Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8506 del 14/04/2011

Cassazione civile sez. II, 14/04/2011, (ud. 01/02/2011, dep. 14/04/2011), n.8506

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17100/2005 proposto da:

F.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA DI PRISCILLA 4, presso lo studio dell’avvocato COEN

Stefano, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

F.G.;

– intimato –

sul ricorso 19942/2005 proposto da:

F.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA NIZZA 59, presso lo studio dell’avvocato BATTAGLIA EMILIO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato BONINI MAURO

CARLO;

– controricorrente e ric. incidentale –

contro

F.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA DI PRISCILLA 4, presso lo studio dell’avvocato COEN

STEFANO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente al c/ric. e ric. incidentale –

avverso la sentenza n. 662/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 08/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

01/02/2011 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito l’Avvocato COEN STEFANO difensore della ricorrente nonchè

controricorrente al controricorso e ricorso incidentale che si

riporta agli atti;

udito l’Avvocato BONINI MAURO CARLO difensore del controricorrente e

ricorrente incidentale che si riporta agli atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Alla morte della madre M.C., F.R. notificava al fratello G. tre distinti atti di citazione, il 13 aprile 1994, il 1 dicembre 1995 e il 10 maggio 1999.

Con il primo chiedeva di essere reintegrata nella propria quota di legittima lesa dal testamento olografo del 2 marzo 1993, con il quale era stato assegnato al fratello l’immobile sito in (OMISSIS).

Con il secondo assumeva che tale testamento era stato revocato con successiva scheda del 4 aprile 1993.

Con il terzo chiedeva la condanna del fratello a restituire quanto prelevato dal conto corrente intestato alla madre.

F.G. resisteva e in via riconvenzionale chiedeva, tra l’altro, la divisione dell’immobile sito in (OMISSIS) di proprietà del padre O., deceduto nel (OMISSIS). Riunite le cause, il tribunale di Busto Arsizio con sentenza del 20 maggio 2002 attribuiva a F.G.:

a) l’intero immobile di (OMISSIS) con conguaglio alla sorella di circa L. 25 milioni.

b) la porzione al piano terra rialzato della casa di (OMISSIS) con parti comuni indivise e la metà del giardino condominiale e conguaglio alla sorella di circa L. 54 milioni.

Attribuiva a R.:

a) i terreni in (OMISSIS);

o) il primo piano dell’immobile di (OMISSIS) con le pertinenze.

Su appello di F.G. e impugnazione incidentale di R., la Corte d’appello di Milano con sentenza 8 marzo 2005, notificata il 29 aprile 2005, riteneva che R. non avesse proposto la domanda di divisione, ma solo chiesto la reintegrazione della quota di legittima.

Annullava le assegnazioni dei beni alle parti relative alla eredità materna. Accertava che il corrispettivo all’uso gratuito dell’appartamento di (OMISSIS) attribuito dalla madre alla figlia R. rientrava nell’asse ereditario.

Escludeva dalla riunione fittizia le spese nuziali sostenute dalla madre per il figlio G.. Conseguentemente rigettava la domanda reintegrazione della quota di legittima.

F.R. il 20 giugno 2005 ha proposto ricorso per cassazione, affidandosi a sette motivi.

G. ha resistito con controricorso e ricorso incidentale notificato il 29 luglio 2005, al quale R. ha resistito con controricorso notificato l’11 ottobre 2005.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi devono essere riuniti ex art. 335 c.p.c..

Il primo motivo del ricorso principale proposto da F.R. lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 981 e 649 c.c., per avere la sentenza incluso nell’asse ereditario l’uso a titolo gratuito dell’appartamento di (OMISSIS) di cui la ricorrente aveva beneficiato per 5 anni. La censura sembra imperniata sulla circostanza che, essendo la F. già nel godimento del bene al momento della morte del padre O., ella avrebbe mantenuto tale beneficio in forza di un diritto proprio. Sostiene infatti che la madre usufruttuaria non avrebbe richiesto il possesso del bene, valendo così la destinazione e il titolo impressi dall’originario proprietario.

La tesi, invero singolare, non sostanzia un motivo ammissibile nè fondato. Dalla sentenza impugnata non emerge che la questione fosse stata posta in sede di appello: è quindi questione nuova, come tale inammissibile. Inoltre la Corte territoriale ha ritenuto che l’usufruttuaria abbia lasciato la figlia nel godimento del bene quale attribuzione per spirito di liberalità e che R. non avesse dato prova di un diverso motivo in forza del quale era stata così beneficiata. Rispetto a questa argomentazione, del tutto apoditticamente viene teorizzato il mancato ingresso nel patrimonio materno dell’usufrutto del bene, ipotesi che presuppone un accertamento di fatto (la mancata acquisizione del possesso, acquisizione che non richiede l’estromissione materiale dell’abitante un immobile di cui si acquisisce l’usufrutto), che in sentenza non risulta effettuato.

Il secondo motivo espone violazione e falsa applicazione degli artt. 7 41 e 742 e vizi di motivazione nella parte in cui la sentenza ha ritenuto che le spese nuziali sostenute per un terzo dalla madre per il figlio G. non dovessero essere inserite nella riunione fittizia, trattandosi di liberalità d’uso.

Il motivo è infondato. Esso in primo luogo è inadeguatamente sviluppato, perchè neppure sì preoccupa di specificare l’ammontare de le spese nuziali di cui si discute. Oltre a questa di per sè decisiva circostanza, va osservato che la doglianza muove dal presupposto che la de cuius potesse disporre solo di modesta pensione e che i beni immobili non producessero reddito, ma non tiene conto del fatto che: a) la consistenza del patrimonio immobiliare va considerata al fine di stabilire se le spese sostenute per nozze rientrino nell’ordinarietà, ditalchè rilevava nella specie un patrimonio costituito da più immobili, tali addirittura da consentire di attribuire in comodato pluriennale alla figlia il godimento di una casa da abitazione; b) la disponibilità di danaro della de cuius era significativa, se comprendeva la ingentissima somma – L. 143 milioni – di cui si discute al terzo motivo; pertanto la valutazione della Corte territoriale appare immune da vizi logici, come tale incensurabile in sede di legittimità.

Il terzo motivo espone violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., e vizio motivazione laddove la sentenza ha escluso dall’asse ereditario la somma di circa 143 milioni, prelevata dal conto corrente materno, ritenendo che fosse stata reimpiegata per la ristrutturazione del fabbricato in (OMISSIS), costata L. 183 milioni.

Il ricorso muove dall’assunto che mancherebbe la prova che G. avesse usato per la ristrutturazione i soldi della mamma e non i propri. Avvalora questa tesi con quanto in proposito scritto nel testamento del 2 marzo 1993, ove la de cuius aveva specificato che il figlio G. aveva provveduto a sue spese e evidenziando che G. aveva sostenuto di aver usato soldi propri e prodotto elenco cronologico di queste spese. Il motivo è infondato per la sua irrilevanza nel computo ai fini divisionali e conseguente mancanza di interesse. Parte ricorrente, nel riassumere i conteggi (cfr. pag. 17 del testo del ricorse), riconosce che per evitare la duplicazione si dovrebbe detrarre dal valore della casa ristrutturata quanto speso da G., e quindi 183 milioni, come ritenuto dai giudici di merito. Dunque i 143 milioni provenienti dal conto corrente materno entrerebbero nell’asse perchè ereditati dai fratelli, ma ne uscirebbero perchè da restituire a G. quale parte del costo da lui sostenuto.

Il risultato sarebbe il medesimo.

Con il quarto motivo è lamentata omessa e insufficiente motivazione in ordine alla valutazione di circa Euro 117 mila (in luogo di L. 33 milioni) attribuita al terreno distinto dal mappale 205 all’epoca di apertura della successione. La censura è fondata. La Corte d’appello ha ritenuto che il ctu avesse commesso un palese errore di valutazione con questa motivazione: “valutata la particolare destinazione urbanistica dell’area a localizzazione di impianti sportivi”. Ha così accolto una doglianza di F.G., basata sul prezzo di vendita del bene, che risaliva però, osserva il ricorso, al 2004 e non al a data di apertura della successione, cui la sentenza si è riferita.

Fondatamente il ricorso lamenta pertanto l’insufficienza di tale motivazione, che prescinde dagli elementi caratterizzanti l’area, dettagliatamente esposti nel motivo e desumibili da una certificazione UTE e dalla relazione tecnica (allegata al ricorso) acquisita. Essa è sostanzialmente apparente perchè il riferimento alla destinazione urbanistica, priva di una specifica illustrazione della concreta possibilità di valorizzazione di quel terreno, costituisce argomento di per sè privo di portata esplicativa.

Il giudice di merito dovrà più puntualmente valutare le caratteristiche del bene in relazione al periodo considerato rilevante per la decisione, dar conto delle valutazioni tecniche e spiegare adeguatamente se e per quali ragioni sia pervenuto ad attribuire quel valore in relazione alle condizioni effettivamente esistenti al momento suddetto.

Il quinto motivo di ricorso consiste in un ricalcolo del relictum al fine di dimostrare la sussistenza di lesione di legittima esclusa dalla sentenza.

Salvi gli effetti in sede di rinvio che potrebbe sortire in proposito la nuova valutazione richiesta dalla statuizione sul precedente motivo (m tali limiti la censura è quindi da considerare assorbita), la doglianza appare inammissibile perchè, senza adeguata spiegazione, puntualmente da riferire ai dati esposti indicando specificamente la provenienza e il riscontro negli, atti, si fonda su una pretesa (44 mila Euro), circa la lesione di legittima, addirittura molto maggiore di quella che era stata esposta in sede di appello, ove la lesione stessa (cfr. sentenza pag. 13 quart’ultimo rigo) era quantificata in 14.247,17 Euro.

Con il sesto motivo la F. si duole (violazione e falsa applicazione degli artt. 457, 588 e 734 c.c.) che la Corte d’appello abbia respinto il di lei appello incidentale, ritenendo assorbite “le ulteriori questioni relative all’eredità materna”. Lamenta la mancata condanna del fratello alla corresponsione di metà dell’importo prelevato dai conti correnti dalla madre, somme di danaro di cui al testatrice non aveva disposto e che avrebbero dovuto essere divise.

Anche questa censura è inammissibile. Essa infatti non affronta un punto decisivo che osta alla richiesta divisione e che giustifica l’assorbimento delle altre doglianze formulate in sede di appello. A pag. 7 e 8 della sentenza impugnata si legge infatti: a) che F. R. non aveva mai formulato domanda di divisione, ma solo di reintegrazione della propria quota di legittima; biche non era stato impugnato il capo della sentenza del tribunale che aveva attribuito solo a G. la qualità di erede e a R. la qualità di legataria, statuizione “passata in giudicato”; che di divisione si sarebbe potuto parlare solo nella eventualità di accoglimento della domanda di riduzione, domanda che è stata rigettata dalla Corte milanese.

Coerente con questa decisione è quindi la decisione della Corte stessa di ritenere assorbita la richiesta di divisione di somme della de cuius; queste infatti non entravano a far parte di quell’asse eccedente la quota spettante a G. quale erede e quindi da dividere – solo eventualmente – con R., destinataria di legati che non dovevano ex lege essere inferiori alla quota di riserva.

Così come proposta, la censura è quindi fuori bersaglio. Da ultimo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1224 c.c., per non avere la Corte concesso la rivalutazione monetaria del conguaglio spettantele in relazione alle divisioni dell’immobile sito in (OMISSIS) (di provenienza paterna) e di quello sito in (OMISSIS). Lamenta che la Corte d’appello non abbia di ufficio aggiornato l’ammontare di dette somme in relazione al diminuito potere di acquisto della moneta.

La censura è priva di fondamento.

La Corte d’appello ha respinto tale pretesa sul rilievo – che il ricorso non ha neppure provato a smentire – che non era stato assolto l’onere di allegazione e prova dei presupposti di fatto su cui si deve basare l’eventuale rivalutazione. In proposito la giurisprudenza insegna, come è noto alla stessa ricorrente, che ne fa cenno, che detta rivalutazione è dovuta se e nei limiti in cui l’eventuale svalutazione si sia tradotta in una lievitazione del prezzo di mercato del bene tale da comportare una chiara sproporzione nel valore delle quote di cui sono titolari i condividenti; con la precisazione che l’esistenza di poteri officiosi del giudice non esclude che la parte sia comunque tenuta ad allegare l’avvenuta verificazione di tale evento (V. Cass 10624/10; 12702/07).

Ricorso incidentale.

Conviene esaminare a questo punto il ricorso incidentale, muovendo dal secondo motivo, atteso che il primo, relativo alla liquidazione delle spese di lite, resta assorbito dall’accoglimento di alcune delle censure accolte in seguito all’odierno esame dei due ricorsi.

Il secondo motivo è esposto “cautelativamente” dal ricorrente incidentale. Esso concerne la statuizione sugli interessi da F. G. dovuti alla sorella su un conguaglio divisionale. Il ricorso evidenzia che la sentenza di primo grado aveva fissato la decorrenza dal 1 agosto 1997; che la decisione era stata impugnata e che la Corte d’appello ha, in motivazione, definito corretta la maggiorazione degli interessi legali con decorrenza dalla data di attribuzione del bene; che detta statuizione corrisponde a quanto richiesto con l’appello, ma non ha trovato riscontro esplicito nel dispositivo della sentenza d’appello.

La cautela, di parte ricorrente incidentale è comprensibile, ma, se rettamente interpretata, la motivazione della Corte d’appello, non specificamente contraddetta dal dispositivo, gli rende già ragione della sua fondata doglianza in grado di appello.

Pacifico è che, in caso di divisione giudiziale di un bene indivisibile o non comodamente divisibile mediante assegnazione ad uno dei condividenti tenuto ad operare conguagli in denaro, gli interessi sulle somme dovute decorrono dal momento in cui l’assegnatario è tenuto al versamento, cioè dall’assegnazione del bene mentre, per il periodo precedente, tutti i condividenti hanno diritto pro quota alle rendite del bene (Cass 12702/07; 6653/03;

5606/01). La sentenza d’appello va quindi interpretata nel senso che la motivazione, corrispondente a questo insegnamento, ha esplicitato, ancorchè abbia contraddittoriamente esaminato e accolto la doglianza e ritenuto che il tribunale si fosse espresse in tal senso. Il motivo va quindi respinto perchè la sentenza è interpretata nel senso voluto dal ricorrente incidentale.

Il ricorso incidentale comprende altre due censure, questa volta condizionate; esse sono da esaminare, essendo stato accolto un motivo del ricorso principale.

La prima (terzo motivo) attiene al vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello nel confermare la determinazione del valore del fabbricato di (OMISSIS).

La seconda concerna la decisione d’appello sulla considerazione di una pelliccia materna pervenuta alla sorella.

Entrambe le censure meritano accoglimento.

La sentenza d’appello nell’uno e nell’altro caso è apodittica, viziata da omessa motivazione; essa infatti, quanto al terreno, si è limitata a ritenere immune da vizi logici la valutazione del primo giudice, fondata sulle risultanze della ctu, ritenuta “attendibile”.

Non ha quindi risposto alla lunghe e dettagliate osservazioni formulate nel corso del giudizio di appello, congruamente narrate nell’odierno ricorso ai fini dell’autosufficienza del ricorso steso.

La Corte territoriale si è sottratta all’obbligo di motivazione anche con riguardo (quarto motivo) alla pelliccia divisone, oggetto del settimo motivo di appello di F.G.. Ha ritenuto che nessuna prova sia stata fornita dell’esistenza della pelliccia e della sua attribuzione a R..

Parte ricorrente incidentale indica però, riportandole testualmente, due risultanze di segno contrario, rimaste non valutate; trattasi di documenti tempestivamente prodotti in causa, in cui F.R. e il suo avvocato davano atto dell’avvenuta consegna di pellicce e, nel primo, descrivevano una pelliccia di visone lungo. Della produzione di quest’ultimo (doc. 17 prodotto con memoria autorizzata avv. Bovini avanti al tribunale per l’udienza del 3 maggio 2000) si trova riscontro nel ricorso di F.R., che ha fotocopiato e unito al proprio ricorso (dopo la decima pagina di testo) detta memoria.

Conclusivamente va accolto il quarto motivo del ricorso principale e, salvo il conseguente possibile assorbimento parziale del quinto, rigettati gli altri.

Va rigettato il secondo motivo del ricorso incidentale. Accolti il terzo e quarto; dichiarato assorbito il primo.

La sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti e la cognizione rimessa ad altra Sezione della Corte d’appello di Milano, che dovrà nuovamente motivare in relazione alle questioni poste dai motivi accolti. Provvederà anche sulle spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso principale, rigettati gli altri.

Rigetta il secondo motivo del ricorso incidentale. Accolti il terzo e quarto; assorbito il primo.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Corte d’appello di Milano.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 1 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2011

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