Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8537 del 08/04/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 8537 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

SENTENZA

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sul ricorso proposto da:
PORTARO Domenico (PRT DNr 39T20 H380L), rappresentato e difeso, per procura speciale a margine del ricorso, dall’Avvocato
Fabrizio Mobilia, domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso
la Cancelleria civile della Corte suprema di cassazione;
–ricorrente contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (80207790587), in persona del Ministro

pro

tempore,

rappresentato e difeso

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in
Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 08/04/2013

avverso il decreto della Corte d’appello di Messina, emesso in
data 8 febbraio 2012.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udien-

Petitti;
sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Antonietta Carestia, che ha chiesto il rigetto del
ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 13 settembre 2010 presso la Corte
d’appello di Messina, Portaro Domenico ha proposto, ai sensi
della legge n. 89 del 2001, domanda di equa riparazione del
danno non patrimoniale sofferto a causa della non ragionevole
durata di un giudizio iniziato dinnanzi al TAR Sicilia, sezione Staccata di Catania con ricorso depositato in data 4 agosto 1999 ed ancora pendente alla data di presentazione della
domanda.
L’adita Corte d’appello, disattesa la preliminare eccezione
di inammissibilità formulata dall’amministrazione ai sensi
dell’art. 54 del d.l. n. 112 del 2008, trattandosi di disposizione entrata in vigore dopo la introduzione del giudizio presupposto e comunque perché il ricorrente aveva presentato istanza di prelievo nel marzo 2009, accoglieva la domanda e,
ritenuto che il lungo lasso di tempo intercorso tra il deposito del ricorso e la presentazione della detta istanza era sin-

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za del 24 gennaio 2013 dal Consigliere relatore Dott. Stefano

tomatico di un non rilevante interesse della parte alla definizione del giudizio presupposto, liquidava per l’accertata
durata irragionevole (sette anni e tre mesi alla data della

euro 5.437,50, in ragione di un parametro di 750,00 euro
all’anno.
Per la cassazione di questo decreto Portaro Domenico ha
proposto ricorso sulla base di un motivo, illustrato da memoria; l’intimata Amministrazione ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza.
Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente principale denuncia violazione dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge n. 89
del 2001, e dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, sostenendo che la Corte d’appello si sarebbe indebitamente ed erroneamente discostata dai parametri adottati
dalla giurisprudenza europea e da quella di legittimità in tema di liquidazione dell’indennizzo per violazione del termine
di durata ragionevole del processo (750,00 euro per i primi
tre anni di ritardo e 1.000,00 euro per ciascuno degli anni
ulteriori); e tale scostamento vi sarebbe anche con riguardo a
quell’orientamento della giurisprudenza di legittimità che in-

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sentenza, intervenuta il 24 novembre 2009), un indennizzo di

no di ritardo, ma lo applica, al contrario di quanto fatto
dalla Corte territoriale, sulla intera durata del giudizio
presupposto.

Deve qui ricordarsi che questa Corte ha avuto modo di affermare che «in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo amministrativo, l’art. 54 del d.l. 25 giugno
2008, n. 112, pur disponendo per il futuro, dà rilievo alla
circostanza che, nei giudizi amministrativi, l’istanza di prelievo ha da tempo assunto la funzione di segnalare al giudice
il permanente interesse della parte alla definizione del giudizio, sovente venuto meno per circostanze sopravvenute alla
sua proposizione (quali atti di autotutela o sanatorie), con
la conseguenza che la mancata presentazione dell’istanza, nonostante il lungo tempo trascorso dalla proposizione della domanda, costituisce indice di scarso interesse alla lite e legittima, pertanto, la liquidazione del risarcimento in misura
inferiore rispetto a quella normalmente ritenuta congrua».
Prendendo poi in esame l’istituto della perenzione decennale
dei ricorsi, introdotto dall’art. 9 della legge 21 luglio
2000, n. 205 – nel testo, applicabile ratione temporis,

ante-

riore alle modifiche di cui all’art. 54 del d.l. 25 giugno
2008, n. 112, convertito nella legge 6 agosto 2008, n. 133 questa Corte ha precisato che lo stesso non si traduce in una
presunzione di disinteresse per la decisione di merito al de-

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Il ricorso è infondato.

correre di un tempo definito dopo che la domanda sia stata
proposta, ma comporta soltanto la necessità che le parti siano
messe in condizione, tramite apposito avviso, di soffermarsi

lo. Ne consegue che la mancata presentazione dell’istanza di
fissazione, rendendo esplicito l’attuale disinteresse per la
decisione di merito, giustifica l’esclusione della sussistenza
del danno per la protrazione ultradecennale del giudizio, ma
non impedisce una valorizzazione dell’atteggiamento tenuto
dalle parti nel periodo precedente, quale sintomo di un interesse per la decisione mano a mano decrescente, e quindi come
base per una decrescente valutazione del danno e del relativo
risarcimento (Cass. n. 6691 del 2010).
Nel caso di specie, la Corte d’appello ha adeguatamente motivato le ragioni per le quali ha ritenuto che, complessivamente, sussistessero le condizioni per ridurre l’importo annuo
da liquidarsi a titolo di indennizzo per la irragionevole durata del processo presupposto, uniformandosi al principio per
cui «in tema di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo
2001, n. 89, la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole, di cui all’art. 6, paragrafo
1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo
e delle libertà fondamentali, va riscontrata, anche per le
cause davanti al giudice amministrativo, con riferimento al
periodo intercorso dall’instaurazione del relativo procedimen-

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sull’attualità dell’interesse alla decisione e di manifestar-

to, senza che una tale decorrenza del termine ragionevole di
durata della causa possa subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell’istanza di prelievo od alla ritar-

citatori, infatti, non sospende né differisce il dovere dello
Stato di pronunciare sulla domanda, in caso di omesso esercizio degli stessi, né implica il trasferimento sul ricorrente
della responsabilità per il superamento del termine ragionevole per la definizione del giudizio, salva restando la valutazione del comportamento della parte al solo fine dell’apprezzamento della entità del lamentato pregiudizio» (Caos., SAI.,
n. 28507 del 2005).
Né può affermarsi che la misura dell’indennizzo individuata
dalla Corte del merito sia irragionevole. Va infatti ricordato
che, in applicazione dei criteri elaborati dalla Corte europea
dei diritti dell’uomo

(decisioni Volta et autres c.

del 16 marzo 2010 e Falco et autres c.

Italia, del 6 aprile

2010) e recepiti dalla giurisprudenza di questa Corte (Case.,
18 giugno 2010, n. 14753; Case., 10 febbraio 2011, n. 3271;
Caso., 13 aprile 2012, n. 5914), relativamente a giudizi amministrativi protrattisi per oltre dieci anni, questa Corte è
solita liquidare un indennizzo che rapportato su base annua
corrisponde a circa 500,00 euro per la durata del giudizio.
Tale approdo, se consente di escludere che un indennizzo di
500,00 euro per anno di ritardo possa essere di per sé consi-

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data presentazione di essa. La previsione di strumenti solle-

derato irragionevole e quindi lesivo dell’adeguato ristoro che
la giurisprudenza della Corte europea intende assicurare in
relazione alla violazione del termine di durata ragionevole

gnata, con la quale è stato liquidato, per ciascuno degli anni
di ritardo, un indennizzo di 750,00 euro.
Il ricorso è quindi infondato e va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza
e si liquidano come da dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in
complessivi euro 292,50 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta
Sezione Civile – 2 della Corte suprema di Cassazione, il 24
gennaio 2013.

del processo, a maggior ragione corrobora la decisione impu-

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