Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8531 del 09/04/2010

Cassazione civile sez. I, 09/04/2010, (ud. 13/01/2010, dep. 09/04/2010), n.8531

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27448/2005 proposto da:

B.M., nella qualità di titolare dell’omonima ditta,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 55, presso

l’avvocato CEFALY Francesco, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato BUSSANI MAURO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

BONAZZOLA F.LLI IDILLIO E FIGLI SANDRO E PIETRO S.N.C.;

– intimata –

sul ricorso 31321-2005 proposto da:

BONAZZOLA FLLI IDILLIO E FIGLI SANDRO E PIETRO S.N.C, (c.f.

(OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. BROFFERIO 3, presso

l’avvocato CARACCIOLO DI SARNO FRANCESCO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato CEPPI EUGENIO, giusta procura in

calce al controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

B.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2255/2004 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 30/07/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

13/01/2010 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA CULTRERA;

preliminarmente la Corte dispone la riunione dei due ricorsi proposti

avverso la stessa sentenza;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.M., quale titolare dell’omonima impresa commerciale, citò innanzi al Tribunale di Lecco la s.n.c. f.lli Idillio & figli Sandro e Pietro, con la quale asserì d’aver concluso un contratto d’associazione temporanea d’imprese per l’esecuzione di opere edili nei cantieri di (OMISSIS), sub-appaltate dalla società Icomech a sua volta subappaltatrice della Snam, e, secondo successiva versione di un accordo verbale per un’associazione atipica d’imprese, con partecipazione ad utili e perdite in misura paritaria.

Deducendo che la convenuta si era resa inadempiente all’impegno assunto, ne chiese la condanna al pagamento del 50% delle perdite, indicate nella somma di L. 77.594.000 e documentate in atti, oltre al risarcimento del danno per inadempimento in L. 106.780.000.

La società f.lli Idillio, regolarmente costituita, contestò la tesi avversa e sostenne a sua volta che il rapporto intercorso con l’attore altro non era che un subappaltato avente ad oggetto le opere da eseguirsi di volta in volta negli indicati cantieri, che essa aveva regolarmente eseguito. Essendo rimasta creditrice del saldo in L. 58.610.514, chiese in riconvenzionale che controparte venisse condannata al relativo pagamento.

Il Tribunale adito con sentenza n. 614 del 15/17 luglio 2000 respinse entrambe le domande.

La decisione, gravata con contrapposti appelli da entrambe le parti innanzi alla Corte d’appello di Milano, è stata confermata con sentenza n. 2255 depositata il 30 luglio 2004.

Avverso tale decisione B.M., originario attore, ha proposto il presente ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, resistiti dalla società Bonazzola con controricorso contenente ricorso incidentale a sua volta articolato in unico mezzo, non resistito dal ricorrente principale che ha però depositato memoria difensiva a mente dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi sono stati riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto sono stati proposti avverso la medesima decisione.

Il ricorrente principale denunciando col primo mezzo vizio d’omessa o insufficiente motivazione circa punto decisivo della controversia ascrive alla Corte territoriale d’aver affermato immotivatamente l’assenza della prova circa la suddivisione al 50% degli utili e delle perdite la cui dimostrazione, pur in assenza di patto scritto, emerge invece dagli elementi indiziari desumibili dalle emergenze probatorie acquisite. Ed infatti, proprio l’assenza d’accordo scritto depone per l’adozione di criterio egualitario, che emerge del resto dalle fatture n. (OMISSIS), relative alle somme incassate dalla Icomech per il cantiere di (OMISSIS), risultate ripartite con la convenuta al 50%.

Analogamente il giudice d’appello non avrebbe reso conto delle ragioni dell’omessa applicazione analogica delle disposizioni contenute negli artt. 2263 e 1101 c.c..

Il resistente deduce l’infondatezza del motivo.

Il motivo non merita accoglimento in quanto indirizza critica avverso la valutazione condotta dal giudice del merito sulle fonti di prova esaminate, richiamando risultanze documentali di cui non solo non si fa menzione nella sentenza impugnata, ma neanche, in palese violazione del principio di autosufficienza che assiste il presente ricorso, riferisce se ed in quale fase vennero allegate agli atti di causa. Ciò rende conto della sua inammissibilità.

Col secondo motivo il ricorrente coltiva l’ultimo profilo di critica esposto nella precedente censura, richiamando appunto gli artt. 2263 e 1101 c.c., secondo cui, in caso di gestione comune d’imprese o beni ed in difetto di prova contraria, deve presumersi la quota paritaria.

La quota di perdite, il cui ammontare è documentato in atti dalla contabilità confermata dalla teste M.R., deve essere pertanto rifusa dalla convenuta nella misura oggetto di domanda in Euro 40.073,96.

Il resistente obietta che la disposizione invocata da controparte non si applica al rapporto controverso ma alla società semplice.

Neppure questo motivo merita accoglimento.

La decisione impugnata ha sostenuto che, in assenza di documentato mandato scritto, elemento necessario nell’a.t.i., il contratto controverso, sulla scorta delle prove orali – deposizioni dei testi sigg. P., M. e C., univoche nel riferire che le due imprese avevano operato di comune accordo, pur se formalmente la qualifica d’appaltatore era conferita al solo B., unico responsabile nei confronti della Icomech, mentre alla Bonazzola era stata conferita la veste ufficiale di responsabile della sicurezza, doveva qualificarsi contratto atipico di collaborazione per la cogestione degli affari relativi ai lavori edili nei tre cantieri, con suddivisione di utili e perdite.

Ciò malgrado, ha respinto la domanda principale poichè l’attore non ha provato attraverso le fonti orali, in mancanza d’accordo scritto, il criterio adottato convenzionalmente circa la suddivisione degli utili e delle perdite.

La censura in esame, che non muove critica alcuna avverso tale conclusione, espressione peraltro di un apprezzamento delle risultanze istruttorie adeguatamente ed esaustivamente motivato, richiama enunciato inappropriato. Difatti, l’art. 2263 c.c., sancisce la presunzione di parità tra i soci di una società semplice per la divisione di utili e perdite, sulla base della presunzione, a meno di diversa concordata previsione, di pari partecipazione di ciascuno dei soci nella società espressa nella misura del conferimento, che esplica, applicandola alla materia societaria, il principio enunciato nell’art. 1101 c.c., che fissa la presunzione di pari entità delle quote dei partecipanti alla comunione. Il principio dunque non può trovare applicazione nel caso di specie in quanto la sua applicazione postula una situazione di fatto non ravvisata nelle sedi di merito, che impone, e per la prima volta in questa sede, la riqualificazione del rapporto tra le parti attraverso la sua collocazione nel paradigma dello schema societario, che non ha rappresentato materia controversa, in quanto non è stata dibattuta nelle sedi di merito.

E’ certo che l’associazione temporanea d’impresa ovvero la cogestione di uno o plurimi affari, predicate entrambe dallo stesso ricorrente, non realizzano nè la società semplice, che postula un preciso accordo tra le parti sorretto dall’affectio societatis, nè tanto meno la società irregolare o di fatto, comunque connotata dal medesimo stato soggettivo, nè, del resto, giammai il B. lo ha sostenuto. Tanto meno sono ravvisabili elementi di commistione tra lo schema societario ed il contratto eccepito dalla società Idillio, che lo ha inquadrato nello schema dell’appalto, avente propria e ben diversa causa tipica.

Il richiamo alle norme un rubrica è dunque palesemente improprio. Ne consegue l’infondatezza del motivo.

Col terzo motivo il ricorrente denuncia vizio d’omessa motivazione in ordine al rigetto della domanda risarcitoria. Sostiene che la decisione in parte qua non è sostenuta da alcun argomento di conforto benchè le deposizioni testimoniali avessero dimostrato che Bo. era receduto inopinatamente dal contratto, abbandonando i cantieri prima del completamento delle opere. La contabilità della convenuta relativa al cantiere di (OMISSIS) s’arresta infatti al gennaio ’95 laddove le opere si protrassero sino al novembre di quell’anno, e dimostra che il predetto sostenne solo il 2,5 dei costi.

Con l’ultimo motivo, denuncia infine a corollario violazione dell’art. 1218 c.c., applicabile nella specie in ragione dell’accertato inadempimento della controparte all’impegno assunto con l’accordo concluso, lamentando ancora omessa pronuncia sulla domanda di condanna del convenuto al conseguente ristoro del pregiudizio patito.

Il resistente replica alle censure deducendone l’infondatezza.

I motivi, esaminabili congiuntamente perchè pongono questioni logicamente connesse, sono fondati. La decisione impugnata non spende alcun argomento in ordine alla domanda di risarcimento danni che si assume pretermessa, della cui riproposizione in sede di gravame nondimeno ha dato atto laddove ha trascritto in epigrafe le conclusioni del B., riferendo che questi chiese condannarsi controparte al risarcimento dei danni nella misura di L. 106.770.000, come da specifiche voci in narrativa, ovvero nella misura accertata in causa o ritenuta di giustizia, oltre rivalutazione ed interessi.

Il vizio denunciato d’omessa pronuncia risulta pertanto palese e comporta l’accoglimento delle relative censure.

Il ricorrente incidentale deduce omessa motivazione in ordine alla ravvisata sussistenza del contratto atipico d’associazione verbale d’imprese ed al rigetto della sua domanda di condanna di controparte al pagamento del corrispettivo in L. 54.589.934. Ritiene non condivisibile la conclusione cui è pervenuta la Corte di merito censurando l’interpretazione del rapporto controverso, che le deposizioni rese dai testi escussi avrebbero dimostrato essere riconducibile alla figura negoziale dell’appalto. Richiama a conforto le dichiarazioni del teste geom. S. tecnico della B., e dei testi P. e M., asseritamente non apprezzate, che avrebbero dimostrato l’avvenuta conclusione di un contratto di sub appalto.

Il motivo non merita accoglimento.

La decisione impugnata, qualificato il contratto controverso nei termini già riferiti, ha respinto la domanda riconvenzionale in quanto ha ritenuto che fosse rimasta indimostrata. E’ pacifico che la concreta riconducibilità della singola fattispecie all’una o all’altra delle figure negoziali dedotte in giudizio non è censurabile in cassazione, se non per eventuale violazione delle regole giuridiche da applicare nell’interpretazione della volontà delle parti del rapporto o per eventuali carenze o vizi logici della motivazione che sorregge l’accertamento. Nel caso in esame, la Corte Territoriale non si è sottratta a tale compito di motivato accertamento ed ha fondato la propria convinzione sulle deposizioni dei testi escussi, ivi comprese quelle di cui ora si deduce omessa valutazione, i cui passaggi, ritenuti salienti secondo il suo giudizio insindacabile nel merito, sono stati puntualmente riportati nel testo della sentenza, che avrebbero dimostrato che l’accordo atipico intervenuto fra le parti realizzò l’affermata cogestione degli affari relativi ai tre cantieri. Le critiche che la ricorrente muove a tale articolata motivazione non sono perciò fondate.

Nel resto il motivo censura l’interpretazione del rapporto contrattuale posta a sostegno della riferita conclusione senza però indicare quali siano i canoni ermeneutici che l’organo giudicante avrebbe violato nel suo percorso esegetico. Espone perciò critica generica, in quanto tale inammissibile.

Ne discende il rigetto del ricorso incidentale.

Alla luce delle riferite considerazioni la decisione impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte territoriale che dovrà pronunciarsi sulla domanda di risarcimento danno formulata dall’attore originario, e provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

LA CORTE riuniti i ricorsi; respinge i primi due motivi del ricorso principale ed accoglie il terzo e il quarto. Respinge il ricorso incidentale.

Cassa la decisione impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2010

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