Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8527 del 25/03/2021

Cassazione civile sez. III, 25/03/2021, (ud. 20/01/2021, dep. 25/03/2021), n.8527

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30842/2019 proposto da:

S.A., (alias S.O.), domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE BRIGANTI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– resistente –

avverso il decreto n. 10663/2019 del TRIBUNALE DI ANCONA, depositato

il 10/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/01/2021 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. – Con ricorso affidato a sei motivi, S.A. (alias S.O.), cittadino di origine (OMISSIS) ((OMISSIS)), ha impugnato il decreto del Tribunale di Ancona, depositato il 10 settembre 2019, di diniego del riconoscimento dello status di rifugiato, nonchè della domanda di protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

2. – Per quanto ancora rileva in questa sede, il Tribunale di Ancona osservava che: a) il racconto del richiedente (esser stato avvisato dai militari della zona del (OMISSIS) che, durante un futuro attacco armato, sarebbe stato arrestato, perchè presunto ribelle politico) non è credibile, in quanto “il richiedente non è stato in grado di circostanziare la vicenda su fatti essenziali e determinanti l’espatrio, nè è emerso un sincero sforzo volto a specificare la domanda”; nè “le sue dichiarazioni appaiono plausibili”; b) circa la situazione del paese d’origine, “il (OMISSIS) non è segnalato per alcuno dei motivi che giustificherebbero la protezione internazionale atteso che l’unica problematica riguarda il trentennale conflitto nella regione del (OMISSIS)” comunque, in via di “attenuazione”, come risultante da fonti, quali, fra le altre, reports EASO del 2016, Refworld del 2017, USD 2019; c) con riguardo alla protezione umanitaria, “non si ravvisano condizioni individuali di elevata vulnerabilità” e “in base ad una valutazione tra vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata a quella vissuta prima della partenza e cui egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, è dato esprimere un giudizio prognostico negativo di elevata vulnerabilità”.

3. – L’intimato Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva, depositando unicamente “atto di costituzione” al fine della partecipazione a eventuale udienza di discussione.

4. – Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. – Con il primo articolato motivo di ricorso viene dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità del decreto emesso dal Tribunale, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 11, lett. a) e art. 13 nonchè degli artt. 737,135 c.p.c., art. 156 c.p.c., comma 2, e art. 111 Cost., comma 6.

Il motivo racchiude molteplici censure, sintetizzabili nei seguenti termini, sub lett. a), lett. b) e lett. c): a) “il decreto impugnato, in primo luogo risulta dunque del tutto privo della sintesi del racconto del richiedente e cioè della suddetta concisa definizione del fatto da cui nasce il diritto preteso”; è “omessa o comunque solo apparente la motivazione posta a fondamento della valutazione di (non) attendibilità del richiedente”; b) altresì omessa o meramente apparente sarebbe la motivazione resa in merito al diniego dello status di rifugiato (sull’esplicitazione del percorso logico determinativo del diniego), della protezione sussidiaria (sotto il profilo dell’inattualità delle fonti citate, quali, fra le altre, reports Easo e Refworld, risalenti al 2016 e pubblicati nel 2017), nonchè umanitaria (sul punto di omessa effettiva valutazione comparativa); c) in ogni caso, il decreto sarebbe nullo, in quanto “il Giudicante (ha) assunto la propria decisione limitandosi all’esame del verbale dell’audizione in Commissione, senza una compiuta valutazione di tutti i risvolti, anche non verbali, giacchè alcun effettivo, esaustivo colloquio è stato sostenuto dal ricorrente nè innanzi al Giudice delegato nè tanto meno innanzi al Tribunale in composizione collegiale”, con conseguente violazione della ratio legis posta a fondamento del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 11, lett. a).

1.1. – La censura sub lett. a) è infondata.

La valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera valutazione del giudice, ma costituisce il risultato di una procedimentalizzazione legate della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri, ma secondo la griglia predeterminata di criteri offerti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

La suesposta valutazione costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Tale apprezzamento è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censure attinenti al merito (Cass. n. 3340/2019).

Nella specie, la motivazione resa sul punto dal giudice di merito non è nè ommessa, nè meramente apparente, avendo quest’ultimo (pag. 2 del decreto impugnato) fornito evidenza dell’iter logico posto a fondamento della valutazione di inattendibilità del richiedente.

1.2. – La censura sub lett. b), racchiusa nel primo motivo, concerne il diniego dello status di rifugiato, nonchè della domanda di protezione sussidiaria ed umanitaria.

La suddetta censura presenta differenti profili, che occorre esaminare per ciascuna ipotesi.

1.2.1. – Con riguardo al diniego dello status di rifugiato, essa non attinge la ratio decidendi posta a fondamento della statuizione resa dal giudice di merito, secondo il quale il richiedente non ha allegato i fatti costitutivi della domanda.

1.2.2. – Circa il diniego di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la censura è infondata, poichè nel motivo non vengono evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il giudice territoriale ha deciso siano state superate da altre e più aggiornate fonti qualificate. Solo laddove dalla censura (veicolata con il ricorso e non già con la memoria depositata in prossimità dell’udienza, che ha solo funzione illustrativa delle originarie ragioni di censura) emerga la precisa dimostrazione di quanto precede, infatti, potrebbe ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni tratte da fonti non più attuali. Va, infatti, ribadito il principio per cui, in tema di protezione internazionale, il dovere di cooperazione istruttoria del giudice consiste nell’obbligo di fondare la decisione su COI aggiornate, ma ciò non implica, a pena di nullità, che si tratti di quelle più recenti, salvo che il richiedente deduca che da queste ultime emergano specifici elementi di accresciuta instabilità e pericolosità non considerati (Cass. n. 23999/2020).

1.2.3. – La censura avverso il mancato riconoscimento di protezione umanitaria è invece fondata, là dove il giudice territoriale, ritenuta l’inattendibilità del narrato, ha omesso di porre in essere effettiva valutazione comparativa – con l’attivazione del dovere di collaborazione istruttoria in merito alle informazioni sulla situazione del paese d’origine del richiedente (che non sono soddisfatte da quelle utilizzate per la verifica dei presupposti della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)) -, tra situazione vissuta in Italia e quella in cui si verrebbe a trovare per il caso di rimpatrio, in termini di rischio di compromissione del nucleo fondamentale dei diritti umani.

1.3. – La censura sub lett. c) è infondata.

Giova evocare il principio di diritto per cui, nei giudizi in materia di protezione internazionale, il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile (Cass. n. 21584/2020, Cass. n. 22049/2020).

Non sussiste, d’altra parte, alcun automatismo tra la mancanza di videoregistrazione e la rinnovazione dell’ascolto del richiedente (Cass. n. 17717/2018), per cui il Tribunale non è incorso in un error iuris perchè, dopo aver adempiuto all’obbligo di disporre l’udienza di comparizione delle parti, ha ritenuto di poter decidere in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo, e cioè il verbale o la trascrizione del colloquio personale; tanto più che, nella specie, il ricorso neppure indica se e quali nuovi elementi fosse indispensabile acquisire (Cass. n. 32001/2019).

2. – Con il secondo motivo viene lamentato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame sui seguenti fatti decisivi per il giudizio: i) “omesso esame dei fatti rappresentati dal richiedente”; ii) “omesso esame della attuale situazione socioeconomico-politica del (OMISSIS), e in particolare della (OMISSIS), alla data della decisione, nonchè della capacità delle istituzioni (OMISSIS)esi di offrire protezione dai rischi specifici paventati”; iii) “omesso esame di tutti i risvolti, verbali e non verbali, della narrazione”; iv) “omesso effettivo esame comparativo di tutti i fatti rappresentati e configuranti gli elementi di vulnerabilità presenti nella fattispecie”.

3. – Con il terzo motivo viene dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione delle seguenti norme (art. 2 Cost., art. 10 Cost., comma 3, art. 32 Cost.; L. n. 881 del 1977, art. 11; D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,9,10,13,27,32,35 bis; art. 16 della Direttiva n. 32/2013; D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5,6,7 e 14; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 art. 19, comma 2) per non aver il Tribunale reso, in relazione alla valutazione di credibilità del richiedente, “inammissibili, generiche clausole di stile che nulla dicono sulle ragioni logico-giuridiche della decisione impugnata, e tali da rendere la motivazione sul punto omessa o quantomeno meramente apparente e/o incoerente”, alla luce dei parametri di procedimentalizzazione legale della decisione, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. In particolare – deduce il ricorrente -, “posto a fondamento della propria decisione la vicenda narrata dal ricorrente, nonostante l’iniziale rilievo di non credibilità della stessa, era doveroso da parte del Tribunale confrontarsi con la detta vicenda, verificando, alla luce di aggiornate e pertinenti fonti internazionali, la capacità delle istituzioni del (OMISSIS) di offrire idonea ed effettiva protezione, con conseguente motivazione sul punto”, nonchè di reperire informazioni, in relazione alla vicenda narrata, circa le attuali condizioni del sistema giudiziario e carcerario in (OMISSIS).

4. – Con il quarto motivo è lamentata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, art. 46 della direttiva Europea n. 32/2013, poichè “in ragione del principio di effettività della tutela, il giudice deve vigilare affinchè vi sia un esame completo, rigoroso ed approfondito della domanda”.

4.1. – Il secondo, terzo e quarto motivo – da trattare congiuntamente in quanto strettamente connessi -, seguono la sorte delle censure già esaminate in sede di scrutinio del primo motivo, giacchè ne ripetono, nella sostanza della loro articolazione, il rispettivo tenore.

5. – Con il quinto motivo viene lamentata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 35 bis e art. 13, artt. 737,135,136 c.p.c., art. 156 c.p.c., comma 2, , nonchè art. 111 Cost., comma 6; in subordine, viene dedotto, a mente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio; in ulteriore subordine, viene addotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; nonchè D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2. A fronte dei molteplici richiami normativi enunciati nella rubrica, l’articolazione del motivo dà conto del vizio di “omessa motivazione in merito a un fatto decisivo oggetto di discussione”, ossia “omesso esame del lungo percorso migratorio e del periodo di permanenza in altri Stati e sua configurabilità nel caso di specie quale effettivo radicamento o comunque sua rilevanza quale elemento di vulnerabilità ai fini della protezione umanitaria”.

5.1. – Il motivo è inammissibile, poichè esso, comunque privo del requisito di specificità, richiesto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., n. 4, non attinge affatto la ratio decidendi posta a fondamento della statuizione impugnata, là dove il Tribunale ha evidenziato che “la persecuzione o il danno generato esclusivamente nel paese di transito, come nel caso in oggetto, restando confinato nel territorio del paese terzo e non avendo alcun nesso con il paese di origine, non rileva ai fini del riconoscimento della protezione”, mentre il ricorrente non soddisfa affatto l’onere di allegazione di fatti dimostrativi dell’incidenza causale del transito sul contenuto della domanda.

6. – Con il sesto motivo è lamentata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 10 Cost., comma 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, nonchè D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 2 ter e comma 6, art. 19, comma 2 “come modificati dal D.L. n. 113 del 2018”, “ove la S.C. affermi la applicabilità retroattiva del D.L. n. 113 del 2018 e dunque l’applicabilità di esso alla fattispecie”.

6.1. – Il motivo è inammissibile, poichè il ricorrente introduce una censura priva di riferimento alla decisione resa dal Tribunale, là dove, peraltro, la irretroattività del D.L. n. 113 del 2018 è stata comunque confermata da questa Corte a Sezioni Unite (Cass., SU., n. 29459/2019), alla luce del principio per cui il diritto alla protezione umanitaria, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta ad ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile. Ne consegue che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domanda saranno, pertanto, scrutinate sulla base delle norme in vigore al momento della loro presentazione, ma in tale ipotesi l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, valutata in base alle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno “per casi speciali” previsto dall’art. 1, comma 9 suddetto Decreto Legge.

7. – Va, dunque, accolto il primo motivo per quanto di ragione (in riferimento alla sola censura relativa al mancato riconoscimento delle protezione umanitaria, sub p. 1.2.3.) e rigettati i restanti motivi.

La sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata al Tribunale di Ancona, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il primo motivo nei termini di cui in motivazione e rigetta i restanti motivi di ricorso;

cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, il 20 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2021

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