Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8508 del 06/05/2020

Cassazione civile sez. III, 06/05/2020, (ud. 06/12/2019, dep. 06/05/2020), n.8508

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18412/2018 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VALADIER 36,

presso lo studio dell’avvocato RICCARDO GOZZI, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

B.R., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

MASSIMO ZAGANELLI;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 921/2017 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 13/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/12/2019 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 13/12/2017 la Corte d’Appello di Perugia, adita in riassunzione all’esito del rinvio disposto da Cass. pen. 44760 del 2015 (che ha annullato la pronunzia della Corte d’Appello di Perugia sezione penale – del 16/4/2014 limitatamente agli effetti civili ex art. 622 c.p.c.), in accoglimento del gravame interposto dal sig. B.R. ha condannato il sig. C.G. e il Ministero della Giustizia al pagamento, in solido, di somma in favore del predetto a titolo di risarcimento del danno morale iure successionis sofferto dal defunto sig. B.A., per le “sofferenze dallo stesso patite tra l’insorgenza della emorragia subaracnoidea, quale accertata nel corso dell’istruttoria in sede penale, e l’evento morte, lasso di tempo durante il quale, pur avendo reiteratamente richiesto l’intervento di un medico, non era stato soccorso da C.G., agente di polizia penitenziaria addetto alla sorveglianza nella notte tra il (OMISSIS), che aveva provveduto a chiamare il sanitario solo la mattina quando il predetto B. era già deceduto”.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il C. propone ora ricorso per cassazione affidato a 3 motivi.

Resiste con controricorso il sig. B.R..

L’altro intimato non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo il ricorrente denunzia “nullità della sentenza per indeterminatezza dell’oggetto della domanda”.

Lamenta che controparte ha limitato la domanda alla propria “quota ereditaria” senza aver “mai determinato la compagine ereditaria afferente al defunto padre, sig. B.A.”.

Con il 2 e il 3 motivo denunzia “omesso esame” di fatti decisivi della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Si duole che sia stata erroneamente disposta anche la corresponsione degli interessi compensativi sulla somma liquidata, senza che vi sia stato l’accertamento in merito all’effettiva sussistenza di un danno da ritardo, che “non necessariamente ed automaticamente esiste”.

Lamenta che la corte di merito abbia liquidato l’ammontare del danno “tacendo del tutto il criterio adottato ai fini della determinazione dello stesso”.

Il 2 e 3 motivo sono p.q.r. fondati e vanno accolti nei termini e limiti di seguito indicati.

Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare, diversamente che per quello patrimoniale del danno non patrimoniale il ristoro pecuniario non può mai corrispondere alla relativa esatta commisurazione, imponendosene pertanto la valutazione equitativa (v. Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972, cit.; Cass., 31/5/2003, n. 8828. E già Cass., 5/4/1963, n. 872. Cfr. altresì Cass., 10/6/1987, n. 5063; Cass., 1 /4/1980, n. 2112; Cass., 11/7/1977, n. 3106).

Valutazione equitativa che è diretta a determinare “la compensazione economica socialmente adeguata” del pregiudizio, quella che “l’ambiente sociale accetta come compensazione equa” (in ordine al significato che nel caso assume l’equità v. Cass., 7/6/2011, n. 12408).

Subordinata alla dimostrata esistenza di un danno risarcibile certo (e non meramente eventuale o ipotetico) (cfr., da ultimo, Cass., 8/7/2014, n. 15478. E già Cass., 19/6/1962, n. 1536) e alla circostanza dell’impossibilità o estrema difficoltà (v. Cass., 24/5/2010, n. 12613. E già Cass., 6/10/1972, n. 2904) di prova nel suo preciso ammontare, attenendo pertanto alla qualificazione e non già all’individuazione del danno (non potendo valere a surrogare il mancato assolvimento dell’onere probatorio imposto all’art. 2697 c.c.: v. Cass., 11/5/2010, n. 11368; Cass., 6/5/2010, n. 10957; Cass., 10/12/2009, n. 25820; e, da ultimo, Cass., 4/11/2014, r. 23425), la valutazione equitativa deve essere condotta con prudente e ragionevole apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto, considerandosi in particolare la rilevanza economica del danno alla stregua della coscienza sociale e i vari fattori incidenti sulla gravità della lesione.

Come avvertito anche in dottrina, l’esigenza di una tendenziale uniformità della valutazione di base della lesione non può d’altro canto tradursi in una preventiva tariffazione della persona, rilevando aspetti personalistici che rendono necessariamente individuate e specifica la relativa quantificazione nel singolo caso concreto (cfr. Cass., 31/5/2003, n. 8828).

Il danno non patrimoniale non può comunque essere liquidato in termini puramente simbolici o irrisori o comunque non correlati all’effettiva natura o entità del danno (v. Cass., 12/5/2006, n. 11039; Cass., 11/1/2007, n. 392; Cass., 11/1/2007, n. 394), ma deve essere congruo.

E’ invero compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore persona si siano verificate, e provvedendo al relativo integrale ristoro (v. Cass., 13/5/2011, n. 10527; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972).

A tale stregua è allora esclusa la possibilità di applicarsi in modo “puro” parametri rigidamente fissati in astratto, giacchè non essendo in tal caso consentito discostarsene, risulta garantita la prevedibilità delle decisioni ma assicurata invero una uguaglianza meramente formale, e non già sostanziale (cfr. Cass., 23/1/2014, n. 1361).

Del pari inidonea è una valutazione rimessa alla mera intuizione soggettiva del giudice, e quindi, in assenza di qualsiasi criterio generale valido per tutti i danneggiali a parità di lesioni, sostanzialmente al suo mero arbitrio (cfr. Cass., 23/1/2014, n. 1361).

Se una siffatta valutazione vale a teoricamente assicurare un’adeguata personalizzazione del risarcimento, non altrettanto può infatti dirsi circa la parità di trattamento e la prevedibilità della decisione (v. Cass., 7/6/2011, n. 12408).

Fondamentale è che, qualunque sia il sistema di quantificazione prescelto, esso si prospetti idoneo a consentire di pervenire ad una valutazione informata ad equità, e che il giudice dia adeguatamente conto in motivazione del processo logico al riguardo seguito, indicando i criteri assunti a base del procedimento valutativo adottato (v., da ultimo, Cass., 30/5/2014, n. 12265; Cass., 19/2/2013, n. 4047; Cass., 6/5/2009, n. 10401), al fine di consentire il controllo di relativa logicità, coerenza e congruità. I criteri di valutazione equitativa, la cui scelta ed adozione è circa la relativa produzione in giudizio.

Atteso che con particolare riferimento alla liquidazione equitativa (financo nella sua forma c.d. “pura”), deve tenersi in considerazione che come detto – essa consiste in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto, si è da questa Corte posto in rilievo come il giudice, pur nell’esercizio di un potere di carattere discrezionale, sia chiamato a dare in motivazione conto della operata valutazione di ciascuno di essi, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi del danno effettivo e dell’integralità del risarcimento.

Con la conseguenza che, ove non siano indicate le ragioni dell’operato apprezzamento e non siano richiamati gli specifici criteri utilizzati nella liquidazione, la sentenza incorre nel vizio di nullità per difetto di motivazione (v. Cass., 13/9/2018, n. 22272).

Com’è noto, in tema di risarcimento del danno non patrimoniale da sinistro stradale idonea soluzione si è ravvisata essere invero quella costituita dal sistema delle tabelle (v. Cass., 7/6/2011, n. 12408; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972. V. altresì Cass., 13/5/2011, n. 10527).

Lo stesso legislatore, oltre alla giurisprudenza, ha fatto ad esse espressamente riferimento.

In tema di responsabilità civile da circolazione stradale, il D.Lgs. n. 209 del 2005, ha introdotto la tabella unica nazionale per la liquidazione delle invalidità c.d. micropermanenti.

In assenza di tabelle normativamente determinate, ad esempio per le c.d. macropermanenti e per le ipotesi come nella specie diverse da quelle oggetto del suindicato D.Lgs., il giudice fa normalmente ricorso a tabelle elaborate in base alle prassi seguite nei diversi tribunali (per l’affermazione che tali tabelle costituiscono il c.d. “notorio locale” v. in particolare Cass., 1/6/2010, n. 13431), la cui utilizzazione è stata dalle Sezioni Unite avallata nei limiti in cui, nell’avvalersene, il giudice proceda ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno non patrimoniale, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, al fine “di pervenire al ristoro del danno nella sua interezza” (v. Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972).

Preso atto che le Tabelle di Milano sono andate nel tempo assumendo e palesando una “vocazione nazionale”, in quanto recanti i parametri maggiormente idonei a consentire di tradurre il concetto dell’equità valutativa, e ad evitare (o quantomeno ridurre) – al di là delle diversità delle condizioni economiche e sociali dei diversi contesti territoriali – ingiustificate disparità di trattamento che finiscano per profilarsi in termini di violazione dell’art. 3 Cost., comma 2, questa Corte è pervenuta a ritenerle valido criterio di valutazione equitativa ex art. 1226 c.c., delle lesioni di non lieve entità (dal 10% al 100%) conseguenti alla circolazione (v. Cass., 7/6/2011, n. 12408; Cass., 30/6/2011, n. 14402).

Le tabelle, siano esse giudiziali o normative, costituiscono dunque strumento senz’altro idoneo a consentire al giudice di dare attuazione alla clausola generale posta all’art. 1226 c.c. (v. Cass., 19/5/1999, n. 4852).

Come questa Corte ha già avuto modo di porre in rilievo, si è al riguardo per lungo tempo esclusa la necessità per il giudice di motivare in ordine all’applicazione delle tabelle in uso presso il proprio ufficio giudiziario, essendo esse fondate sulla media dei precedenti del medesimo, e avendo la relativa adozione la finalità di uniformare, quantomeno nell’ambito territoriale, i criteri di liquidazione del danno (v. Cass., 2/3/2004, n. 418), dovendo per converso adeguatamente motivarsi la scelta di avvalersi di tabelle in uso presso altri uffici (v. Cass., 21/10/2009, n. 22287; Cass., 1/6/2006, n. 13130; Cass., 20/10/2005, n. 20323; Cass., 3/8/2005, n. 16237).

Essendo la liquidazione del quantum dovuto per il ristoro del danno non patrimoniale inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimazione, si escludeva altresì che l’attività di quantificazione del danno fosse di per sè soggetta a controllo in sede di legittimità, se non sotto l’esclusivo profilo del vizio di motivazione, in presenza di totale mancanza di giustificazione sorreggente la statuizione o di macroscopico scostamento da dati di comune esperienza o di radicale contraddittorietà delle argomentazioni (cfr. Cass., 19/5/2010, n. 12918; Cass., 26/1/2010, n. 1529).

In particolare laddove la liquidazione del danno si palesasse manifestamente fittizia o irrisoria o simbolica o per nulla correlata con le premesse in fatto in ordine alla natura e all’entità del danno dal medesimo giudice accertate (v. Cass., 16/9/2008, n. 23725; Cass., 2/3/2004, n. 4186; Cass., 2/3/1998, n. 2272; Cass., 21/5/1996, n. 4671).

La Corte Suprema di Cassazione è peraltro successivamente pervenuta a radicalmente mutare tale orientamento.

La mancata adozione da parte del giudice di merito delle Tabelle di Milano in favore di altre, ivi ricomprese quelle in precedenza adottate presso la diversa autorità giudiziaria cui appartiene, si è ravvisato integrare violazione di norma di diritto censurabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (v. Cass., 7/6/2011, n. 12408), peraltro precisandosi che i parametri delle Tabelle di Milano sono da prendersi a riferimento da parte del giudice di merito ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale, ovvero quale criterio di riscontro e verifica di quella di inferiore ammontare cui sia diversamente pervenuto, essendo incongrua la motivazione che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui l’adozione dei parametri esibiti dalle dette Tabelle di Milano consente di pervenire (v. Cass., 30/6/2011, n. 14402. E, conformemente, Cass., 20/8/2015, n. 16992; Cass., 19/10/2016, n. 21059).

Avuto in particolare riferimento al sistema delle tabelle, si è da questa Corte ulteriormente precisato che il giudice di merito deve dare adeguatamente conto dei criteri posti a base del procedimento valutativo seguito per addivenire all’adottata liquidazione, indicando il parametro standard adottato; come sia stato esso individuato; quali siano i relativi criteri ispiratori e le modalità di calcolo; quale sia l’incidenza al riguardo assegnata ai parametri considerati; le ragioni della mancata considerazione di altri parametri, a fortiori in caso di discostamento in diminuzione dal dato esibito dalle Tabelle di Milano (cfr. Cass., 4/2/2016, n. 2167).

Ciò al fine di consentire il controllo di relativa logicità, coerenza e congruità, e di evitare che la valutazione risulti sostanzialmente arbitraria non potendo al riguardo invero valorizzarsi tutto generiche ed apodittiche indicazioni.

Per altro verso, trattandosi di debito di valore ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale delle Tabelle di Milano vanno dal giudice utilizzati i parametri “vigenti” al momento dell’emissione della propria decisione (v. Cass., 28/6/2018, n. 17018; Cass., 4/2/2016, n. 2167; Cass., 27/11/2015, n. 24210; Cass., 5/5/2015, n. 19211; Cass., 23/1/2014, n. 1361; Cass., 17/4/2013, n. 9231; Cass. 11/5/2012, n. 7272), sicchè allorquando le Tabelle applicate per la liquidazione del danno non patrimoniale cambino nelle more tra l’introduzione del giudizio e la sua decisione, il giudice (anche d’appello) ha l’obbligo di utilizzare i parametri vigenti al momento della pronunzia (cfr. Cass., 28/2/2019, n. 5801; Cass., 28/6/2018, n. 17018; Cass., 13/12/2016, n. 25485; Cass., 29/9/2015, n. 19211; Cass., 6/3/2014, n. 5254).

Si è per altro verso precisato che ove la liquidazione del danno da fatto illecito extracontrattuale sia effettuata “per equivalente”, con riferimento, cioè, al valore del bene perduto dal danneggiato all’epoca del fatto illecito, e tale valore venga poi espresso in termini monetari che tengano conto della svalutazione intervenuta fino alla data della decisione definitiva (anche se adottata in sede di rinvio), è dovuto al danneggiato anche il risarcimento del mancato guadagno, che questi provi essergli stato provocato dal ritardato pagamento della suddetta somma (v. Cass., 5/3/2020, n. 6166).

Tale prova può essere offerta dalla parte e riconosciuta dal giudice mediante criteri presuntivi ed equitativi, quale l’attribuzione degli interessi, ad un tasso stabilito valutando tutte le circostanze obiettive e soggettive del caso; in siffatta ultima ipotesi, gli interessi non possono essere calcolati (dalla data dell’illecito) sulla somma liquidata per il capitale, definitivamente rivalutata, mentre è possibile determinarli con riferimento ai singoli momenti (da stabilirsi in concreto, secondo le circostanze del caso) con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base ai prescelti indici di rivalutazione monetaria, ovvero in base ad un indice medio (v. Cass., Sez. Un., 17/2/1995, n. 1712, e conformemente, Cass., 17/9/2015, n. 18243, nonchè da ultimo, Cass., 5/3/2020, n. 6166).

Orbene, nell’affermare che “appare congruo” l’importo liquidato dal giudice di prime cure, “in considerazione dei valori indicati nelle Tabelle in uso all’epoca in cui è stato liquidato il danno nel distretto”, la corte di merito ha nell’impugnata sentenza invero disatteso i suindicati principi.

Della medesima – inammissibile 1 motivo (in quanto formulato in violazione del requisito richiesto all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nonchè dell’art. 360 bis c.p.c., costituendo principio affermato nella giurisprudenza di legittimità che, a differenza dei debiti (artt. 752,754 c.c.), i crediti del de cuius non si dividono automaticamente tra i coeredi in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria (arg. artt. 752,757 c.c.) (v. Cass., 24/8/2012, n. 14629. E già Cass., 13/10/1992, n. 11128), sicchè anche senza il consenso espresso (che può presumersi) degli altri coeredi (cfr. Cass., 30/9/2011, n. 20046) ciascun erede può agire singolarmente per far valere l’intero credito comune (o la sola quota proporzionale alla quota ereditaria), non essendo necessario integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri coeredi (v. Cass., 28/11/2007, n. 24657, ove si precisa che resta ferma la possibilità per il convenuto debitore di chiedere l’intervento di questi ultimi in presenza dell’interesse all’accertamento nei confronti di tutti della sussistenza o meno del credito, ipotesi invero non ricorrente nella specie. Cfr. altresì Cass., 16/4/2013, n. 9158)), e assorbiti ogni altra questione e diverso profilo-s’impone pertanto la cassazione in relazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo dei suindicati disattesi principi applicazione.

Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie p.q.r. il ricorso. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Perugia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2020

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