Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8530 del 14/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 14/04/2011, (ud. 03/03/2011, dep. 14/04/2011), n.8530

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 27001-2009 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, viale Mazzini n. 134,

presso lo studio dell’avv. Fiorillo Luigi, che la rappresenta e

difende per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

T.S., elettivamente domiciliata in Roma, piazza

Tarquinia n. 5/d, presso lo studio dell’Avv. Maria Luisa Falla

Trella, rappresentata e difesa dall’Avv. Risommi Maurizio per mandato

a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4005/2008 della Corte d’appello di Roma,

depositata in data 3.12.2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 3.03.2011 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

PATRONE Ignazio.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

1.- Con sentenza del Tribunale di Roma veniva accolta la domanda di T.S. di dichiarare la nullità dell’apposizione del termine all’assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a., disposta in suo favore per il periodo 3-31.5.99 per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”, ex art. 8 del ccnl 26.11.94 come integrato dall’accordo sindacale 25.9.97.

2.- Proposto appello principale da Poste Italiane s.p.a. ed appello incidentale da T., la Corte d’appello di Roma con sentenza depositata in data 3.12.08 rigettava l’impugnazione principale e dichiarava inammissibile l’incidentale.

La Corte di merito riteneva sussistente la nullità del termine atteso che il contratto – stipulato nell’ambito del sistema della L. n. 56 del 1987, art. 23 che aveva delegato le oo.ss. a individuare nuove ipotesi di assunzione a termine con la contrattazione collettiva – intendeva fare fronte ad esigenze eccezionali connesse alla fase di ristrutturazione dell’azienda. Considerato che la norma collettiva consentiva l’assunzione a termine per detta causale solo fino al 30.4.98, riteneva che il termine fosse illegittimamente apposto.

3.- Avverso questa sentenza Poste Italiane proponeva ricorso per cassazione, cui T. rispondeva con controricorso.

Il Consigliere relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., depositava relazione che, assieme al decreto di fissazione dell’adunanza della camera di consiglio, era comunicata al Procuratore generale ed era notificata ai difensori costituiti.

4.-I motivi proposti dalla soc. Poste possono essere così riassunti:

4.1.- violazione dell’art. 1372, comma 1, artt. 1175, 1375, 2697, 1427 e 1431 c.c. e art. 100 c.p.c., in quanto il rapporto avrebbe dovuto essere ritenuto risolto per mutuo consenso, con conseguente carenza di interesse dell’attrice, costituendo il lasso di tempo trascorso (tra la cessazione e l’offerta della prestazione) indice di disinteresse a sostenere la nullità del termine, di modo che erroneamente il giudice avrebbe affermato che l’inerzia non costituisce comportamento idoneo a rappresentare la carenza di interesse al ripristino del rapporto;

4.2.- violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 dell’art. 8 del ccnl 26.11.94 e dell’accordo integrativo 25.9.97, nonchè degli accordi successivi 16.1.98, 27.4.98, 2.7.98, 24.5.88 e 18.1.01, in connessione con l’art. 1362 c.c.. In particolare, il giudice di merito non avrebbe considerato che gli accordi successivi a quello del 25.9.97 avevano valenza ricognitiva della sussistenza delle condizioni legittimanti in fatto il ricorso al contratto a termine, senza circoscrivere il ricorso a tale strumento solo al periodo temporale indicato;

4.3.- Omessa ed insufficiente motivazione in quanto il giudice di merito non esposto in modo idoneo le ragioni che porrebbero in rapporto il contratto collettivo 1994, l’accordo sindacale 25.9.97 ed i successivi accordi attuativi in relazione al limite temporale cui sarebbero subordinate le assunzioni a termine.

5.- Quanto al primo motivo (4.1), la giurisprudenza della Corte di cassazione (v. per tutte Cass. 17.12.04 n. 23554 e numerose altre seguenti) ha ritenuto che “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale scaduto) per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè, alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto”.

La Corte d’appello ha rilevato che la società appellante, processualmente a tanto onerata, ha omesso di fornire elementi utili a consentire la prospettata valutazione, non ritenendo sufficiente a rappresentare la disaffezione della lavoratrice le circostanze che la stessa avesse atteso un certo lasso di tempo prima di intraprendere l’azione giudiziaria, nè la percezione senza riserva del t.f.r., nè l’accettazione della risoluzione del rapporto, anche perchè ella era pur sempre in attesa di nuovi ed ambiti contratti a termine. Trattasi di considerazioni di merito congruamente motivate, come tali non censurabili sul piano logico.

6.- Quanto agli altri due motivi (4.2 e 4.3), la giurisprudenza della Corte di cassazione ritiene che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis conv. dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (v.

S.u. 2.3.06 n. 4588).

Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza ritiene corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo sottoscritto in data 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31.1.98 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30.4.98), della situazione di fatto integrante le esigente eccezionali menzionate dal detto accordo integrativo.

Consegue che per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione l’impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto tempo e che l’esistenza di dette esigenze costituisse presupposto essenziale della pattuizione negoziale; da ciò deriva che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo, In altre parole, dato che le parti collettive avevano raggiunto originariamente un’intesa priva di termine ed avevano successivamente stipulato accordi attuativi che avevano posto un limite temporale alla possibilità di procedere con assunzioni a termine, fissato inizialmente al 31.1.98 e successivamente al 30.4.98, l’indicazione di tale causale nel contratto a termine legittima l’assunzione solo ove il contratto scada in data non successiva al 30.4.98 (v., ex plurimis, Cass. 23.8.06 n. 18378).

La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo 18.1.01 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato.

Ammesso che le parti avessero espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25,9.97 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione e comunque conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12.3.04 n. 5141).

Conseguentemente i contratti scadenti (o comunque stipulati) al di fuori del limite temporale del 30.4.98 sono illegittimi in quanto non rientranti nel complesso legislativo-collettivo costituito dalla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dalla successiva legislazione collettiva che consente la deroga alla L. n. 230 del 1962.

1.- Essendo nella specie il contratto stipulato per “esigenze eccezionali ecc. …” per il periodo 3-31.5.99, può concludersi che il giudice di merito ha fatto corretta applicazione dei principi ora indicati.

Il ricorso va dunque rigettato, con conseguente condanna della ricorrente alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 30 (trenta) per esborsi ed Euro 2.000 (duemila) per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.

Così deciso in Roma, il 3 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2011

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