Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8532 del 06/05/2020

Cassazione civile sez. III, 06/05/2020, (ud. 04/02/2020, dep. 06/05/2020), n.8532

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20208/2017 proposto da:

C.G., C.M.D., nella qualità di unici eredi

del defunto C.F. e M.M. deceduta nelle more

del giudizio di secondo grado, elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA VALADIER, 43, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI ROMANO,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLA GENITO;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 998/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 06/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/02/2020 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ROMANO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.F. convenne in giudizio il Ministero della Salute chiedendo il risarcimento del danno da contagio da epatite HCV quale conseguenza di emotrasfusione. Disattesa la domanda, proposero appello C.G., C.M.D. e M.M., quali eredi di C.F.. L’appello fu rigettato per ritenuta prescrizione del diritto. A seguito di ricorso per cassazione, questa Corte, con sentenza n. 1137 del 2015 annullò la sentenza impugnata.

2. Riassunto il giudizio, con sentenza di data 6 marzo 2017 la Corte d’appello di Napoli rigettò l’appello.

Osservò la corte territoriale, per quanto qui rileva, che, stante la carenza probatoria circa il decorso della malattia, essendo stato prodotto solo un esame di laboratorio dell'(OMISSIS) attestante la positività al contagio da virus HCV, la liquidazione per i postumi invalidanti dell’80% doveva essere fatta come se essi si fossero stabilizzati alla data della CTU, cioè al (OMISSIS), allorquando il C. aveva 84 anni, sicchè, essendo deceduto in data (OMISSIS) (all’età di 86 anni), costui era sopravvissuto meno di due anni rispetto alla data in cui risultava provato il consolidarsi dei postumi permanenti. Aggiunse che, considerato che il danno biologico doveva essere correlato alla durata della vita effettiva, non era utilizzabile il criterio della proporzione (il risarcimento per persona vivente stava al numero di anni ancora da vivere secondo le statistiche di mortalità, come il risarcimento per persona già defunta stava al numero di anni effettivamente vissuti – Cass. n. 13331 del 2015), perchè il consolidamento dei postumi ed il decesso erano avvenuti quando il C. aveva più di 80 anni ed aveva superato l’aspettativa di vita (secondo le statistiche di mortalità ISTAT all’incirca 80 anni), e che quindi il danno doveva essere liquidato con il criterio equitativo puro, nella misura di Euro 30.000,00 all’attualità e comprensiva degli interessi compensativi. Osservò ancora che il C. aveva percepito l’indennizzo ai sensi della L. 210 del 1992, per una somma pari all’attualità ad Euro 88.916,71 e che dovendo tale somma essere detratta da quella dovuta a titolo di risarcimento il saldo era negativo.

5. Hanno proposto ricorso per cassazione C.G. e C.M.D., quali eredi di C.F. e ove necessario di M.M., sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso la parte intimata. A seguito del procedimento in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. (in vista del quale venne depositata memoria dai ricorrenti), la causa è stata rimessa alla pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo ed il secondo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2056 e 1226 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osservano i ricorrenti che il giudice di appello non ha fatto applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano sulla base dell’erroneo argomento che sarebbe stata superata l’aspettativa media di vita, laddove invece la durata della vita media deve essere considerata per ogni singola fascia di età e che essendo la vita media pari a 82 anni, per una persona che ha superato la soglia degli 80 anni vi è un’aspettativa di vita di circa 12 anni in più. Aggiungono che a partire dal rilascio della certificazione da parte della Commissione Medica Ospedaliera in data (OMISSIS) il C. ha intrapreso un lungo e travagliato percorso medico-sanitario che il giudice di appello ha omesso di valutare.

1.1. I due motivi, articolati come unitario motivo, sono in parte fondati. Deve premettersi che l’azione è stata promossa da C.F., deceduto in corso di causa. Il danno sub iudice è pertanto il danno iure hereditatis e non quello iure proprio. La domanda è stata proposta per l’invalidità permanente ed il giudice di merito avrebbe dovuto fare applicazione, per la liquidazione del relativo danno, delle tabelle del Tribunale di Milano, munite di efficacia para-normativa in quanto concretizzazione del criterio della liquidazione equitativa previsto dall’art. 1226 c.c. e non applicare un criterio equitativo puro, privo peraltro di parametri di riferimento. L’intervenuto decesso della parte comporta tuttavia che la valutazione probabilistica connessa all’ipotetica durata della vita del soggetto danneggiato vada sostituita con quella del concreto danno effettivamente prodottosi, cosicchè l’ammontare del danno biologico che gli eredi richiedono iure successionis deve essere calcolato non con riferimento alla durata probabile della vita della vittima, ma alla sua durata effettiva (fra le tante da ultimo Cass. n. 4551 del 2019). Il danno tabellarmente determinato dovrà pertanto dal giudice di merito essere proporzionalmente ridotto avuto riguardo al tempo di effettiva sopravvivenza del danneggiato. In particolare il giudice di merito dovrà adottare “il criterio della proporzione, secondo cui il risarcimento che si sarebbe liquidato a persona vivente sta al numero di anni che questi aveva ancora da vivere secondo le statistiche di mortalità, come il risarcimento da liquidare a persona già defunta sta al numero di anni da questa effettivamente vissuti tra l’infortunio e la morte” (Cass. n. 13331 del 2015).

La seconda parte della censura, relativa al percorso medico-sanitario patito, è inammissibile, in primo luogo perchè affetta da difetto di specificità in quanto, avuto riguardo al principio di onnicomprensività del risarcimento del danno, non si indica in modo specifico se trattasi di voce risarcitoria da includere nel danno biologico, che risulterebbe così non satisfattivo, o nel danno morale quale sofferenza soggettiva, quale ulteriore articolazione dell’unitario danno non patrimoniale; in secondo luogo perchè la Corte d’appello non ha affatto “trascurato di prendere in esame il percorso medico sanitario affrontato dal paziente”, ma ha semplicemente ritenuto che su tale “percorso medico sanitario” gli appellanti non avessero fornito alcuna prova.

2. Con il terzo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. e L. n. 210 del 1992, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osservano i ricorrenti che, stante la diversa natura delle due erogazioni, il diritto al risarcimento del danno conseguente ad una trasfusione di sangue infetto non viene meno in ragione dell’indennizzo previsto dalla L. n. 212 del 1992.

2.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1. Il diritto al risarcimento del danno conseguente al contagio da virus HBV, HIV o HCV a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto ha natura diversa rispetto all’attribuzione indennitaria regolata dalla L. n. 210 del 1992; tuttavia, nel giudizio risarcitorio promosso contro il Ministero della salute per omessa adozione delle dovute cautele, l’indennizzo eventualmente già corrisposto al danneggiato può essere interamente scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno (“compensatio lucri cum damno”), venendo altrimenti la vittima a godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo (Cass. n. 991 del 2014; n. 6573 del 2013; n. 584 del 2008).

P.Q.M.

Accoglie parzialmente i primi due motivi, nei limiti di quanto in motivazione, e dichiara per il resto inammissibile il ricorso; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, anche per quanto riguarda le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2020

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