Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8516 del 31/03/2017


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Cassazione civile, sez. II, 31/03/2017, (ud. 14/02/2017, dep.31/03/2017),  n. 8516

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5506/2013 proposto da:

R.S., (OMISSIS), R.M.A. (OMISSIS),

R.T. (OMISSIS), nella qualità di eredi di V.C., deceduta,

a sua volta erede di V.G., nato l'(OMISSIS) e deceduto,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 82, presso lo

studio dell’avvocato PAOLA SCROFANA, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato CRISTINA FANARA;

– ricorrenti –

contro

F.L. nata a (OMISSIS) e V.M. nata ad (OMISSIS)

entrambe in proprio e quali eredi di VI.GA. nato l'(OMISSIS)

e deceduto, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA CRESCENZIO 2 sc.

B int. 2, presso lo studio SEMINARA ASSOCIATI, rappresentate e

difese dall’avvocato DARIO SEMINARA;

V.E. (OMISSIS), in proprio e quale erede di VI.GA.

nato l'(OMISSIS) e deceduto elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FLAMINIA 141, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO MACIUCCHI, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO GALLO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1340/2012 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 22/08/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/02/2017 dal Consigliere Dott. VINCENZO CORRENTI;

udito l’Avvocato PAOLA SCROFANA, difensore dei ricorrenti, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato MASSIMO MACIUCCHI, difensore della controricorrente

V.E., che si è riportato alle difese in atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità o, in

subordine, per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 2.9.2004 il Tribunale di Siracusa rigettò la domanda di riversione del bene donato con atto pubblico (OMISSIS) (nuda proprietà di un fondo e fabbricati) proposta dal donante V.G. per premorienza del donatario ex art. 791 c.c., nei confronti degli eredi di quest’ultimo e la domanda subordinata di risoluzione per inadempimento dell’obbligo di coabitazione, parimenti previsto in contratto, trasmessosi secondo l’attore ai discendenti del donatario, statuendo che la condizione di reversibilità non si era verificata perchè il donatario aveva discendenti e la clausola non poteva intendesi stipulata per l’ipotesi di premorienza del solo donatario V.R. ma anche dei suoi discendenti mentre l’obbligo di coabitazione, in quanto personale non era trasmissibile agli eredi.

Dichiarò inammissibile l’intervento adesivo di V.C., figlia del donante.

La Corte di appello, a seguito di gravame del V., di incidentale di V.C. per l’ammissibilità dell’intervento, di riassunzione da parte di R.S., T.M.S. e M.A.S., eredi di V.C. e di costituzione per le parti appellate di F.L. in proprio e quale erede di Vi.Ga. Junior, di V.M. ed E. in proprio e quali eredi di Vi.Ga. Junior, rigettò l’appello di V.G., con condanna alle spese, richiamando l’art. 791 c.c. e condividendo l’assunto del primo giudice secondo il quale i due patti previsti avevano autonome finalità (assicurarsi la convivenza del donatario ed evitare la successione nella titolarità di soggetti diversi dal donatario o suoi discendenti) e l’obbligo aveva natura personale.

Ricorrono R.S. e T., con due motivi, vi sono distinti controricorsi di F.L. e V.M., che hanno anche presentato memoria, e di V.E..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo si deducono violazione degli artt. 791, 1362, 1363. 1369 e 1371 c.c., in ordine all’interpretazione della clausola.

Col secondo motivo si lamentano vizi di motivazione sul rigetto del secondo motivo di appello in ordine all’intrasmissibilità agli eredi dell’obbligo di coabitazione.

Le censure non meritano accoglimento.

In ordine alla prima, va osservato che la Corte di appello ha fatto riferimento ad una interpretazione non solo letterale ma anche sistematica, secondo la quale i due patti previsti avevano autonome finalità (assicurarsi la convivenza del donatario ed evitare la successione nella titolarità di soggetti diversi dal donatario o suoi discendenti) e l’obbligo aveva natura personale.

L’opera dell’interprete, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 c.c. e segg., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi; pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti.

Di conseguenza, ai tini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia. il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (e pluribus, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579, 16.3.04 n. 5359. 19.1.04 n. 753).

Nè può utilmente invocarsi, come sembra dai ricorrenti, la mancata considerazione del comportamento delle parti.

Ad ulteriore specificazione del posto principio generale d’ordinazione gerarchica delle regole ermeneutiche, il legislatore ha, inoltre, attribuito, nell’ambito della stessa prima categoria, assorbente rilevanza al criterio indicato dell’art. 1362 c.c., comma 1 – eventualmente integrato da quello posto dal successivo art. 1363 c.c., per il caso di concorrenza d’una pluralità di clausole nella determinazione del pattuito – onde, qualora il giudice del merito abbia ritenuto il senso letterale delle espressioni utilizzate dagli stipulanti, eventualmente confrontato con la ratio complessiva d’una pluralità di clausole, idoneo a rivelare con chiarezza ed univocità la comune volontà degli stessi, cosicchè non sussistano residue ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l’intento effettivo dei contraenti ciò che è stato fatto nella specie dalla corte territoriale, con considerazioni sintetiche ma esaustive – detta operazione deve ritenersi utilmente compiuta, anche senza che si sia fatto ricorso al criterio sussidiario dell’art. 1362 c.c., comma 2, che attribuisce rilevanza ermeneutica al comportamento delle parti successivo alla stipulazione (Cass. 4.8.00 n. 10250, 18.7.00 n. 9438, 19.5.00 n. 6482, 11.8.99 n. 8590, 23.11.98 n. 11878, 23.2.98 n. 1940. 26.6.97 n. 5715, 16.6.97 n. 5389); non senza considerare. altresì, come detto comportamento, ove trattisi d’interpretare, come nella specie, atti soggetti alla forma scritta ad substantiam, non possa, in ogni caso, evidenziare una formazione del consenso al di fitori dell’atto scritto medesimo (Cass. 20.6.00 n. 7416. 21.6.99 n. 6214, 20.6.95 n. 6201, 11.4.92 n. 4474).

Il ricorso difetta, peraltro, di autosufficienza non riportando nemmeno in sintesi e per brani il contenuto della pattuizione.

Il secondo motivo non supera l’apprezzamento dei giudici di merito sulla natura personale dell’obbligo e manifesta mero dissenso rispetto a quanto statuito.

In definitiva il ricorso va rigettato, con la conseguente condanna alle spese. dando atto dell’esistenza dei presupposti per il versamento dell’ulteriore contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese liquidate in Euro 3200 di cui Euro 3000 per compensi, oltre accessori e spese forfettizzate nella misura del 15% in favore di ciascun gruppo di controricorrenti, dando atto dell’esistenza dei presupposti ex D.P.R. n. 115 del 2002, per il versamento dell’ulteriore contributo unificato.

Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2017

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