Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 851 del 16/01/2017

Cassazione civile, sez. lav., 16/01/2017, (ud. 21/09/2016, dep.16/01/2017),  n. 851

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20314-2013 proposto da:

A.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE MARESCIALLO PIZUDSKI 118, presso lo studio dell’avvocato

FABRIZIO PAOLETTI, rappresentato e difeso dall’avvocato IGNAZIO

CUCCHIARA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.V. C.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE DELLE MILIZIE 1, presso lo studio dell’avvocato EDOARDO GHERA,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMILIANO

MARINELLI, giusta delega in atti;

– I.R.C.A.C. – ISTITUTO REGIONALE PER IL CREDITO ALLA COOPERAZIONE

C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 37, presso lo

studio dell’avvocato MARCELLO FURITANO, rappresentato e difeso

dall’avvocato SALVATORE PENSABENE LIONTI, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

nonchè contro

ASSESSORATO REGIONALE ALLE ATTIVITA’ PRODUTTIVE GIA’ ASSESSORATO

REGIONALE ALLA COOPERAZIONE, COMMERCIO, ARTIGIANATO E PESCA DELLA

REGIONE SICILIA, B.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2710/2012 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 08/02/2013 R.G.N. 1388/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/09/2016 dal Consigliere Dott. ESPOSITO LUCIA;

udito l’Avvocato CUCCHIARA IGNAZIO;

udito l’Avvocato MARINELLI MASSIMILIANO;

udito l’Avvocato GHERA FEDERICO per delega Avvocato GHERA EDOARDO;

udito l’Avvocato PENSABENE LIONTI SALVATORE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI FRANCESCA che ha concluso per inammissibilità, in subordine

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’appello di Palermo, con sentenza depositata l’8/2/2013, in riforma della pronuncia del giudice di primo grado, dichiarò il diritto di M.V. ad essere nominato Direttore Generale in prova dell’Istituto Regionale per il Credito alla Cooperazione (I.r.c.a.c.) dal 29/10/2005, con il riconoscimento del relativo trattamento giuridico ed economico.

2. In fatto era accaduto che, con Delib. il 29 dicembre 2003, n. 9628, era stata approvata la graduatoria del concorso ad un posto di direttore generale bandito dall’Istituto il 27/5/2001 ed era stato dichiarato vincitore il primo classificato, Dott. B.C., il quale, formalmente invitato a prendere servizio, non si era presentato ed era stato ritenuto rinunciatario. L’I.R.C.A.C. aveva proceduto, quindi, allo scorrimento della graduatoria e, dopo aver deliberato l’esclusione del M. perchè non in possesso del requisito di “esperienza di direzione e gestione”, aveva nominato direttore generale A.A., che nella graduatoria era classificato al terzo posto.

3. La Corte territoriale, dichiarando il diritto del M. alla nomina come Direttore Generale in prova dalla data della presa d’atto della rinuncia di B.C., rilevò che il bando di concorso per l’assunzione di personale, in regime privatistico, costituisce un’offerta al pubblico, cioè una proposta di contratto da cui deriva la conclusione del contratto stesso in favore dei soggetti utilmente collocati nella graduatoria; che nella procedimentalizzazione della selezione fissata dal bando, obbligatoria per il datore di lavoro, l’accertamento dei requisiti di ammissione precede la valutazione comparativa e l’approvazione della graduatoria costituisce, al contempo, atto terminale del procedimento concorsuale e atto negoziale di individuazione del contraente, da cui discende per il partecipante collocatosi in posizione utile, il diritto all’assunzione e per il datore di lavoro l’obbligo correlato, non potendo il datore di lavoro diverso dalla P.A. invocare istituti di natura pubblicistica, quali l’autotutela; che, quanto ai requisiti del bando, era stato chiarito dal Commissario ad acta che il requisito prescritto dall’art. 2, lett. c, doveva intendersi posseduto, per quanto concerne i candidati provenienti da Istituti e Aziende di credito, da soggetti inquadrati con la qualifica di dirigente, qualifica in concreto sussistente in capo al M. in quanto dirigente del servizio legale dell’istituto.

4. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’ A. sulla base di due motivi. Resistono con controricorso l’I.R.C.A.C. e M.V..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il motivo, unico nel percorso argomentativo, si articola in due capi: insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata (art. 360 c.p.c., n. 4); violazione degli artt. 1326, 1336, 1362, 1365, 1175 e 1375 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3).

3. Deduce il ricorrente che il primo giudice, richiamato il principio secondo il quale al bando di concorso vanno applicate le regole interpretative dettate per i contratti, ha affermato la mancanza del requisito ex art. 2, lett. c) da parte del M. sulla base dell’interpretazione letterale ex art. 1362 c.c.. Il giudice d’appello, senza censurare l’interpretazione letterale, si è limitato ad. affermare la prevalenza dell’interpretazione estensiva operata dal Commissario ad acta in ordine al requisito previsto dall’art. 2, lett. c., rilevando che detta interpretazione era stata resa nota a tutti i candidati e dunque era vincolante al pari di tutte quelle inserite nel bando. Osserva il ricorrente che tale ultima affermazione è da ritenere erronea, giacchè destinataria dell’attività svolta dal Commissario ad acta, non avendo quest’ultimo rapporti con i terzi, è la sola Amministrazione Pubblica e che nessuna comunicazione è stata fatta ai concorrenti del verbale commissariale, laddove, per principio consolidato, i criteri di selezione contrattuale devono essere conoscibili da parte degli aspiranti candidati e con il bando viene formulata un’offerta al pubblico con la quale l’ente si assume l’obbligo di procedere alla selezione secondo i criteri indicati nello stesso bando. Rileva, inoltre, l’illegittimità dell’interpretazione estensiva, posto che il Commissario ad acta ha inteso consentire la partecipazione anche ai dirigenti dei singoli settori dell’intera struttura, pur non potendosi ritenere che il dirigente preposto a un singolo settore svolga attività di direzione e gestione dell’intero ente, laddove la caratteristica richiesta dal bando era data dalla posizione apicale all’interno dell’intera struttura, talchè si sarebbe di fronte a una modifica del bando del tutto illegittima.

4. Rileva, ancora, che la graduatoria era stata modificata su sollecitazione dell’avv. M.,come da Delib. n. 0199 dell’1/2/2006. Osserva che da tale comportamento si evince che, in presenza del bando di concorso, qualificato come offerta al pubblico, la scelta del vincitore può ritenersi conclusa dopo eventuale verifica in contraddittorio circa la puntuale applicazione del bando: la modifica della graduatoria non costituisce ripensamento ma puntuale rispetto della proposta formulata con il bando di concorso. Rileva, inoltre, che la graduatoria costituisce momento di conclusione del contratto solo nei confronti del vincitore del concorso, laddove lo scorrimento della graduatoria va effettuato previa apposita nuova determinazione da parte della P.A.. Rileva, in via subordinata, che il riconoscimento del diritto alla nomina a Direttore Generale non andava effettuato, dovendosi il giudice limitare all’accoglimento della sola domanda risarcitoria, in presenza di un unico posto di Direttore Generale e della precisa circostanza della relativa copertura da parte del ricorrente.

MOTIVI DELLA DECISIONE;

1. Va rilevata, in primo luogo, l’inammissibilità dei profili di censura attinenti al vizio di motivazione (ancorchè impropriamente ricondotti all’art. 360 c.p.c., n. 4). Nella formulazione vigente ratione temporis di cui al testo novellato ex L. n. 134 del 2012, invero, l’art. 360 c.p.c., n. 5, non consente la denuncia, come si legge nel ricorso, di “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, ma, piuttosto, di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831), il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5), introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso. Gli indicati parametri non risultano rispettati nella specie, poichè il ricorrente adduce circostanze o argomentazioni giuridiche che sfuggono alla formulazione della censura nei termini sopra descritti.

2. In ordine alle altre argomentazioni svolte sotto il profilo della violazione di legge, si evidenzia che le doglianze attinenti all’interpretazione delle disposizioni del bando risultano irrilevanti a fronte della chiara ratio sottesa alla decisione, consistente nella ritenuta impossibilità di effettuare una verifica dei titoli dopo l’approvazione della graduatoria. La suddetta ratio deve trovare conferma in questa sede. Ed invero questa Corte intende dare continuità all’indirizzo che ha rilevato come “in tema di concorsi nel pubblico impiego privatizzato, l’approvazione della graduatoria è, ad un tempo, provvedimento terminale del procedimento concorsuale e atto negoziale di individuazione del contraente, da essa discendendo, per il partecipante collocatosi in posizione utile, il diritto all’assunzione e, per l’amministrazione che ha indetto il concorso, l’obbligo correlato, quest’ultimo soggetto al regime di cui all’art. 1218 c.c.” (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 9807 del 14/06/2012, Rv. 622927, conforme Sez. L, Sentenza n. 1399 del 20/01/2009, Rv. 606284). Neppure risulta specificamente censurata l’interpretazione del bando con riferimento alla verifica successiva dei titoli sulla base dei requisiti prescritti (art. 9), requisiti che la Corte riferisce alla documentazione di cui all’art. 7, da prodursi entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta dell’ente, e non ai requisiti di ammissione che devono essere già esistenti e conosciuti prima della valutazione comparativa, salvo il caso, non ricorrente nella specie, che il candidato si sia attribuito condizioni soggettive o oggettive, ottenendo illegittimamente l’ammissione alla selezione.

A fronte delle argomentazioni svolte non assume rilievo la notazione intesa a limitare la tutela del soggetto risultato vincitore in base a una graduatoria regolarmente approvata, in relazione alla quale non è pertinente la giurisprudenza citata dal ricorrente, relativa al conferimento di incarico su base non concorsuale con predisposizione di un elenco di candidati nell’ambito dei quali effettuare una scelta di carattere fiduciario.

3. In base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti delle parti costituite, liquidate per ciascuna di esse in complessivi Euro 3.100,00 di cui Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3000,00 per onorario, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2017

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