Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8509 del 14/04/2011

Cassazione civile sez. II, 14/04/2011, (ud. 03/03/2011, dep. 14/04/2011), n.8509

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.M.V. (OMISSIS), S.G.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GERMANICO

197, presso lo studio dell’avvocato GALASSO ALFREDO, che li

rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

L.V.G. (OMISSIS), S.R.

(OMISSIS), L.V.G.S. (OMISSIS),

L.V.V. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in

ROMA, VIALE GORIZIA 14, presso lo studio dell’avvocato SINAGRA

AUGUSTO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 421/2005 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 07/04/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/03/2011 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato D’AMICO Felicia, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato GALASSO Alfredo, difensore dei ricorrenti che si

riporta agli atti;

udito l’Avvocato PORRU Daniele, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato SINAGRA Augusto, difensore dei resistenti che si

riporta agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

a.= S.G. e D.M.V. convenivano in giudizio L.V.V., e S.R. per sentire accertare e dichiarare che il lotto di terreno sito in (OMISSIS) era di loro proprieta’ e per sentire dichiarare l’inesistenza di alcun diritto sulla stesso dei convenuti. Si costituivano L.V. e S. ed eccepivano che nella specie fosse intervenuta una precedente statuizione resa, tra le stesse parti, dal Tribunale di Palermo ormai divenuta definitiva e pertanto chiedevano che venisse dichiarata l’ammissibilita’ della domanda. Il Tribunale di Palermo accoglieva l’eccezione di inammissibilita’ opposta dai convenuti. Riconoscendo l’esistenza di un precedente giudicato tra parti il quale aveva respinto definitivamente la pretesa petitoria dello S.;

b) Proponeva appello S. e D.M. i quali deducevano l’inoperosita’ nella specie dell’art. 2909 cod. civ. per non essersi formato alcun giudicato sull’accertamento della proprieta’ del terreno de quo e rilevando la diversita’ dei giudizi. Si costituivano gli appellati che chiedevamo il rigetto dell’appello. La Corte di Appello di Palermo rigettava il gravame proposto. Osservava la Corte di Appello di Palermo che l’azione esercitata da S. e D. M. ancorche’ non qualificata di rivendica presentava tutte le caratteristiche di quest’ultima azione: Sicche’ a parte la diversita’ della terminologia giuridica adottata, risultava essere stato riproposto lo stesso petitum fondato sulla medesima causa petendi del precedente giudizio petitorio su cui si era formato il giudicato.

c) Per la cassazione di questa sentenza ricorrono S. e D. M. per due motivi consegnati ad un atto notificato il 20 settembre 2005.

Resistono S.R. e L.V.G., Gi. e V. con controricorso notificato il 21 ottobre 2005.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano Violazione o falsa applicazione di norme di diritto Violazione e falsa applicazione degli artt. 2909, 948 c.c. e dell’art. 324 c.p.c., dell’art. 1147 c.c. e dell’art. 1362 c.c. e segg. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Avrebbe errato la Corte di appello di Palermo, secondo il ricorrente, a) per non aver considerato che la sentenza n. 248/90 del Tribunale di Palermo, passata in giudicato, non aveva un contenuto di merito ma un contenuto strettamente processuale, tale da non precludere la riproponibilita’ della domanda in separato giudizio; b) per non aver considerato che la sentenza del Tribunale di Palermo, qui indicata, non aveva attribuito la proprieta’ del terreno de quo ne’ agli attori ne’ ai convenuti e,dunque, nessun giudicato si sarebbe formato in ordine alla proprieta’ del bene; c) nel ritenere inammissibile la domanda successivamente proposta dagli attuali ricorrenti considerato che l’azione di rivendica e’ un’azione di condanna alla restituzione del bene previo accertamento incidentale – quindi senza forza di giudicato- della titolarita’ del diritto, tale che in caso di rigetto e’ possibile riproporre l’azione petitoria.

2.1.1.= Il motivo e’ infondato e non puo’ essere accolto, perche’ la sentenza della Corte territoriale non presenta nessuno dei vizi denunciati, e le affermazioni che essa contiene sono fondate su una motivazione logica, ponderata, esaustiva dell’indicazione dei fatti evidenziati e analizzati e delle ragioni del dritto che ha applicato.

1.2.= Intanto, va qui riaffermato il principio secondo cui a prescindere dal tipo di sentenza adottato l’autorita’ del giudicato copre il dedotto e il deducibile, ovvero, non soltanto le questioni di fatto e di diritto fatte valere in via di azione e di eccezione, e comunque, esplicitamente investite dalla decisione, ma anche le questioni non dedotte in giudizio che costituiscano, tuttavia, un presupposto logico essenziale e indefettibile della decisione stessa (da ultimo sent. n. 17078 del 03/08/2007).

1.3.= Nel caso in esame la sentenza precedente, passata in giudicato (la n. 248/90 del Tribunale di Palermo), aveva affermato che (come evidenzia la Corte territoriale, gli attuali ricorrenti e contro ricorrenti), il bene rivendicato dagli attuali ricorrenti non corrispondeva con quello posseduto dai convenuti, ed altresi’ con quello descritto nel titolo derivativo (atto pubblico di compravendita del 30 aprile 1968). Tale sentenza, dunque, contiene due affermazioni: una prima, che il bene rivendicato dagli originari attori non era quello posseduto dagli originali convenuti, e ancor di piu’, che il bene posseduto dagli originari convenuti non era quello riportato nell’atto di compravendita stipulato dagli originari attori. Insomma, il Tribunale di Palermo aveva acclarato che gli originari attori non avevano acquistato il bene posseduto dagli originari convenuti perche’ il loro titolo di acquisto (un acquisto a titolo derivativo) indicava un bene che non corrispondeva a quello posseduto dagli originari convenuti. La sentenza de quo, dunque, contiene una precisa statuizione di merito e cioe’ il rigetto di quella specifica domanda di rivendica, relativa a quei determinati soggetti (convenuti) e a quel determinato bene (nel caso posseduto dai convenuti), perche’ infondata e, soprattutto, perche’ gli originari attori non erano -o non avevano dimostrato di essere – proprietari del bene posseduto dagli originari convenuti. Ora, ammesso che il Tribunale di Palermo, con la prima sentenza, abbia rigettato la domanda di rivendica per il fatto che i ricorrenti rivendicavano un bene posseduto da altri soggetti e non dai convenuti, o un bene diverso da quello posseduto dai convenuti: gli attori, cioe’, avrebbero sbagliato, nel proporre l’azione petitoria, l’indicazione soggettiva e/o l’indicazione del bene oggetto di rivendica, tuttavia, la statuizione del Tribunale di Palermo, passata in giudicato, sarebbe, ancora, nel senso di escludere che gli attori fossero i proprietari del bene posseduto dai convenuti. D’altra parte, oltre questa prima ed essenziale osservazione, che consente di condividere la decisione della Corte di Appello di Palermo, va anche detto che pur ammettendo che nell’ultima ipotesi indicata sarebbe possibile una seconda azione petitoria con la quale l’attore dichiarandosi, proprietario del bene posseduto dai (precedenti) convenuti chiederebbe l’accertamento della proprieta’, non sarebbe possibile, pero’, in forza del giudicato esistente, ammettere una seconda azione petitoria, con la quale, come ha affermato, la Corte territoriale, lo stesso attore si dichiara proprietario dello stesso bene che ha formato oggetto del primo giudizio e rivendica il bene nei confronti dello stesso soggetto convenuto nel primo giudizio coperto dal giudicato.

1.4.= Non coglie nel segno, neppure, la considerazione che la sentenza del Tribunale di Palermo avrebbe una natura processuale e non di rigetto nel merito per il fatto che quella sentenza rigettava la domanda dell’attore per mancanza di una condizione dell’azione. In verita’, la mancanza della condizione dell’azione di rivendica, nel caso concreto altro non era che la mancata dimostrazione della proprieta’ del bene rivendicato. Tale dimostrazione, tuttavia, e’ piu’ che un presupposto dell’azione, un requisito di fondatezza dell’azione stessa. Dottrina e giurisprudenza riconoscono che nell’azione di rivendicazione l’attore e’ soggetto ad un onere probatorio rigoroso (probatio diabolica) in quanto e’ tenuto a provare la proprieta’ del bene risalendo, anche attraverso i propri danti causa, sino ad un acquisto a titolo originario, ovvero, dimostrando il compimento dell’usucapione, mediante il cumulo dei successivi possessi uti dominus.

1.5.= Quanto qui evidenziato, unitamente all’affermazione logica, ponderata, esaustiva della Corte di Appello di Palermo secondo cui: a parte la diversita’ della terminologia giuridica adottata risulta essere stato riproposto l’identico petitum fondato sulla medesima causa petendi del precedente giudizio petitorio, non consente di attribuire rilevo, neppure, all’osservazione secondo cui nessun giudicato si sarebbe formato in ordine alla proprieta’ del bene perche’, comunque, il Tribunale di Palermo, non avrebbe attribuito la proprieta’ del terreno de quo ne’ agli attori ne’ ai convenuti, dato che quel giudicato ha, invece, affermato che gli attori non avevano dimostrato di essere proprietari del terreno posseduto dai convenuti.

1.6,= Va, anche in questa sede, ribadito che l’azione di rivendicazione e quella di restituzione, pur tendendo al medesimo risultato pratico del recupero della materiale disponibilita’ del bene, hanno natura e presupposti diversi: con la prima, di carattere reale, l’attore assume di essere proprietario del bene e, non essendone in possesso, agisce contro chiunque di fatto ne disponga onde conseguirne nuovamente il possesso, previo riconoscimento del suo diritto di proprieta’; con la seconda, di natura personale, l’attore non mira ad ottenere il riconoscimento di tale diritto, del quale non deve, pertanto, fornire la prova, ma solo ad ottenere la riconsegna del bene stesso. Di qui l’ulteriore conseguenza che, nell’azione di rivendicazione, la condanna alla restituzione e’ la conseguenza dell’accertamento della proprieta’: il legittimo possessore e’ il proprietario, se dimostrata la proprieta’ il possesso va restituito al legittimo proprietario. Nel caso concreto, dunque, il giudicato della prima sentenza non potrebbe non estendersi anche all’accertamento della proprieta’ in quanto, aspetto, comunque, deducibile dalla stessa sentenza.

2.= Con il secondo motivo gli stessi ricorrenti lamentano Omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto essenziale della controversia, art. 360 c.p.c., n. 5. Avrebbe errato la Corte territoriale, secondo il ricorrente per aver ritenuto di non dover svolgere alcuna indagine di merito in ordine all’accertamento della proprieta’ dichiarando tale questione coperta dal giudicato.

Tuttavia, la regola generale sull’estensione del giudicato viene estesa ai presupposti logici della decisione senza fornire adeguata spiegazione circa le modalita’ applicative della stessa alla fattispecie concreta sottoposta all’esame del giudice e senza accertare se nella specie ricorressero i presupposti per la sua applicazione.

2.1.= Anche questo motivo e’ infondato perche’ la decisione della Corte territoriale e’ affidata ad una motivazione non solo puntuale ed adeguata, ma, priva di qualunque vizio logico. La Corte territoriale ha senza equivoci riconosciuto che la domanda di rivendica originariamente proposta era stata respinta con una precedente decisione passata in giudicato perche’ non era stata fornita alcuna prova circa l’identita’ del bene rivendicato con quello posseduto dai convenuti e altresi’ con quello descritto nel titolo di acquisto. Di qui la stessa Corte territoriale ha ritenuto, per deduzione logica, che la precedente sentenza abbia acclarato che gli attuali ricorrenti non erano (o lo stesso, non hanno dimostrato di esser) proprietari del terreno posseduto dagli attuali controricorrenti. Ha ritenuto dunque che tale presupposto logico, giustificava l’inammissibilita’ della nuova azione proposta dagli stessi attori) per accertare quanto era stato accertato con altra sentenza passata in giudicato. In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono il principio della soccombenza e saranno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 2000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi oltre accessori come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 3 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2011

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