Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8537 del 09/04/2010

Cassazione civile sez. I, 09/04/2010, (ud. 15/01/2010, dep. 09/04/2010), n.8537

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.M. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, P.ZZA DEL POPOLO 18, presso l’avvocato FRISANI

PIETRO, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositato il

07/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

15/01/2010 dal Consigliere Dott. BERNABAI Renato;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato P. FRISANI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto emesso il 7 aprile 2008 la Corte d’appello di Genova dichiarava inammissibile il ricorso ex art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, proposto dalla signora M.M. nei confronti del Ministero delle Finanze per ottenere l’equa riparazione del danno da violazione del termine ragionevole del processo da lei promosso dinanzi alla Corte dei conti – successivamente trasferito presso la sezione giurisdizionale per la Liguria, territorialmente competente a seguito della L. 14 gennaio 1994, n. 19 – avente ad oggetto la richiesta di riscatto, a fini pensionistici, del corso di studi per il diploma d’ostetrica:

processo, definito in primo grado con sentenza di accoglimento in data 17 ottobre 2006.

Motivava che la ricorrente aveva omesso di produrre una copia conforme della decisione, munita degli estremi dell’eventuale passaggio in giudicato, a dimostrazione della tempestivita’ dell’edictio actionis, entro il termine di decadenza di sei mesi dal momento in cui la decisione, conclusiva del procedimento era divenuta definitiva, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4.

Avverso il provvedimento proponeva ricorso per Cassazione la signora M., deducendo la nullita’ della sentenza e del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4 per mancata applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5 dal momento che la corte territoriale non aveva tenuto conto della sua richiesta di acquisizione degli atti del giudizio presupposto, che valeva ad escludere l’onere di produzione documentale a carico della parte, come da precedenti della Suprema Corte.

Resisteva con controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

All’udienza della 15 gennaio 2010 il Procuratore generale precisava le conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso e’ infondato.

Ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4 (“Termine e condizioni di proponibilita’”), la domanda di equa riparazione puo’ essere proposta durante la pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata, ovvero, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione, che conclude il medesimo procedimento, e’ divenuta definitiva.

Si tratta di un termine di decadenza processuale che non rientra nel potere dispositivo le parti, la cui inosservanza e’ quindi rilevabile d’ufficio e non ope exceptionis (art. 2969 c.c.). Discende dalla sua natura imperativa, l’onere della prova a carico della parte attrice della tempestivita’ della domanda nel rispetto del predetto termine;

anche nell’ipotesi di contumacia del Ministero resistente o di omessa contestazione, negli atti difensivi ed in sede di comparizione in Camera di consiglio. Principio, piu’ volte riaffermato da questa Corte, con riferimento a diverse fattispecie processuali caratterizzate dall’esigenza pubblicistica – e quindi, non disponibile dalle parti – del rispetto di un termine di decadenza prescritto dalla legge: come ad esempio, in funzione del vincolo della cosa giudicata formale per mancata impugnazione tempestiva della sentenza, verificabile d’ufficio (Cass., sez. unite,16 aprile 2009, n.9004), o dell’esecutivita’ definitiva, ex art. 647 c.p.c., del decreto ingiuntivo non opposto nel termine di cui all’art. 641 c.p.c., con relativo onere di produzione della copia notificata a pena di inammissibilita’ dell’opposizione (Cass., sez. 1,15 luglio 2009, n. 16.540; Cass., sez. 3, 28 dicembre 2004, n. 24.048).

S’intende che la prova si rende necessaria solo nel caso di sentenza suscettibile, in astratto, di impugnazione ordinaria (con esclusione quindi delle sentenze di rigetto del ricorso per cassazione che concludano ipso iure l’iter processuale o di quelle per le quali, al momento della notifica del ricorso per equa riparazione sia gia’ decorso il termine lungo, maggiorato degli intervalli di sospensione nel periodo feriale, L. 7 ottobre 1869, n. 742, ex art. 1 (Cass., sez. 1^, 11 marzo 2009, n. 5895): evenienze, in cui la preclusione della domanda e’ ravvisabile ictu oculi.

Il ricorrente puo’ assolvere l’onere probatorio mediante produzione di copia autentica della sentenza del processo presupposto munita dell’annotazione del cancelliere dell’avvenuta impugnazione (art. 123 disp. att. c.p.c.), che del resto non potra’ non essergli nota, quale parte processuale – nel qual caso l’azione di equa riparazione sara’ ammissibile perche’ in pendenza del processo, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 4, prima parte – o mediante produzione di copia autentica della sentenza, con annotazione dell’omessa proposizione di impugnazione nel termine lungo previsto dall’art. 327 c.p.c. (art. 124 disp. att. c.p.c.).

E’ vero che l’ottemperanza del termine puo’ anche essere accertata aliunde, da atti acquisiti al processo. Ma, ancora una volta, l’onere di produrli grava sulla parte; laddove l’acquisizione da parte della Corte d’appello L. n. 89 del 2001, ex art. 3, comma 5 non puo’ colmare la lacuna probatoria imputabile alla parte attrice, riferendosi ad atti e documenti del processo presupposto diversi dalla sentenza, che non e’ contenuta in forma originale o autentica (e tanto meno, con relazione di notificazione) nel fascicolo d’ufficio.

Oltre al rilievo, in tesi generale, che l’acquisizione del fascicolo d’ufficio dei gradi pregressi ha natura discrezionale e funzione meramente sussidiaria: cosicche’ la sua mancata attuazione non vizia ne’ il procedimento, ne’ la relativa sentenza, a meno che non risultino trascurati, per l’effetto, decisivi elementi di giudizio, specificamente indicati, non rilevabili in altro modo (Cass., sez. 3^, 14 febbraio 2006, n. 3181; Cass., sez. 3^, 24 maggio 2004, n. 9985).

In questo senso, non giova quindi alla ricorrente la citazione del precedente di questa Corte, nel quale si esclude, in subiecta materia, alcun onere di produzione documentale a carico della parte (Cass., sez. 1^, 16 aprile 2004, n. 7258); dal momento che tale statuizione si riferisce alla prova dell’allegata durata irragionevole, per la quale e’ di per se’ sufficiente l’oggettivo protrarsi della controversia oltre la durata qualificabile come ragionevole secondo i parametri elaborati dalla corte europea: salvo l’accertamento di comportamenti dilatori delle parti o della specifica complessita’ del caso, ostativi al rispetto del termine ordinario (L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2).

Per completezza di analisi, si osserva, infine, che il ricorso per Cassazione della M., in violazione del principio di autosufficienza, non reca neppure l’indicazione della data di proposizione della domanda di equa riparazione in primo grado (omessa altresi’ nel decreto impugnato), e cioe’ uno dei dati di fatto essenziali ai fini della verifica di tempestivita’.

Attesa l’obbiettiva incertezza della fattispecie, sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese processuali.

PQM

– Rigetta il ricorso e compensa le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, il 15 Gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2010

 

 

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