Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8529 del 14/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 14/04/2011, (ud. 09/03/2011, dep. 14/04/2011), n.8529

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

I.C., elettivamente domiciliata in Roma, via Libero

Leonardi n. 34, presso lo studio dell’Avv. ALIFFI Silvio, che la

rappresenta e difende assieme all’Avv. Basso Italo per procura a

margine del ricorso ed ora domiciliati presso cancelleria della Corte

di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE, in persona del Ministro in

carica, elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12,

presso l’Avvocatura generale dello Stato, che lo difende ex lege;

– controricorrente –

nonchè

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE – INPS, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma,

via della Frezza n. 17, presso l’Avvocatura centrale dell’Istituto,

rappresentato e difeso dagli Avv.ti RICCIO Alessandro, Nicola Valente

e Giuseppina Giannico, per procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 236/2007 della Corte d’appello di Catania,

depositata in data 28.4.2007 RG 1203/06;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

9.03.2011 dal Consigliere Dott. Giovanni Mammone;

udito l’Avv. Aliffi;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro, che ha concluso per il rinvio della discussione.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

1.- I.C. si rivolse al giudice del lavoro di Siracusa per ottenere, in contraddicono con l’INPS e il Ministero dell’Economia e Finanze, l’assegno di invalidità ai sensi della L. 30 marzo 1971, n. 118, art. 13.

2.- Rigettata la domanda per carenza del requisito sanitario, proponeva appello l’assicurato contestando l’accertamento del c.t.u.

e chiedendo il riconoscimento del diritto invocato. Con sentenza depositata il 28.4.07 la Corte, di appello di Catania, disposto il rinnovo della consulenza, rigettava l’impugnazione non essendo provato il requisito dell’incollocazione al lavoro.

3.- Proponeva ricorso per cassazione la I. deducendo violazione della L. 30 marzo 1971, n. 118, art. 13, comma 2, e della L. n. 68 del 1999, art. 1, per l’applicazione fattane dal giudice di merito a proposito dell’accertamento del requisito dell’incollocazione. Il quesito posto ex art. 366 bis c.p.c. alla Corte è il seguente: voglia la C.S. dichiarare la violazione e falsa applicazione della norma di cui alla L. 30 marzo 1971, n. 118, art. 13, comma 2, e della L. n. 68 del 1999, art. 1, in virtù di quanto sopra abbondantemente esposto.

Svolgevano attività difensiva l’INPS ed il Ministero dell’Economia e Finanze.

4.- Il consigliere relatore depositava relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la quale era comunicata al Procuratore generale ed era notificata ai difensori costituiti.

La ricorrente ha depositato memoria ed osservazioni ex art. 369 c.p.c..

5.- Il ricorso non è ammissibile.

Essendo la sentenza impugnata pubblicata il 28.7.06, il procedimento in questione cade sotto il regime processuale del giudizio di legittimità introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40. In particolare deve verificarsi se sia adempiuto il disposto dell’art. 366 bis c.p.c., per il quale la illustrazione dei motivi di ricorso che denunciano i vizi di cui all’art. 360, un. 1-2-3-4, deve a pena di inammissibilità concludersi con la formulazione di un quesito di diritto, e la illustrazione dei motivi che denunciano vizi di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sempre a pena di inammissibilità, deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso o delle ragioni per le quali la motivazione – per le denunciate carenze – è inidonea a giustificare la decisione.

Nel caso di specie con il ricorso sopra sintetizzato la ricorrente, pur svolgendo un’ampia discussione in diritto non sottopone al Collegio un valido quesito di diritto.

Iva formulazione prevista dall’art. 366 bis c.p.c., postula “l’enunciazione ad opera del ricorrente di un principio di diritto diverso da quello posto a base del provvedimento impugnato e perciò tale da implicare un ribaltamento della decisione del giudice a quo”, di modo che non “è … ammissibile un motivo di ricorso che si concluda con l’esposizione di un quesito meramente ripetitivo del contenuto della norma applicata dal giudice del merito”. (Cass. 22.6.07 n. 14682). Alla luce di questo principio è a maggior ragione generica e tautologica, la formulazione offerta dalla parte ricorrente, risolvendosi nello schema “dica la Corte se è stata violata la norma …”, la quale da luogo ad una semplice formula priva di contenuto.

Tale carenza non può ritenersi sanata con le osservazioni scritte depositate dalla difesa della ricorrente ex art. 379 c.p.c., in camera di consiglio, essendo in tale contesto possibile solo far riferimento alle conclusioni del P.G. e non anche integrare il contenuto del ricorso.

6.- Il ricorso deve essere di conseguenza dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza, trattandosi di controversia proposta dopo l’ottobre 2003 e non assistita dalla dichiarazione ex art. 152 disp. att. c.p.c..

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida per ciascuno dei controricorrenti in Euro 20 (venti) per esborsi ed in Euro 800,00 (ottocento) per onorari, oltre per entrambi spese generali.

Così deciso in Roma, il 9 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2011

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