Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8508 del 31/03/2017


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Cassazione civile, sez. II, 31/03/2017, (ud. 13/01/2017, dep.31/03/2017),  n. 8508

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 22486 – 2014 R.G. proposto da:

CANALGRANDE s.r.l., – c.f. (OMISSIS) – in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa congiuntamente e

disgiuntamente dell’avvocato Ilaria Romagnoli e dall’avvocato

professor Candido Fois in virtù di procura speciale a margine del

ricorso e dall’avvocato Maurizio Visconti in virtù di procura

speciale per scrittura privata autenticata a ministero notar

G. in data 24.3.2016 ed elettivamente domiciliata in Roma, alla via

Livio Andronico, n. 24, presso lo studio dell’avvocato Ilaria

Romagnoli.

– ricorrente –

contro

SANTA CHIARA s.r.l. – p.i.v.a. (OMISSIS) – in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, alla

piazza dell’Orologio, n. 7, presso lo studio dell’avvocato Nicola

Marcone che congiuntamente e disgiuntamente all’avvocato Pier Vettor

Grimani la rappresenta e difende in virtù di procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 2400 dei 6.8/14.10.2013 della corte d’appello

di Venezia, Udita la relazione della causa svolta all’udienza

pubblica del 13 gennaio 2017 dal consigliere dott. Luigi Abete;

Udito l’avvocato Maurizio Visconti per la ricorrente;

Uditi l’avvocato Chiara Pesce, per delega dell’avvocato Nicola

Marcone, per la controricorrente,

Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore

generale dott. DEL CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso ex art. 1168 c.c. e art. 703 c.p.c. al tribunale di Venezia depositato in data 17.9.2002 la s.r.l. “Santa Chiara” esponeva che era proprietaria di porzione del complesso edilizio denominato “(OMISSIS)” ubicato in (OMISSIS), alla località (OMISSIS); che era al contempo comproprietaria pro quota, per acquisto fatto con atto del 25.3.2002 a rogito notar C., dell’area scoperta sulla quale il complesso “(OMISSIS)” prospettava su tre lati; che la s.r.l. “Canalgrande”, comproprietaria dell’area scoperta, nei mesi precedenti aveva provveduto alla ricollocazione del selciato ad una quota inferiore, sicchè era divenuto più difficoltoso l’accesso all’edificio di proprietà di essa ricorrente, alla demolizione ed alla ricostruzione, con diminuzione dell’originario volume, delle fosse settiche, alla incrinatura dell’equilibrio statico delle fondazioni del residence.

Chiedeva di essere reintegrata nell’originario suo possesso mercè ripristino dello status quo ante.

Resisteva la “Canalgrande” s.r.l..

Assunte sommarie informazioni, il tribunale denegava la tutela interdittale. Nel corso della fase a cognizione piena, assunta la prova testimoniale, espletata c.t.u., si faceva luogo all’ispezione dei luoghi.

Indi, con sentenza n. 2320/2009 il tribunale accoglieva in parte la domanda ex art. 1168 c.c. e condannava la resistente a ripristinare le quote preesistenti conformemente a quanto risultante dalla relazione di c.t.u.; condannava la “Canalgrande” alle spese di lite e di consulenza.

Proponeva appello la “Canalgrande” s.r.l..

Resisteva la “Santa Chiara” s.r.l..

Con sentenza n. 2400 dei 6.8/14.10.2013 la corte d’appello di (OMISSIS) rigettava il gravame e condannava l’appellante alle spese del grado.

Esplicitava – la corte – che la documentazione fotografica allegata dall’originaria ricorrente dava conferma degli esiti della c.t.u., esiti alla cui stregua i lavori eseguiti dalla “Canalgrande” avevano comportato l’abbassamento del piano di calpestio dell’intera superficie della “(OMISSIS)”; che al contempo le risultanze della documentazione fotografica erano state riscontrate dai testi B.V. e G.D.; che in questo quadro non risultavano attendibili le dichiarazioni rese in qualità di testimoni dal geometra N., responsabile della ditta appaltatrice, e dall’ingegner Ce., direttore dei lavori.

Esplicitava altresì, in ordine all’asserito difetto del possesso dell’uscita di emergenza, che l’esistenza delle porte – finestre valeva di per sè ad attestarne il possesso in capo all’appellata.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la “Canalgrande” s.r.l.; ne ha chiesto sulla scorta di quattro motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese.

La “Santa Chiara” s.r.l. ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese di lite.

Le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

La “Canalgrande” s.r.l. ha chiesto – con istanza in data 22.2.2016 – riunirsi al procedimento iscritto al n. 3634/2013 R.G. il procedimento iscritto al n. 15799/2013 R.G. ed il presente procedimento.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1140, 1168 e 1170 c.c..

Deduce che “la (ritenuta) minore facilità nel godimento di un bene immobile può, al limite, configurare molestia, ma non certamente spoglio” (così ricorso, pagg. 12 – 13).

Deduce che l’assunto secondo cui l’abbassamento del piano di calpestio della “(OMISSIS)” determina una maggior incidenza del fenomeno dell'”acqua – alta”, è frutto di una inesatta rappresentazione della realtà.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1140, 1168, 1170 e 2697 c.c. nonchè degli artt. 99 e 112 c.p.c..

Deduce che la s.r.l. “Santa Chiara” non ha nè allegato nè dimostrato la propria signoria di fatto sulla “(OMISSIS)”; che invero ha semplicemente affermato di essere comproprietaria dell’area cortilizia in dipendenza del rogito per notar C..

Deduce che la corte di merito ha erroneamente interpretato la domanda dell’originaria ricorrente.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. e degli artt. 112 e 116c.p.c..

Deduce che, contrariamente all’assunto della corte distrettuale, la “realizzazione delle porte/finestre non prova affatto che (“Santa Chiaral avesse la “signoria di fatto” sull’intera corte” (così ricorso, pag. 17).

Con il quarto motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 116 c.p.c..

Deduce che è assolutamente apodittica l’affermazione della corte territoriale secondo cui le dichiarazioni rese in qualità di testimoni dal geometra N. e dall’ingegner Ce. “sarebbero inattendibili solamente perchè difformi dalle “valutazioni tecniche compiute dal C.T.U. in loco” (…) e dalle impressioni (…) di due degli inservienti della Santa Chiara” (così ricorso, pag. 18).

Non vi è ragione chè si disponga la riunione del presente procedimento, scaturito dal ricorso iscritto al n. 22486/2014 R.G., al procedimento scaturito dal ricorso iscritto al n. 3634/2013 R.G. ed al procedimento scaturito dal ricorso iscritto al n. 15799/2013 R.G..

Vero è che l’istituto della riunione di procedimenti relativi a cause connesse, previsto dall’art. 274 c.p.c., essendo volto a garantire l’economia ed il minor costo del giudizio, oltre alla certezza del diritto, trova applicazione anche in sede di legittimità, sia in relazione a ricorsi proposti contro sentenze diverse pronunciate in separati giudizi sia, a maggior ragione, in presenza di sentenze pronunciate in grado di appello in un medesimo giudizio, legate l’una all’altra da un rapporto di pregiudizialità e impugnate, ciascuna, con separati ricorsi per cassazione (cfr. Cass. 31.10.2011, n. 22631; cfr. Cass. 4.4.1997, n. 2922).

E tuttavia, precipuamente in ordine alla prima ipotesi – cui va ascritta la riunione sollecitata nella fattispecie – va debitamente ribadito che i provvedimenti che decidono sulla riunione o separazione delle cause sono atti processuali di carattere meramente preparatorio, privi di contenuto decisorio (sulla competenza, ed insindacabili in sede di gravame), cosicchè la valutazione dell’opportunità della trattazione congiunta delle cause connesse è rimessa alla discrezionalità del giudice innanzi al quale i procedimenti pendono (cfr. Cass. (ord.) 18.11.2014, n. 24496; Cass. 19.1.1979, n. 402).

I motivi di ricorso sono strettamente connessi. Se ne giustifica pertanto la disamina simultanea. In ogni caso sono destituiti di fondamento.

Si premette che i motivi tutti si qualificano esclusivamente in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Occorre tener conto, per un verso, che con i motivi de quibus la “Canalgrande” censura sostanzialmente il giudizio “di fatto” cui la corte veneziana ha atteso (si condivide quindi la prospettazione della controricorrente secondo cui segnatamente il primo, il terzo ed il quarto motivo danno corpo a censure concernenti la valutazione di merito operata dalla corte d’appello: cfr. controricorso, pagg. 6, 7 e 8).

Occorre tener conto, per altro verso, che è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che riguarda l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499).

Occorre tener conto, per altro verso ancora, precipuamente con riferimento al primo motivo, che la qualificazione della fattispecie concreta, come molestia nel possesso anzichè come spoglio (eventualmente non violento o clandestino), costituisce apprezzamento discrezionale del giudice di merito, effettuato in base alle prove acquisite nel processo, apprezzamento che è sottratto al sindacato della Corte di Cassazione, ove sia scevro da vizi logici e di diritto (cfr. Cass. 21.3.1977, n. 1087).

In questi termini si rappresenta ulteriormente che i vizi motivazionali sostanzialmente veicolati dai mezzi di impugnazione in esame rilevano nei limiti della formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 quale introdotta dal D.Lgs. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione (è il caso de quo: la sentenza della corte di Venezia è stata depositata il 14.10.2013).

Conseguentemente riveste valenza l’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte (il riferimento è a Cass. sez. un. 7.4.2014, n. 8053).

Su tale scorta si rappresenta quanto segue.

Da un canto, che è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua dell’indicazione nomofilattica a sezioni unite testè menzionata, possa scorgersi in relazione alle motivazioni – dapprima riferite – cui la corte distrettuale ha ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito, pur individuando nel contenuto della sentenza gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento, non procede ad una loro approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte territoriale ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo (“alla luce delle fotografie prodotte da parte ricorrente, che chiaramente ritraggono i luoghi di causa dopo i lamentati lavori, merita di essere condivisa l’affermazione del c.t.u. (…)”: così sentenza d’appello, pag. 6; “il consulente d’ufficio è stato chiaro nell’indicare che l’abbassamento di quota della corte determina una maggiore incidenza degli allagamenti dovuti al fenomeno veneziano dell’acqua alta”: così sentenza d’appello, pag. 8).

Dall’altro, che la corte veneziana ha sicuramente disaminato il fatto storico caratterizzante la res litigiosa.

Del resto, la ricorrente censura l’asserita distorta ed erronea valutazione delle risultanze di causa (“è questa obiettiva considerazione (…) priva di valenza giuridica l’asserzione della Corte che, adagiandosi sulle conclusioni del c. t. u., ha asserito che (…)”: così ricorso, pag. 14; “detta enunciazione si basa non già su indizi (…), bensì (…) su una falsa rappresentazione della realtà”: così ricorso, pag. 17; “il giudice a quo ha, infine, violato il disposto dell’art. 116 c.p.c. anche disattendendo le deposizioni del direttore dei lavori (ing. Ce.) e del responsabile del “cantiere” (geom. N.)”: così ricorso, pag. 18).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte d’appello risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo ed esaustivo.

Difatti, questo Giudice del diritto spiega che, in tema di azioni possessorie, integra gli estremi di uno spoglio, e non quelli di una semplice molestia, la privazione anche soltanto parziale del possesso, la quale può manifestarsi con un atto che restringa o riduca le facoltà inerenti il potere esercitato sull’intera cosa, oppure diminuisca o renda meno comodo l’esercizio del possesso medesimo (cfr. Cass. 22.1.2013, n. 1494).

D’altra parte, seppure è vero che questa Corte esplicita che l’animus spoliandi – che la violenza o clandestinità dell’azione senz’altro implicano – non è insito in ogni fatto materiale che determini la privazione dell’altrui possesso, ma consegue solo alla consapevolezza di contrastare e di violare la posizione soggettiva del terzo (cfr. Cass. 29.3.1978, n. 1454), nondimeno è difficile negare l’animus anzidetto perchè la “Canalgrande” “ha sostituito un selciato in terra battuta “con una pavimentazione in lastre squadrate di trachite” (rel. C.t.u. pag. 12)” (così ricorso, pag. 15).

Da ultimo, con specifico riferimento al secondo motivo, si evidenzia che la corte di merito ha precisato che “non è contestato in causa che la società appellata godesse del possesso sulla corte per accedere ai propri immobili” (così sentenza d’appello, pag. 5); ed, inoltre, che, “quanto alla estensione di tale possesso, se cioè interessa l’intera corte (…) o solo una parte di essa (…), è da ritenere che parte ricorrente abbia agito a tutela in generale del possesso sulla corte (…) con ciò intendendo non solo l’area per l’accesso alla porta d’ingresso sul lato ovest (…), ma anche le altre zone, per l’uscita dalle porte finestre” (così sentenza d’appello, pag. 5).

Ebbene, il primo passaggio motivazionale testè menzionato, avrebbe postulato la specifica censura dell’affermata mancata contestazione del possesso (i motivi del ricorso per cassazione devono connotarsi, a pena di inammissibilità, in conformità ai requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata: cfr. Cass. 17.7.2007, n. 15952).

Di conseguenza non vi si correla puntualmente la prospettazione, in particolare addotta con il secondo mezzo, a tenor della quale “Santa Chiara ha (…) omesso di dimostrare una tale “signoria di fatto” sull’intera corte” (così ricorso, pag. 16).

In pari tempo, il secondo passaggio motivazionale dapprima citato, avrebbe propriamente postulato la prospettazione della censura alla stregua della previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e non già la prefigurazione – col secondo motivo – del vizio di extrapetizione (cfr. ricorso, pag. 17).

Invero, questa Corte spiega che l’interpretazione della domanda e dell’eccezione spetta al giudice del merito, per cui, ove questi abbia espressamente ritenuto che una certa domanda ovvero una certa eccezione siano state avanzate – e siano comprese nel thema decidendum – tale statuizione, ancorchè erronea, non può essere direttamente censurata per ultrapetizione, atteso che, avendo comunque il giudice svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione debba ritenersi ricompresa tra quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione non è logicamente verificabile prima di avere accertato che quella medesima motivazione sia erronea; in tal caso, il dedotto errore del giudice non si configura come error in procedendo, ma attiene al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà della parte, e non a quello inerente a principi processuali, pertanto detto errore può concretizzare solo una carenza nell’interpretazione di un atto processuale, ossia un vizio sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione (cfr. Cass. 18.4.2006, n. 8953).

Il rigetto del ricorso giustifica la condanna della s.r.l. ricorrente al rimborso in favore della s.r.l. controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

Si dà atto che il ricorso è stato notificato in data 18.9.2014. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto altresì della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente, “Canalgrande” s.r.l., a rimborsare alla controricorrente, “Santa Chiara” s.r.l., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della s.r.l. ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 13 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2017

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