Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8503 del 06/05/2020

Cassazione civile sez. III, 06/05/2020, (ud. 31/10/2019, dep. 06/05/2020), n.8503

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22464/2016 proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio dei Ministri pro tempore, MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’

RICERCA (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, MINISTERO

ECONOMIA FINANZE (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore,

MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

F.M.L. (o M.), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA A. MORDINI, 14, presso lo studio dell’avvocato MARIA

LUDOVICA POLTRONIERI, rappresentata e difesa dall’avvocato VINCENZO

SANTUCCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 965/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 29/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

31/10/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

F.M. (o M.L., v. controricorso), medico iscritto ad un corso di specializzazione per le professioni sanitarie in anni accademici successivi al 1999 ed anteriori al 2006/2007 (corso di specializzazione quinquennale in neuropsichiatria infantile presso l’Università degli Studi di L’Aquila, con iscrizione dall’anno accademico 2001/2002), agì, unitamente ad altri medici, in giudizio nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dell’Università degli Studi di L’Aquila, nonchè del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, del Ministero della Salute e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, per sentir accertare, per quanto riguardava l’attuale ricorrente, il suo diritto a percepire l’aggiornamento degli emolumenti già a lei versati ai sensi del D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 6, con rideterminazione triennale della somma, accertare l’obbligo della Repubblica Italiana, se del caso con la disapplicazione parziale del D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368, con il quale erano state recepite nell’ordinamento italiano le direttive comunitarie n. 75/362, n. 82/76 e n. 93/16 (con le successive integrazioni), ma la cui concreta operatività, agli effetti economici, era stata differita fino all’anno accademico 2006/2007, adottando tutte le misure necessarie ad assicurare il corretto e completo recepimento delle direttive comunitarie e dichiarando l’obbligo dello Stato di estendere le disposizioni di cui della L. 23 dicembre 2005, n. 266, comma 300, anche in favore dell’attrice, in subordine, accertare e dichiarare il diritto dell’attrice ai sensi dell’art. 2043 c.c., al risarcimento del danno per il ritardo con cui era stata data attuazione all’incremento economico disposto dal D.Lgs. n. 368 del 1999.

Si costituirono in giudizio i Ministeri e l’Università convenuti, eccependo, tra l’altro, l’incompetenza per territorio, il difetto di legittimazione passiva, la prescrizione del diritto e chiedendo, nel merito, il rigetto della domanda.

Il Tribunale di L’Aquila, con sentenza non definitiva n. 465/2011, depositata in data 3 giugno 2011, rigettò le eccezioni di difetto di giurisdizione, di incompetenza territoriale, di difetto di legittimazione passiva e di prescrizione, disponendo la prosecuzione del giudizio; con sentenza definitiva n. 692/2013, depositata il 26 novembre 2013, accolse la domanda nei confronti di tutti gli enti convenuti, condannandoli, in solido, al pagamento, in favore della F., della somma ritenuta spettante all’attrice, al cui calcolo quel Giudice era pervenuto a mezzo di una c.t.u. (v. sentenza della Corte di merito, p. 6).

Avverso le già richiamate sentenze del Tribunale l’Università e le Amministrazioni soccombenti proposero impugnazione cui si oppose l’appellata.

La Corte di appello di L’Aquila accolse parzialmente il gravame e, in parziale riforma delle sentenze impugnate, dichiarò il difetto di legittimazione passiva dell’Università di L’Aquila, confermò nel resto le sentenze impugnate e regolò le spese di lite tra le parti.

Avverso la sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione, basato su due motivi, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, il Ministero della Salute e il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Ha resistito con controricorso F.M. (o M.L., v. controricorso).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va disattesa l’eccezione di inammissibilità per tardività del ricorso formulata dalla controricorrente sul rilievo che “come ben evidente dalla pec di comunicazione inviata dalla cancelleria della Corte di Appello di L’Aquila, la sentenza è stata inviata in forma integrale alle parti costituite in data 29.07.2015”, in quanto tale comunicazione non è idonea a far decorrere il termine breve per impugnare.

Ed invero, in difetto di normativa speciale circa la decorrenza del termine breve per proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza impugnata in questa sede, deve trovare applicazione la disposizione generale di cui all’art. 133 c.p.c., comma 2 (come modificato con il D.L. n. 90 del 2014, art. 45, comma 1, lett. b), conv. con modif. dalla L. n. 114 del 2014), che prevede espressamente che la comunicazione da parte della cancelleria del testo integrale della sentenza non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325 c.p.c. (v. Cass., ord., 5/11/2014, n. 23526; v., in tema di impugnazione dell’ordinanza ex art. 702-quater c.p.c., Cass., ord., 22/03/2018, n. 7154; arg. anche ex Cass. 19/09/2017, n. 21625; Cass. 19/08/2013, n. 19182 in tema di impugnazione di lodo arbitrale, e Cass. 25/02/2011, n. 4690).

Si osserva, inoltre, che la sentenza impugnata è stata pubblicata in data 29 luglio 2015 e il ricorso è stato notificato a mezzo posta dall’Ufficiale giudiziario, al quale il predetto atto è stato consegnato il 28 settembre 2016, con notifica successivamente perfezionatasi anche nei confronti della parte notificata.

Nella specie è certamente applicabile il termine c.d. lungo di cui all’art. 327 c.p.c., in quanto la sentenza non risulta notificata alle Amministrazioni soccombenti nè, come già rilevato, la comunicazione della sentenza da parte della Cancelleria è idonea a far decorrere il termine c.d. breve di cui all’art. 325 c.p.c.. Va pure evidenziato che il giudizio di primo grado ha avuto inizio nel 2007 e, quindi, il termine in parola ha durata annuale ed è soggetto alla sospensione feriale (pari a 31 giorni dal 1 al 31 agosto dell’anno 2016); detto termine scadeva in data 29 settembre 2016 e pertanto il ricorso all’esame – notificato, come già detto, il 28 settembre 2016 è tempestivo (Cass., sez. un., 4/05/2006, n. 10216; Cass. 10/05/2007, n. 10693; Cass. 21/11/2017, n. 27538).

2. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 303, art. 3, in combinato disposto con l’art. 101 c.p.c. – Difetto di legittimazione passiva dei Ministeri convenuti in giudizio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

3. Con il secondo motivo si denunzia “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. In particolare:

– dell’art. 11 disp. gen., comma 1;

– del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6;

– del D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. 37,39,41,46;

– del D.Lgs. n. 517 del 1999, art. 8

– della L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 300;

– degli artt. 234, 249 Trattato Cee, e delle Direttive nn. 82/76; 75/363; 75/362, dell’art. 13 direttiva n. 82/76 Cee e dell’art. 1, comma 1, direttiva 93/16, dei principi enunciati dalla Corte di Giustizia con sentenze 25 febbraio 1999 – causa C-131/97 (CARBONARI) e 3 ottobre 2000- causa C-371/97 (GOZZA);

– del D.L. n. 384 del 1992, art. 7, nvertito nella L. n. 438 del 1992, L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 36, L. 2 dicembre 1995, n. 549, art. 1, comma 33 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), della L. n. 449 del 1997, art. 32, comma 12, L. n. 488 del 1999, art. 22,L. n. 289 del 2002, art. 36 (finanziaria 2003)”.

4. E’ logicamente preliminare ed assorbente l’esame del secondo motivo – attinente alla fondatezza nel merito delle domande proposte – che è manifestamente fondato.

Secondo la Corte di appello, l’Italia avrebbe recepito le direttive comunitarie che impongono il riconoscimento ai medici specializzandi di una “adeguata remunerazione” solo con il D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368 (di recepimento della Direttiva CEE n. 93/16), con effetti economici decorrenti esclusivamente dall’anno accademico 2006/2007 (D.Lgs. n. 517 del 1999 e L. n. 266 del 2005); con l’imposizione di tale limite temporale il legislatore avrebbe eluso il dettato comunitario, così determinando un danno per coloro che hanno frequentato le Scuole di specializzazione sotto la disciplina delle direttive comunitarie tardivamente recepite e in relazione a tale motivazione viene censurata con il mezzo all’esame la decisione impugnata (v. in particolare quanto rappresentato dai ricorrenti a p. 13 e 25 del ricorso), pur se si riportano, nell’illustrazione del motivo all’esame, brani di una sentenza della Corte di merito aventi contenuto sostanzialmente analogo anche se, in alcuni punti, di tenore formalmente diverso da quello della sentenza impugnata in questa sede e correttamente indicata in ricorso.

4.1. Va anzitutto disattesa l’eccezione di violazione del principio di autosufficienza formulata dalla controricorrente in relazione alla mancata trascrizione selettiva, in ricorso, della sentenza gravata, con correlata imputazione di un difetto di una partita individuazione delle rationes decidendi, indicate come non tutte attaccate; proprio questa seconda parte dell’eccezione ne rivela l’infondatezza, poichè la censura – come già sopra evidenziato – delimita univocamente la ragione decisoria focalizzata dalla Corte d’appello sull’assunta/violazione del diritto comunitario conseguente al differimento temporale del trattamento economico degli specializzandi regolato dal D.Lgs. n. 368 del 1999, e rispetto a tale chiara deduzione non sussiste l’aspecificità del motivo in cui si risolve la c.d. non autosufficienza del medesimo. Nè, peraltro, risultano al riguardo plurime rationes, neppure individuate dalla coniroricorrente, poichè l’unica ragione dirimente della sentenza di appello si palesa quella dell’elusione del diritto comunitario, e in particolare della direttiva n. 93/16 (v. punti 8.2. e seguenti), per il resto registrandosi solo argomenti a supporto della stessa (punto 8.10).

4.2. In secondo luogo va disattesa l’eccezione d’inammissibilità della censura per novità della questione posta. La F. sostiene che la difesa erariale, per quanto qui rileva, aveva opposto alla domanda il carattere non autoesecutivo delle direttive che, come tali, non avrebbero potuto generare alcun diritto risarcitorio, e non quello del già intervenuto recepimento delracquis” dell’Unione con il D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, introduttivo della borsa di studio della cui adeguatezza, tanto più in quanto non rivalutata secondo le previsioni della medesima norma, non si era fatta questione, dovendosi pertanto, invece considerare pacifico il contrario.

La tesi è infondata in quanto la questione della violazione o meno del diritto comunitario, con il differimento temporale dell’emolumento di cui al D.Lgs. n. 368 del 1999, atteneva e attiene alla fondatezza della domanda svolta (v. Cass., 14/03/2018, n. 6355, pag. 7) pacificamente per cinque anni accademici dal 2001-2002 in poi (senza che sia quindi ipotizzabile un’aspecificità del motivo quale sul punto pure ipotizzata in controricorso, a pag. 22).

La questione, dunque, afferiva al perimetro della cognizione del giudice di primo grado e, all’esito dell’appello erariale volto anche a negare tale fondatezza, altresì a quello del giudice di seconde cure, per come conformato dall’effetto devolutivo del gravame.

4.3. Nel merito, la censura dell’Avvocatura dello Stato coglie nel segno poichè questa Corte ha chiarito che la disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi prevista dal D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39, si applica, per effetto dei differimenti, in favore dei medici iscritti alle relative scuole solo a decorrere dall’anno accademico 2006-2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti, che restano soggetti alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che economico, e questo perchè la direttiva 93/16/CEE non ha introdotto alcun nuovo e ulteriore obbligo con riguardo alla misura della borsa di studio di cui alla normativa del 1991 (Cass., n. 6355 del 2018, cit., con motivazione ampiamente ricostruttiva; in senso conforme Cass., 29/05/2018, n. 13445; Cass., ord., 16/1072019, n. 26240).

Va, pertanto, ribadito in questa sede che il recepimento delle direttive comunitarie che hanno previsto un’adeguata remunerazione per la frequenza delle scuote di specializzazione (direttive non applicabili direttamente nell’ordinamento interno, in considerazione del loro carattere non dettagliato) è avvenuto con la L. 29 dicembre 1990 n. 428 e con il D.Lgs. n. 257 del 1991 (che ha riconosciuto agli specializzandi la borsa di studio annua), e non in forza del nuovo ordinamento delle scuole di specializzazione di cui al D.Lgs. n. 368 del 1999.

Quest’ultimo decreto, nel recepire la direttiva n. 93/16 (che ha codificato, raccogliendole in un testo unico, le precedenti direttive n. 75/362 e n. 75/363, con le relative successive modificazioni), ha

riorganizzato l’ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, istituendo e disciplinando un vero e proprio contratto di formazione (inizialmente denominato “contratto di formazione lavoro” e successivamente “contratto di formazione specialistica”) da stipulare, e rinnovare annualmente, tra Università (e Regioni) e medici specializzandi, con un meccanismo di retribuzione articolato in una quota fissa e una quota variabile, in concreto periodicamente determinate da successivi decreti ministeriali.

Tale contratto, peraltro, secondo l’indirizzo ormai consolidato di questa Corte, non dà luogo a un rapporto inquadrabile nell’ambito del lavoro subordinato, nè è riconducibile alle ipotesi di parasubordinazione, non essendo ravvisabile una relazione sinallagmatica di scambio tra l’attività degli specializzandi e gli emolumenti previsti dalla legge, restando conseguentemente inapplicabili l’art. 36 Cost. e il principio di adeguatezza della retribuzione ivi contenuto (Cass., 19/11/2008, n. 27481, Cass., 22/09/2009, n. 20403, Cass., 27/07/2017, n. 18670).

Ai sensi della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 300, gli effetti delle nuove disposizioni, contenute del D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. da 37 a 42 (le quali prevedono sia la stipula del nuovo contratto di formazione, con gli specifici obblighi che ne derivano, sia il corrispondente trattamento economico), sono applicabili, come già detto, solo a decorrere dall’anno accademico 2006/2007.

Il trattamento economico spettante ai medici specializzandi in base al contratto di formazione specialistica è stato in concreto fissato con il D.P.C.M. 7 marzo 2007, D.P.C.M. 6 luglio 2007 e D.P.C.M. 2 novembre 2007.

Per gli iscritti alle scuole di specializzazione negli anni accademici precedenti al 2006/2007 è stato quindi espressamente disposto che continuasse a operare la precedente disciplina del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che sotto quello economico.

La direttiva n. 93/16, che costituisce un testo meramente compilativo, di coordinamento e aggiornamento delle precedenti disposizioni comunitarie già vigenti, non ha carattere innovativo, con riguardo alla misura dei compensi da riconoscersi agli iscritti alle scuole di specializzazione.

La previsione di un’adeguata remunerazione per i medici specializzandi è infatti contenuta nelle precedenti direttive n. 75/362, n. 75/363 e n. 82/76 (le cui disposizioni la direttiva n. 93/16 si limita a recepire e riprodurre senza alcuna modifica), e i relativi obblighi risultano già attuati dallo Stato italiano con l’introduzione della borsa di studio di cui al D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257.

L’importo della predetta borsa di studio è da ritenersi di per sè sufficiente è idoneo adempimento agli indicati obblighi comunitari, rimasti immutati dopo la direttiva n. 93/16, quanto meno sotto il profilo economico, come confermano le pronunce di questa Corte che ne hanno riconosciuto l’adeguatezza, nella sua iniziale misura, anche a prescindere dagli ulteriori incrementi connessi alla svalutazione monetaria, originariamente previsti dallo stesso testo legislativo e poi sospesi dalla successiva legislazione, sottolineando che “nella disciplina comunitaria non è rinvenibile una definizione di retribuzione adeguata, nè sono posti i criteri per la determinazione della stessa (Cass. 26/05/2001 n. 11565)” (Cass., 15/06/2016, n. 12346; Cass., 23/09/2016, n. 18710; l’indirizzo trova indiretta conferma nella sentenza n. 432 del 23 dicembre 1997 della Corte Costituzionale, che ha escluso l’illegittimità costituzionale delle disposizioni legislative che avevano disposto la sospensione degli adeguamenti della borsa alla svalutazione monetaria).

In particolare, ai sensi della L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 32, comma 12 e della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 36, comma 1, l’importo delle borse di studio dei medici specializzandi iscritti negli anni accademici dal 1998 al 2005 non è soggetto all’adeguamento triennale previsto dal D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 1 (Cass., ord., 23/02/2018, n. 4449; Cass., ord., 19/02/2019, n. 4809; Cass., ord., 16/10/2019, n. 26240).

Il nuovo ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia introdotto con il D.Lgs. n. 368 del 1999, e il relativo meccanismo di retribuzione, non possono pertanto ritenersi il primo atto di effettivo recepirrento e adeguamento dell’ordinamento italiano agli obblighi derivanti dalle direttive comunitarie, in particolare per quanto riguarda la misura della remunerazione spettante ai medici specializzandi, ma costituiscono il frutto di una successiva scelta discrezionale del legislatore nazionale, non vincolata o condizionata dai suddetti obblighi (Cass., ord., 9/10/2018, n. 24804).

L’inadempimento dell’Italia agli obblighi comunitari, sotto il profilo in esame, è dunque cessato con l’emanazione del D.Lgs. n. 257 del 1991.

Questa Corte ha infine già sottolineato che l’indirizzo cui si intende dare continuità nella presente sede solo apparentemente risulta contraddetto da due identiche e coeve decisioni della stessa Sezione Lavoro (Cass., n. 8242 e n. 8243 del 22/04/2015, e alla seconda si richiama la parte controricorrente), la cui motivazione non affronta peraltro espressamente la problematica relativa alla fattispecie fin qui illustrata, e richiama gli indirizzi espressi da questa Corte in relazione alla diversa situazione dei medici che avevano frequentato le scuole di specializzazione anteriormente al 1991; del resto, la stessa Sezione Lavoro si è successivamente espressa nel senso qui sostenuto (Cass. 27/02/2018, n. 4449).

5. L’infondatezza delle pretese di parte attrice assorbe ogni questione relativa alla legittimazione passiva degli enti convenuti in giudizio, prospettata con il primo motivo, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, consente la decisione nel merito della controversia, con il rigetto delle domande proposte.

6. In conclusione, va accolto il secondo motivo di ricorso con assorbimento del primo; la sentenza impugnata va cassata in relazione e, decidendo nel merito, le domande di parte attrice nei confronti degli enti ricorrenti vanno integralmente rigettate.

7. Le spese dell’intero giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti, in considerazione della novità delle questioni trattate in sede di merito e delle oggettive oscillazioni giurisprudenziali in relazione alle stesse.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di F.M.L. (o M.); dichiara integralmente compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 31 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2020

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