Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8505 del 14/04/2011

Cassazione civile sez. II, 14/04/2011, (ud. 26/01/2011, dep. 14/04/2011), n.8505

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CAMOZZI 1, presso lo studio dell’avvocato GIUFFRE’ ADRIANO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAGANI STEFANO;

– ricorrente –

contro

F.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA CESARE FRACASSINI 4, presso lo studio dell’avvocato NERI

ALESSANDRA, rappresentato e difeso dall’avvocato MAGNANI PIER

VITTORIO;

– controricorrente –

e contro

SAN MARTINO Societa’ Semplice, in persona dei soci e legali

rappresentanti G.M.L. in P., G.

P. in Q. e P.G.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 62/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 24/01/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/01/2011 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato Giuffre’ Francesca con delega depositata in udienza

dell’Avv. Giuffre’ Adriano difensore del ricorrente che si riporta

agli atti;

udito l’Avv. Neri Alessandra con delega depositata in udienza

dell’Avv. Magnani Pier Vittorio difensore del resistente che si

riporta agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A.= B.A. e la societa’ semplice San Martino nel 1993 convenivano in giudizio, davanti al Tribunale di Biella, C. M. per chiedere la risoluzione, per inadempimento del convenuto, del contratto preliminare stipulato tra le parti nel mese di luglio del 1981, con il quale ciascuna di esse per prezzo distinto promise di vendere a C.M. che promise di acquistare per se’ o per persona o societa’ da nominare, la quota a ciascuna dei promittenti spettante e che nel suo intero formava i 4/5 di un terreno in (OMISSIS). Il residuo quinto di proprieta’ era stato promesso in vendita allo stesso C.M. dalla titolare C.R. per un prezzo specificamente determinato.

Gli attori a sostegno della loro domanda deducevano che il convenuto si era reso inadempiente verso di loro, promittenti venditori, poiche’ non si era mai presentato davanti al notaio per la stipula del definitivo benche’ numerose volte sollecitato ed anche diffidato.

Si costituiva C.M., che eccepiva di non aver mai aderito alle convocazioni delle attrici perche’ queste pretendevano un corrispettivo maggiorato della rivalutazione monetaria dal 30 luglio 1981 alla data del rogito e non dal 30 luglio 1981 al 28 febbraio 1982, giusta espressa previsione contenuta nella scrittura contrattuale. Aggiungeva che i promittenti venditori non avevano mai provato di aver inviato ai confinanti aventi diritto di prelazione, rituale offerta per l’esercizio del diritto di prelazione, che un vicino, certo Pe.Gi., aveva manifestato intenzione di advenire all’acquisto del terreno. Il Tribunale di Biella con sentenza del 23 gennaio 2002, accoglieva la domanda delle attrici:

dichiarava la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del convenuto.

B.= Avverso tale sentenza proponeva appello, davanti alla Corte di Appello di Torino, C.M., che chiedeva la riforma della sentenza e il rigetto delle domande contro di lui proposte, deducendo tre motivi di censura:

1) eccependo che la svalutazione monetaria era stata richiesta per un periodo diverso da quello previsto nel contratto;

2) che non era stata data prova del mancato esercizio del diritto di prelazione;

3) che il contratto de quo non poteva essere parzialmente risolto, avendo in oggetto un’obbligazione indivisibile. Si costituivano in giudizio F.G., quale erede della signora B. A. e la societa’ semplice San Martino i quali chiedevano il rigetto dell’appello. La Corte di Appello di Torino con sentenza n. 62/05 del 30 aprile 2004 rigettava l’appello. La Corte di Appello di Torino evidenziava: a) che era corretta la richiesta della rivalutazione monetaria fino alla data di stipula del contratto definitivo; b) che il C. non aveva mai inteso advenire alla stipula del contratto definitivo; c) che era stata comunicata al confinante del terreno in vendita la stipula del preliminare; d) che il preliminare prevedeva prezzi distinti, percio’, non poteva parlarsi di un’unica promessa di vendita, ma di distinte promesse di vendita contenute in un unico contesto scritto.

C= Per la cassazione di tale sentenza ricorre C.M. per tre motivi consegnati all’atto di ricorso notificato il 25 giugno 2005, Resiste F.G. con controricorso notificato il 13 settembre 2005. Non risulta costituita la societa’ San Martino con sede in (OMISSIS).

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.= Con il primo motivo C.M. lamenta – come da rubrica:

Violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1224, 1362 cod. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 nonche’ omessa insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine allo stesso punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Avrebbe errato la Corte di Appello di Torino, secondo il ricorrente, nell’aver omesso di valutare contrariamente al disposto di cui all’art. 1362 cod. civ. – quanto espressamente previsto dalle parti all’art. 2, par. 2 del contratto preliminare di vendita, laddove e’ detto che “Le somme dovute all’immobiliare San Martino, e alla sig.ra B. entro il 28 febbraio 11982 saranno suscettibili di variazione in rapporto all’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati tra la data del 30 luglio 1981 e quella del 28 febbraio 1982”. La Corte territoriale, sempre secondo il ricorrente, avrebbe commesso, anche, un errore in fatto perche’, non ha tenuto conto che con la lettera del 18 febbraio 1992 i promittenti venditori chiedevano una somma di L. 5.964.000 sul residuo prezzo di 16.000.000 e, dunque, non solo gli interessi ma, anche, la rivalutazione.

1.1= La censura e’ fondata e merita di essere accolta, perche’ la Corte territoriale, nell’interpretare la clausola de qua, non ha tenuto conto dell’effettiva “comune intenzione delle parti”, cosi’ come risulta dal contesto contrattuale.

1.2.= Dottrina e Giurisprudenza concordano nel ritenere che, ai sensi dell’art. 1362 cod. civ., l’oggetto dell’interpretazione del contratto non e’ la puntuale ricostruzione storica della volonta’ degli stipulanti, ma l’identificazione della comune intenzione delle parti”, quale effettivo assetto degli interessi perseguito dalle parti, cosi’ come ricostruibile tenuto conto della formulazione negoziale, dei comportamento complessivo (delle parti), nonche’ di ogni ulteriore elemento extratestuale utile ad individuare un contenuto contrattuale equo ed equilibrato (giusto l’art. 1366 cod. civ.).

Ora, avuto riguardo all’ipotesi in esame un primo dato che emerge, tenuto conto del rapporto tra la clausola de qua e la data della stipula del contratto definitivo, e’ quello che le parti hanno ritenuto di rinviare la determinazione dell’esatto corrispettivo della vendita al tempo della stipula del contratto definitivo.

Tuttavia quella clausola si inserisce nel piu’ vasto contesto dell’assetto degli interessi voluto dalle parti, il quale e’ stato delimitato nel tempo, o se si vuole da “un tempo” quello della data ultima della stipulazione del contratto definitivo. Questo significa che entro l’arco di tempo utile per la stipulazione del contratto definitivo (il 28 febbraio 1982), le parti hanno convenuto di rinviare la determinazione effettiva del prezzo della vendita al momento dell’effettiva stipula del contratto di compravendita ritenendo di aumentare il prezzo concordato in ragione della svalutazione monetaria eventualmente intervenuta, ma, oltre la data ultima della stipula del contratto, l’assetto degli interessi voluto dalle parti perdeva (o avrebbe perduto) ogni efficacia e valenza giuridica, con l’ulteriore conseguenza, per quel che qui interessa, che anche la clausola relativa alla rivalutazione del prezzo non poteva (o non avrebbe potuto) mantenere efficacia, oltre il limite temporale contrattualmente predeterminato in modo esplicito. Se il promissorio venditore avesse voluto stipulare l’atto di compravendita definitivo anche nell’ipotesi di inadempimento del promissario acquirente (comunque oltre la data stabilita, per il definitivo), non per questo avrebbe restituito piena efficacia alla clausola della rivalutazione (del prezzo di vendita) perche’ quell’efficacia era definitivamente consumata, e, comunque, non piu’ sostenuta da un esplicito e necessario accordo.

1.3.= La Corte territoriale e prima ancora il Tribunale di Biella, pur applicando i principi relativi all’interpretazione del contratto non hanno tenuto conto – e avrebbero dovuto – che l’assetto degli interessi che le parti avevano consegnato alla scheda contrattuale trovava – e non poteva non trovare – una importante delimitazione temporale, e il tempo, quale co-elemento identificativo di qualunque fattispecie giuridica, nel caso concreto, non consentiva di estendere – come la Corte territoriale ha ritenuto – l’efficacia di quella clausola, oltre i limiti stabiliti dalle parti. Il tempo successivo alla data ultima entro la quale avrebbe dovuto essere stipulato il contratto definitivo andava considerato, in verita’, quale tempo dell’inadempimento contrattuale con tutte le conseguenze che cio’ comportava.

2.= Con il secondo motivo C.M. lamenta – come da rubrica – Violazione e falla applicazione degli artt. 1362 e 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine allo stesso decisivo punto della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Avrebbe errato la Corte di Appello di Torino, secondo il ricorrente, a) nel non aver considerato che controparte non ha fornito, al promissorio acquirente, prova alcuna in ordine alla comunicazione dell’avvenuta denuntiatio; b) per aver omesso di valutare quanto espressamente e, letteralmente previsto nel contratto, ovvero che il contratto avrebbe esplicato i suoi effetti, solo se i proprietari dei terreni confinanti ( Pe.Gi. e Pa., Ma.An., Ir. e Pi.) non avessero esercitato il diritto di prelazione; c) nel non aver considerato l’affidamento che C. M. ha riposto nell’indicazione letterale della clausola di cui si e’ appena detto. In particolare chiarisce il ricorrente che la parte promittente venditrice avrebbe avuto, l’onere – non assolto – di comprovare tempestivamente al promissorio acquirente di aver provveduto alla notifica della proposta di alienazione agli aventi diritto di prelazione. Il cenno fatto nella sentenza della Corte territoriale alla sola esistenza della lettera del 7 settembre 1981 inviata ad uno di coloro che avevano diritto della prelazione non pare – ritiene il ricorrente – sufficiente motivazione sul punto. La produzione in giudizio di quella lettera, prova soltanto la sua esistenza ed, eventualmente, la data in cui essa e’ stata inviata al Pe.Gi., ma nulla dimostra relativamente all’effettivita’ della notizia che di essa denuntiatio sia stata data al promissario acquirente. D’altra parte considerato che i soggetti indicati dal contratto preliminare siccome aventi diritto di prelazione non era solo il signor Pe., ma anche altri, per gli altri la parte promittente venditrice non ha dato dimostrazione di aver notificato la proposta dell’alienazione. Non solo, ma considerata la clausola de quo, avrebbe errato la Corte territoriale – sempre secondo il ricorrente – nel non aver considerato che il promissario acquirente abbia riposto nel significato letterale di quella clausola il proprio affidamento, che di per se’ giustifica il rifiuto di addivenire alla stipula del contratto definitivo.

2.1.= Questa censura e’ fondata ed essa va accolta per quanto di ragione.

2.2.= Intanto la censura in ordine alla mancata prova della regolarita’ della denuntiatio al confinante, non coglie un profilo significativo della sentenza perche’ la mancata prova, e’ irrilevante dal momento che, come afferma la sentenza impugnata vi sarebbe stata la rinunzia dello stesso confinante. Piuttosto la stipulazione del contratto definitivo era subordinato al mancato esercizio della prelazione da parte dei vari confinanti nominativamente in esso indicati. Sicche’ di fronte ad una rinunzia proveniente da uno solo di essi, legittimamente l’attuaLe ricorrente si e’ rifiutato di stipulare il contratto definitivo non avendo i promittenti venditori dimostrato che gli originari confinanti si erano ridotti ad uno solo.

La prova offerta dal promittente venditore che i confinanti si erano ridotti ad uno solo appare insufficiente, nella misura in cui non e’ stato accertato a quale tempo risale la riduzione dei confinanti ad uno, dato che andava dimostrato, o accertato, che quella riduzione era avvenuta in tempo anteriore alla data stabilita per la stipulazione del contratto definitivo e di cui era stata data formale comunicazione al promissario acquirente.

2.2.= E’ giusto il caso evidenziare che, laddove le parti hanno convenuto che il contratto preliminare avesse esplicitato i suoi effetti solo se i proprietari dei terreni confinanti ( Pe.

G. e Pa., Ma.An., Ir. e Pi.) non avessero esercitato il diritto di prelazione, altro non hanno fatto che richiamare nella sua interezza la normativa in materia. La L. 26 maggio 1965, n. 590 “Disposizioni per lo sviluppo della proprieta’ coltivatrice” e la successiva L. 14 agosto 1971, 817 “Disposizioni per il rifinanziamento delle provvidenze per lo sviluppo della proprieta’ coltivatrice, hanno sancito rispettivamente a favore del conduttore coltivatore diretto del fondo offerto in vendita e del proprietario coltivatore diretto confinante, il diritto di prelazione in caso di vendita del fondo da parte del proprietario. Queste disposizioni hanno anche introdotto una disposizione, applicabile in entrambe le ipotesi, che consente al soggetto titolare del diritto di prelazione di esercitare un’apposita, azione giudiziale, definita di riscatto, qualora non sia stato messo in condizione di esercitare il diritto spettantegli. La lesione di tale diritto puo’ avvenire in due distinte ipotesi: la prima e’ quella in cui il proprietario ometta di inviare l’obbligatoria comunicazione con la proposta di alienazione del terreno, la seconda si verifica qualora, pur essendo stata inviata la proposta di alienazione ed il contratto preliminare, il prezzo indicato in questo contratto sia superiore a quello poi effettivamente risultante nel contratto definitivo di compravendita del fondo. Come e’ stato chiarito da questa Corte, in altra occasione: la comunicazione (“notifica”) al coltivatore o al confinante della proposta di alienazione del fondo, ai fini della prelazione di cui alla L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8 e alla L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7, da parte del proprietario venditore, richiede la forma scritta “ad substantiam”, dovendo per legge avvenire attraverso la notifica con lettera raccomandata. La “denuntiatio”, infatti, non e’ solo un atto a contenuto negoziale, ma una vera e propria proposta contrattuale idonea a dare corpo, con l’accettazione da parte del destinatario, alla conclusione del contratto (sent. n. 132 del 31/05/2010). Come emerge da questa normativa: il diritto di prelazione e la stessa comunicazione (notifica) che il proprietario venditore deve al conduttore coltivatore diretto del fondo offerto in vendita e del proprietario coltivatore diretto, seppure preordinati a tutela di questi soggetti tornano utili anche al promittente acquirente nella misura in cui questi accertata l’avvenuta comunicazione ha consapevolezza di non essere esposto ad un’azione di evizione ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1483 c.c..

3.= Con il terzo motivo C.M. lamenta – come da rubrica – Violazione e falsa applicazione degli artt. 1316, 1362 e 1453 c.c..

In relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine allo stesso, decisivo punto della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Avrebbe errato la Corte di Appello di Torino, ritiene ancora il ricorrente – nell’aver ammesso la risoluzione del contratto preliminare, relativamente alle quote di parte attrice laddove quel contratto aveva dato origine ad un’obbligazione indivisibile, come tale insuscettibile di parziale risoluzione. Specifica il ricorrente, che, dalla lettura del contratto de quo emerge chiaramente, che C. M. voleva acquistare il bene in esso indicato nella sua totalita’, ossia il terreno insistente sul foglio 60 mappa 27 del comune di (OMISSIS) e il fatto che tale terreno sia stato indicato in quote e che la vendita, sarebbe stata ripartita secondo le rispettive quote deriva dall’appartenenza del medesimo a tre diversi distinti proprietari cio’ che non fa venire meno il carattere di unitaneta’ del negozio.

3.1.= Questo motivo rimane assorbito dall’accoglimento del secondo.

Tuttavia, e’ il caso di evidenziare che il preliminare de quo non integra gli estremi di un unicum inscindibile ma di vendite contestuali di quote da parte, di singoli comproprietari dato che il preliminare prevede prezzi distinti per le singole quote di proprieta’ cedenti e anche date diverse per la stipula del rogito.

Sono questi elementi sufficienti a qualificare le quote di proprieta’ quali: i beni singoli e individuali ed a distinguere tante distinte promesse di vendita contenute in uno stesso atto di preliminare di vendita.

3.2= Come ha avuto modo di precisare questa Corte, a sezioni unite, (sent. n. 7481 del 1993) nulla esclude che un documento sia formulato in modo, tale che risulti in esso la riproduzione di piu’ contratti preliminari in base ai quali ognuno dei comproprietari si impegna esclusivamente a vendere la propria quota al promissario acquirente in tal caso a meno della previsione di una condizione (risolutiva o sospensiva) della ricorrenza di una ipotesi di collegamento negoziale, la mancata conclusione (o la eventuale invalidita’) di uno dei contratti non si ripercuotera’ sugli altri per cui il promissorio acquirente potra’ pretendere la stipulazione del contratto definitivo dai comproprietari stipulanti relativamente alle quote di cui gli stessi sono titolari. In tale ipotesi non si potra’ parlare di esecuzione parziale di un unico contratto, ma di esecuzione di una parte dei distinti contratti contenuti in un unico documento”.

Cosi’ come, sotto altro aspetto, in queste ipotesi sara’ legittima la richiesta, ove ricorrono i requisiti voluti dalla legge, della risoluzione di una singola promessa contenuta in un documento piu’ complesso.

In definitiva, il ricorso va parzialmente accolto per le ragioni di cui in motivazione.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il primo motivo e anche il secondo, per quanto di ragione, dichiara assorbito il terzo. Cassa e rinvia anche per le spese ad altra sezione della Corte di Appello di Torino.

Cosi’ deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 26 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2011

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