Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8516 del 06/05/2020

Cassazione civile sez. III, 06/05/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 06/05/2020), n.8516

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22340/2018 proposto da:

M.I., elettivamente domiciliato in Roma al Corso Vittorio

Emanuele II, n. 18 presso lo studio Grez e Associati, rappresentata

e difesa dall’avvocato Donati Enrico;

– ricorrente –

contro

C.C., domiciliata in Roma, presso la cancelleria civile

della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato

Santacroce Salvatore;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 00833/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 18/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/12/2019 da Dott. Cristiano Valle, osserva.

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.C. convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Genova, l’avvocato M.I. per ottenere dal professionista il risarcimento danni in relazione a mandato professionale – di recupero crediti nei confronti di promotore finanziario, tal Ma.Al., resosi irreperibile, con conseguente perdita

dell’investimento economico della C. – rimasto inadempiuto, affermando che la legale non si era adeguatamente adoperata al fine dell’insinuazione in procedura esecutiva immobiliare nei confronti del debitore.

Il Tribunale di Genova, pur ritenendo sussistente l’inadempimento professionale, rigettò la domanda risarcitoria – affermando che non vi era nesso causale tra l’inadempimento e l’evento di danno lamentato – con compensazione delle spese di lite e condannò la C. ai sensi dell’art. 96 c.p.c. e dell’art. 220 c.p.c., in relazione a procedimento di verificazione della sua firma, apposta in calce a documento comprovante la restituzione degli atti da parte della professionista.

La Corte di Appello di Genova ha, con la sentenza n. 00833/2018 del 18 maggio 2018 impugnata in questa sede, riformato la pronuncia del primo giudice ed ha condannato l’avvocato M. al risarcimento dei danni, quantificati in Euro sessantamila e settecento sessantaquattro, oltre interessi dalla domanda al saldo e obbligo di rimborso delle spese di lite.

Ricorre per cassazione la M. con atto affidato a tre motivi. Resiste con controricorso C.C..

Il P.G. non ha presentato conclusioni.

Non sono state depositate memorie dalle parti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso dell’avvocato M.I. censura la sentenza impugnata per violazione e (o) falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 2236,1223 e 2697 c.c., per omesso esame di fatto decisivo, consistente nella mancata valutazione della richiesta di sequestro giudiziario contenuta nella denuncia-querela del (OMISSIS) e, infine, in caso di mancato accoglimento dei primi due mezzi, per violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 1282 c.c. e art. 2948 c.c., n. 4.

Il primo ed il secondo motivo di ricorso possono essere congiuntamente scrutinati, in quanto strettamente connessi.

Circostanza dirimente è quella relativa al conferimento del mandato professionale e ai conseguenti obblighi. Il giudice di appello ha ritenuto che l’incarico al legale fosse stato conferito prima del (OMISSIS) (in sentenza è scritto una prima volta 10 maggio 2004 ma è evidente trattarsi di un refuso) data della denuncia-querela presentata all’Ufficio del P.M. presso il Tribunale di Genova e firmata dall’avvocato M. e in cui vi era il conferimento dell’incarico professionale da parte della C. e ne fa conseguire un ritardo delle iniziative recuperatorie rispetto agli altri creditori, che si giovarono di titoli abilitanti l’iscrizione ipotecaria di primo e secondo grado e poterono soddisfarsi, quindi, nell’esecuzione immobiliare.

Il ragionamento decisorio del primo giudice, laddove afferma che la circostanza che la denuncia-querela era stata presentata il (OMISSIS) comprovava che in precedenza vi era stata interlocuzione tra la C. e l’avvocato M. e che quindi questa si era solo tardivamente attivata in sede civile non ha tenuto adeguatamente conto della circostanza, incontestata nelle fasi di merito e data per ammessa anche dalla C., che nella denuncia-querela alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Genova vi era anche un’istanza volta a che l’Ufficio requirente procedesse a (richiedere, ai sensi dell’art. 316 c.p.p.) sequestro conservativo sui beni del Ma.Al., che aveva incamerato i risparmi della C.. Il sequestro conservativo, ove disposto dal giudice competente avrebbe comportato, in forza dell’art. 316 c.p.p., comma 4, la prevalenza del credito a mezzo di esso tutelato sugli altri crediti che in concreto hanno trovato soddisfazione.

E’ stato parimenti accertato, nelle fasi di merito, e la circostanza non è stata messa in dubbio dalla difesa della controricorrente, che il procedimento penale, conclusosi con patteggiamento del Ma. ai sensi dell’art. 444 c.p.c. – con conseguente preclusione all’azione civile in sede penale – trasse origine dalla detta denuncia dell’avvocato M..

Ulteriore aporia della sentenza d’appello è relativa all’individuazione dei tempi per ottenere decreti ingiuntivi, utili al fine del compimento dell’intervento nell’esecuzione immobiliare: è noto che non è necessario attendere i protesti degli assegni per procedere in via monitoria, ma quel che la difesa dell’avvocato M. afferma, e la risposta del giudice di merito non è convincente, è che occorreva la restituzione da parte della stanza di compensazione bancaria degli originali dei titoli (ossia degli assegni) al fine di poter incardinare, ai sensi degli artt. 633 c.p.c. e segg., il procedimento monitorio, e il lasso all’uopo necessario era di circa dieci giorni lavorativi, pari a due settimane di calendario. Solo dopo la concessione del decreto ingiuntivo, che, se ottenuto in base ad assegno bancario sarebbe stato dotato di provvisoria esecutività, ai sensi dell’art. 642 c.p.c., comma 1, sarebbe stato possibile procedere al compimento di atti esecutivi.

Il ritardo nell’attivazione delle procedure di recupero del credito non è, pertanto, imputabile, secondo il criterio del “più probabile che non” alla quale la sentenza d’appello presta adesione, all’avvocato M., bensì ad una serie concomitante di circostanze, in parte ascrivibili a diversi soggetti.

La sentenza d’appello è carente in punto di motivazione sul nesso causale omettendo di prendere in considerazione che l’avvocato M.I. sin dalla denuncia-querela al P.M. del (OMISSIS), aveva chiesto un sequestro conservativo, circostanza questa data per certa anche dalla difesa della C..

La decisione della Corte di merito omette un adeguato accertamento fattuale, avendo essa del tutto trascurato un fatto decisivo, costituito dall’istanza di sequestro conservativo contenuta nella denuncia-querela e conseguentemente ritenuto che la professionista legale si fosse tardivamente attivata nelle iniziative per il recupero delle somme della cliente.

Sul punto si veda, di recente, la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 25112 del 24/10/2017 Rv. 646451 – 01), alla quale il Collegio intende dar continuità: “In tema di responsabilità professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, si applica non solo all’accertamento del nesso di causalità fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell’omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull’esito che avrebbe potuto avere l’attività professionale omessa”.

Il ragionamento del giudice d’appello trae un’unica conseguenza dai fatti accertati in giudizio, ossia che la condotta professionale del legale sia stata inadeguata, ma è carente nell’individuazione dei fatti, anche dal punto di vista cronologico, dal quale trae la conseguenza.

Il primo ed il secondo motivo del ricorso sono, per quanto motivato, fondati.

La fondatezza dei primi due motivi di ricorso comporta assorbimento del terzo.

Il ricorso è, pertanto, accolto.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, trattandosi di controversia di carattere documentale nelle fasi di merito e non sussistendo contrasto in punto di ricostruzione della vicenda intercorsa tra le parti, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con rigetto della domanda proposta in primo grado da C.C..

L’esito della lite, che ha visto il rigetto della domanda in primo grado ed il suo accoglimento in appello, consente di ritenere sussistenti idonee ragioni, anche alla stregua della più recente affermazione del giudice delle leggi (in particolare: Corte Cost. n. 77 del 19 aprile 2018 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni), per disporre integrale compensazione delle spese di tutti i gradi del giudizio.

All’accoglimento dell’impugnazione consegue che deve darsi atto dell’insussistenza, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

accoglie il ricorso;

cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta la domanda proposta in primo grado;

compensa tra le parti le spese di tutti i gradi del giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2020

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