Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8519 del 25/03/2021
Cassazione civile sez. III, 25/03/2021, (ud. 23/09/2020, dep. 25/03/2021), n.8519
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 33144/19 proposto da:
D.K.D., (alias D.K.D.bril),
elettivamente domiciliato a Lamezia Terme, via Gioachino da Fiore n.
73, presso l’avvocato Francesco Giampà, che lo difende in virtù di
procura speciale apposta in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno;
– resistente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro 27.3.2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
23.9.2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. D.K.D., cittadino (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).
2. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.
Avverso tale provvedimento D.K.D. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Catanzaro, che lo rigettò con ordinanza 2.1.2017.
Tale ordinanza venne appellata dal soccombente, ma la Corte d’appello di Catanzaro con sentenza 27.3.2019 dichiarò inammissibile l’appello per genericità, ai sensi dell’art. 342 c.p.c..
4. Il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da D.K.D. con ricorso fondato su un motivo.
Il Ministero dell’Interno non si è difeso.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 342 c.p.c..
Nega che il proprio gravame fosse generico e sostiene che esso conteneva la chiara indicazione “degli argomenti a contrasto rispetto a quelli utilizzati dal giudice di prime cure”.
Dopo aver detto ciò alle pagine 7-8, il ricorso prosegue illustrando il merito della controversia.
1.2. Il motivo è infondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte, chiamate a stabilire quale dovesse
essere la corretta interpretazione dell’art. 342 c.p.c., hanno affermato che tale norma va interpretata nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte c.d. “volitiva” (e cioè la chiara manifestazione della volontà di ottenere la riforma in un determinato senso del provvedimento impugnato) una parte c.d. “argomentativa”, la quale confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado (Sez. U., Sentenza n. 27199 del 16/11/2017, Rv. 645991-01).
Ciò vuol dire che anche l’atto d’appello il quale non possa dirsi un modello letterario deve comunque essere esaminato nel merito, quando siano inequivoche la censure mosse alla sentenza di primo grado e le ragioni che le sorreggono. E’ l’oscurità sintattica, e non l’ineleganza stilistica, che rende inammissibile l’appello ai sensi dell’art. 342 c.p.c..
2.2. Nel caso di specie questa Corte rileva che il giudice di primo grado aveva rigettato le varie domande proposte dall’odierno ricorrente in quanto:
a) il suo racconto non era credibile;
b) in ogni caso e ad abundantiam, perchè i fatti da lui riferiti non rientravano tra le ipotesi di “persecuzione” per le ragioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, perchè costituivano una lite privata;
c) nel Paese di provenienza del ricorrente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;
d) il ricorrente non era una persona vulnerabile in quanto non aveva problemi di salute, nè fuggiva da una situazione di disastri sanitari, ambientali o alimentari.
2.3. Nessuna di queste quattro rationes decidendi venne anche solo sfiorata dall’atto di appello (esaminabile e valutabile direttamente da questa Corte, in considerazione della natura del vizio denunciato: così Sez. U., Sentenza n. 8077 del 22/05/2012, Rv. 622361-01).
Tale atto infatti è costituito da uno scritto assai carente sul piano della chiarezza, della coerenza e sinanche della grammatica (“degli diritti politici”, vi si legge a p. 4, secondo rigo; mentre a p. 3, penultimo capoverso, primo rigo si legge “il giudice devono svolgere”).
L’appello si compone di cinque paragrafi (la cui numerazione non è sequenziale) i quali prescindono del tutto dalle motivazioni della sentenza impugnata, e consistono in una stucchevole elencazione di principi astratti, collazionati mediante la mera giustapposizione di varie norme di legge e massime giurisprudenziali di legittimità e di merito. In questa giustapposizione, tuttavia, non emerge alcuna spiegazioni delle ragioni per le quali l’appellante assumeva essere errata la decisione del Tribunale nella parte in cui aveva formulato:
– il giudizio di non credibilità;
– il giudizio sulla natura privata dei fatti narrati dal richiedente protezione;
– il giudizio sulla insussistenza, nella regione di provenienza del richiedente, di una situazione di violenza indiscriminata;
– il giudizio sull’assenza di vulnerabilità.
Correttamente, dunque, la sentenza impugnata ha ritenuto quell’atto privo dei requisiti minimi di cui all’art. 342 c.p.c..
4. Non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio dell’Amministrazione.
PQM
(-) rigetta il ricorso;
(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 23 settembre 2020 e, previa riconvocazione, il 11 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2021