzamento di fatto, riservato in quanto tale al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nei ristretti limiti di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposizione che ha introdotto nell’ordinamento il vizio di omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. SU n. 8053 del 2014).

10. Nella specie, non avendo il ricorrente indicato alcun fatto decisivo relativo alla sua specifica posizione il cui esame sarebbe stato omesso e che avrebbe condotto ad una decisione diversa, la situazione legittimante il riconoscimento della massima protezione, non emersa nel giudizio di merito, non può essere rivalutata in sede di legittimità.

11. Come secondo motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 14, lett. b) e c) e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione ai presupposti per ottenere la protezione sussidiaria.

12. Lamenta che la Corte d’appello non abbia tenuto conto del rischio terrorismo sussistente ancora oggi nell’area del Sahel di cui fa parte anche la Liberia.

13. Neppure tale motivo è fondato.

14. In merito alla protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b), valgono le ragioni richiamate dal giudice di merito nel senso della non attualità della situazione prospettata dal richiedente, che esclude il paventato timore di essere sottoposto a tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante nel Paese di origine.

15. In merito poi alla previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), va premesso che la nozione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, dev’essere interpretata in conformità della fonte Eurounitaria di cui è attuazione (direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE), in coerenza con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di Giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C-542/13, par. 36), secondo cui i rischi cui è esposta in generale la popolazione di un paese o di una parte di essa di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definirsi come danno grave (v. 26 Considerando della direttiva n. 2011/95/UE), sicchè “l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 15, direttiva, lett. c), a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia” (v., in questo senso, Corte Giustizia UE 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, e 30 gennaio 2014, Diakitè, C285/12; vedi pure Cass. n. 13858 del 2018 e Cass. n. 30105 del 2018, n. 30105).

16. In tal senso, la valutazione del giudice di merito è stata compiuta in coerenza con i richiamati presupposti normativi, nè risulta contraddetta dal paventato rischio terrorismo, inidoneo di per sè ad assumere i livelli di pericolosità generalizzata richiesti dalla disposizione sopra richiamata. Il motivo si sostanzia in una censura di merito all’accertamento di fatto compiuto dalla Corte d’appello ed in tal senso risulta inammissibile, considerato che il vizio di motivazione rappresentato dal travisamento di fatti decisivi non è riconducibile al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

17. Come terzo motivo il richiedente deduce la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, art. 3 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, della Direttiva 2001/55/CE, degli artt. 2 e 32 Cost., art. 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, L. n. 881 del 1977, art. 11, nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in merito alla sussistenza dei presupposti per ottenere il riconoscimento della protezione umanitaria. Lamenta che la Corte territoriale non abbia considerato ai fini di configurare la situazione di vulnerabilità l’arresto in Libia e la sottoposizione a tortura in quanto cristiano, nonchè il lungo viaggio intrapreso prima di arrivare in Italia. Aggiunge che nel suo paese di origine sarebbero compressi diritti fondamentali quali il diritto alla salute, all’alimentazione, ad avere una vita futura migliore per sè e per la famiglia.

18. Neppure tale motivo è fondato: questa Corte ha chiarito (Cass. n. 29875 del 20/11/2018) che nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione.

19. In sostanza, il vissuto nel Paese di transito può rilevare ove abbia determinato nel richiedente una situazione di vulnerabilità per i traumi psichici e le condizioni fisiche riportate (Cass. n. 13096 del 15/05/2019), situazione che qui il ricorrente non ha dedotto e che non può essere automaticamente fatta discendere dal suo trascorso, considerato che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato (Cass. n. 19197 del 28/09/2015, n. 27336 del 29/10/2018).

20. Nè la situazione di povertà del Paese di provenienza può ritenersi sufficiente per il riconoscimento della protezione umanitaria, considerato che, secondo gli arresti anche più recenti di questa Corte (v. Cass. 23/02/2018, n. 4455 e, da ultimo, Cass. S.U. n. 29459, n. 29460 e n. 29461 del 13.11.2019), il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su un’ effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

21. Non può essere dunque riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale.

22. La Corte d’Appello non ha affatto negato, come pare ritenere l’istante, che la protezione umanitaria potesse trovare, in astratto, uno spazio applicativo: ha invece escluso che potesse essere in concreto riconosciuta, essendo mancata la dimostrazione di specifiche situazioni soggettive di vulnerabilità riferibili all’appellante, situazione che neppure viene specificata con riferimento ad elementi specifici nè richiami a fonti di conoscenza.

23. Come quarto motivo deduce la nullità della sentenza ex art. 161 c.p.c., in merito alla pronuncia sulla richiesta subordinata del riconoscimento del diritto di asilo ex art. 10 Cost. e i relativi benefici.

24. Il motivo è infondato e non sussiste la denunciata violazione dei parametri costituzionali. Con riguardo al diritto di asilo, costituzionalmente garantito, questa Corte ha già precisato che “il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, ed al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, cosicchè non v’è più alcun margine residuale di diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3″ (Cass. 16362/2016; Cass. 11110/2019).

25. Conclusivamente, il ricorso dev’essere rigettato.

26. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

27. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2020

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