Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8517 del 06/05/2020

Cassazione civile sez. III, 06/05/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 06/05/2020), n.8517

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 33699/2018 proposto da:

DE.PI. S.r.l., in persona del legale rappresentante in carica, nella

qualità di cessionaria del credito della Società cooperativa

Appalti di Produzione e Lavoro a r.l. in liquidazione, elettivamente

domiciliata in Roma alla via Fucini n. 63, presso lo studio

dell’avvocato Montanaro Carla, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato Menale Giuseppe, Verde Franco;

– ricorrente –

contro

Comune di Lettere, in persona del legale rappresentante in carica,

elettivamente domiciliato in Roma alla via Fregene n. 10, presso lo

studio dell’avvocato Sabatini Aniello, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato Miranda Catello;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 01747/2018 della CORTE d’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 18/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/12/2019 da Cristiano Valle, osserva.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La DE. PI. S.r.l., quale cessionaria del credito della Società Cooperativa Appalti di Produzione e Lavoro a r.l. impugna per cassazione, con atto affidato a quattro motivi, la sentenza della Corte di Appello di Napoli, n. 01747 del 18/04/2018, che ha confermato la pronuncia di rigetto resa dal Tribunale di Torre Annunziata (dell’allora sezione staccata di Gragnano), sulla domanda di risoluzione del contratto di appalto, stipulato nel 1991 avente ad oggetto la costruzione di una strada nel Comune di (OMISSIS) per colpa della Stazione appaltante, con condanna al pagamento del decimo e al risarcimento dei danni.

Resiste con controricorso l’ente pubblico territoriale.

Il P.G. non ha presentato conclusioni.

Non sono state depositate memorie dalle parti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso deduce violazione e (o) falsa applicazione del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 30 (cd. Capitolato generale appalto opere pubbliche), per avere il giudice di appello ritenute legittime le sospensioni dei lavori disposta dalla Direzione lavori a causa dello spoglio delle aree di sedime, imputabile alla condotta inadempiente del Comune.

Il secondo mezzo deduce omesso esame di fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la Corte d’Appello omesso di esaminare quale illegittima causa di sospensione una disposta perizia di variante.

Il terzo motivo deduce violazione e (o) falsa applicazione del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 30 e artt. 1207 e 1375 c.c., non avendo la Stazione appaltante cooperato adeguatamente con l’appaltatore.

Infine il quarto mezzo censura la sentenza impugnata per mancata pronuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., per mancata statuizione sull’inadempimento dell’ente appaltante.

Il primo motivo, configurato come violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 30, chiede, come reso evidente dalla sua estesa formulazione, un riesame della statuizione di merito ed è, quindi, di per ciò solo inammissibile.

Il mezzo, tuttavia, è anche infondato, in quanto il giudice dell’appello ha affermato, e il percorso motivazionale non è scalfito dalla formulazione della censura, che la sospensione dei lavori venne disposta dalla Stazione appaltante a causa dello spoglio posto in essere da uno dei proprietari delle aree di sedime, che aveva concordato la cessione volontaria del proprio terreno e che non poteva più raggiungere i residui appezzamenti del proprio fondo originario, a causa del ritardo nell’avanzamento dell’opera pubblica, consistente in una strada, che la S. coop. a r.l. Appalti di Produzione e Lavoro avrebbe dovuto realizzare.

Il secondo mezzo è anche esso, innanzitutto, inammissibile, in quanto sotto le spoglie dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, cerca di dedurre un dissenso motivazionale. Il motivo è formulato richiamando l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nell’attuale formulazione, risalente al 2012, ma chiaramente denuncia una contraddittorietà della motivazione, in più parti, secondo il precedente paradigma normativo. La detta censura è, pertanto, inammissibile, in quanto non individua, così come richiesto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il “fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti” bensì contrappone una diversa ricostruzione della vicenda fattuale rispetto a quella fatta propria dal giudice di merito, reiterando, come già tratteggiato, una motivo di impugnazione non più esperibile, nella specie di sindacato di fatto sulla motivazione, in contrasto con la giurisprudenza formatasi in tema (Sez. U n. 08053 del 07/04/2014 e più di recente Cass. del 12/10/2017 n. 23940).

Il motivo 4 inoltre, infondato: la Corte territoriale ha ritenuto (pag. 11 della sentenza d’appello) che la perizia di variante, sulla quale avrebbe omesso, nella prospettazione del ricorso, l’esame, non era relativa al progetto originario della strada bensì riguardava il collegamento di detta strada ed altra opera pubblica, costituita anch’essa da una strada, sempre di pertinenza del Comune di Lettere e costituiva, quindi, un tema del tutto eccentrico rispetto a quello dedotto in causa.

Il terzo motivo afferma violazione dell’obbligo di cooperazione gravante sulla Stazione appaltante e propone censure di violazione e (o) falsa applicazione del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 30, artt. 1207 e 1375 c.c..

Il mezzo, sebbene formulato secondo una linea giurisprudenziale risalente e astrattamente condivisibile (Cass. n. 10052 del 29/04/2006 Rv. 588440-01) in tema di obbligo di cooperazione dell’ente pubblico appaltante, è del tutto carente di specificità: esso si struttura in una serie di generiche prospettazioni, agganciate ad un ampio corredo di pronunce della giurisprudenza arbitrale, nonchè di legittimità e di merito ma senza alcun adeguato riferimento ai fatti di causa e si limita a ribadire l’illegittimità delle sospensioni disposte dalla Direzione dei lavori, senza in alcun modo esplicitare l’imputabilità alla P.A. delle sospensioni. Come già esposto le sospensioni vennero causate dal ritardo nell’esecuzione della costruzione strada, derivante da condotte inadeguate dell’appaltatore puntualmente evidenziate dalla sentenza in scrutinio.

Sul quarto motivo si osserva che la mancata prova dell’inadempimento della Stazione appaltante e la mancata iscrizione delle riserve, circostanza incontestata, stante la sottoscrizione del verbale di consegna dei lavori, da parte dell’appaltatore, a seguito di ciascuna delle disposte sospensioni rendeva preclusa, come da risalente giurisprudenza (Cass. n. 00388 del 11/01/2006 Rv. 586521 – 01), alla quale il Collegio intende dare continuità, la valutazione dell’inadempimento della stazione appaltante: “In tema di appalto di opere pubbliche, ogni qualvolta si faccia questione della risoluzione del contratto per inadempimento dell’appaltante (o, in generale, dell’invalidità del contratto o della sua estinzione), la relativa domanda, arbitrale o giudiziaria, non è soggetta alla decadenza prevista per l’inosservanza dell’onere – sussistente soltanto con riferimento alle pretese dell’appaltatore che si riflettono sul corrispettivo dovutogli – della riserva; il che non esclude, tuttavia ove l’inadempimento dell’appaltante posto a fondamento della richiesta risoluzione consista nella illegittima disposizione o protrazione della sospensione dei lavori – la rilevanza della mancata contestazione, da parte dell’appaltatore, dei presupposti giustificativi del provvedimento nel verbale di sospensione ovvero di ripresa (a seconda del carattere originario o sopravvenuto delle ragioni di illegittimità e del tempo in cui l’appaltatore ha potuto averne consapevolezza) ai fini (non già della decadenza, bensì) di valutare l’esistenza di un grave inadempimento del committente, tale da giustificare la risoluzione del contratto” (si vedano, più di recente: Cass. n. 19531 del 17/09/2014 Rv. 632488-01 e Cass. n. 22036 del 17/10/2014 Rv. 632826-01).

La questione è stata, pertanto, correttamente ritenuta assorbita dalla sentenza della Corte d’Appello e il vizio di omessa pronuncia, denunciato con il quarto mezzo, è insussistente.

Il ricorso è, pertanto, rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza della ricorrente e, tenuto conto del valore complessivo della controversia, sono liquidate come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 10.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15%, oltre CPA e IVA per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2020

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