Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8502 del 25/03/2021

Cassazione civile sez. un., 25/03/2021, (ud. 23/02/2021, dep. 25/03/2021), n.8502

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Primo Presidente f.f. –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente di Sez. –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13120/2020 proposto da:

BANCA IFIS S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F. CONFALONIERI 5, presso lo

studio dell’avvocato ANGELO CUGINI, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANTONIO CARULLO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E ABITAZIONE DELLA REPUBBLICA DEL

PORTOGALLO (già MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI E DEI TRASPORTI DELLA

REPUBBLICA DEL PORTOGALLO), in persona dell’Ambasciatore del

Portogallo in Italia pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE LIEGI 32, presso lo studio dell’avvocato MARCELLO CLARICH, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6701/2019 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

il 04/10/2019.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/02/2021 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ANNA MARIA SOLDI, il quale chiede che la Corte di Cassazione

dichiari inammissibile o, comunque, rigetti il ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Passata in cosa giudicata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 6907 del 2011, con cui era stato condannato il Ministero dei Lavori Pubblici e dei Trasporti del Portogallo al pagamento in favore di (OMISSIS) s.p.a. in fallimento della somma di Euro 74.819,68 oltre accessori per comportamento illegittimo già accertato dall’autorità giudiziaria L portoghese, e ceduto il credito a Banca IFIS s.p.a., quest’ultima propose ricorso per ottemperanza innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio che dichiarò inammissibile l’azione.

2. Proposto appello dalla società ricorrente, il Consiglio di Stato, Sez. Quinta, con sentenza n. 6701 del 4 ottobre 2019 rigettò l’impugnazione.

3 Premise il Consiglio di Stato che nel corso dell’originario giudizio innanzi al TAR, che aveva dato luogo al giudicato, era stato proposto regolamento preventivo di giurisdizione nel quale Cass. Sez. U. 15 aprile 2010 n. 8988 aveva riconosciuto la giurisdizione nazionale in quanto accettata tacitamente dall’autorità portoghese e la corretta instaurazione del giudizio innanzi al giudice amministrativo relativamente ad evento dannoso prodotto in Italia, ove comunque doveva darsi esecuzione all’eventuale condanna del resistente straniero. Osservò quindi che secondo il collegio di primo grado quest’ultimo inciso aveva il senso dell’individuazione della giurisdizione italiana in relazione all’ipotetica fase esecutiva nascente dalla condanna dell’autorità straniera, ma non comportava che si utilizzasse il rimedio dell’ottemperanza, potendosi principalmente procedere ai sensi dell’art. 115, comma 2, c.p.a. per l’esecuzione nelle forme del Libro III del codice di procedura civile.

Osservò ancora il Consiglio di Stato, condividendo la motivazione del giudice di primo grado, che era da escludere che l’inesperibilità dell’inottemperanza si traducesse in un vulnus al principio di effettività della tutela in quanto al ricorrente era sempre consentito utilizzare lo strumento dell’azione esecutiva innanzi al giudice ordinario, rimedio del resto effettivamente avviato. Aggiunse che l’utilizzo del giudizio di ottemperanza nei confronti di altro Stato era in contrasto con il principio di sovranità perchè avrebbe comportato per un verso la dichiarazione di nullità di atti giuridici di un ordinamento diverso da quello italiano, per l’altro l’inserimento nella struttura amministrativa di un altro Stato del commissario ad acta operante quale longa manus del giudice italiano. Osservò inoltre che soccorreva il regolamento CE 44/2001, sostituito dal regolamento CE/1215, relativamente al riconoscimento delle sentenze date nei singoli Stati dell’Unione con riferimento solo alla materia civile e commerciale e che nella specie la sentenza di cognizione aveva riguardato il risarcimento del danno, non potendo farsi questione di esercizio di poteri autoritativi, i quali erano stati conosciuti dal giudice amministrativo portoghese che aveva annullato l’atto di aggiudicazione. Aggiunse in conclusione che la via da perseguire, secondo l’indicazione delle Sezioni Unite, era quella dell’azione davanti al giudice dell’esecuzione avente ad oggetto beni appartenenti iure privatorum al Portogallo e situati in Italia, nonchè l’attivazione della procedura esecutiva in base ai regolamenti CE presso il giudice portoghese.

4. Ha proposto ricorso per cassazione Banca IFIS s.p.a. sulla base di due motivi. Resiste con controricorso la parte intimata. Il Collegio ha proceduto in Camera di consiglio ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, convertito con L. n. 176 del 2020, in mancanza di richiesta di discussione orale. Il Procuratore generale ha formulato le sue conclusioni motivate ritualmente comunicate alle parti. E’ stata depositata memoria di parte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia difetto di giurisdizione in relazione all’art. 382 c.p.c. e art. 384 c.p.c., comma 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1. Osserva la parte ricorrente che la decisione impugnata, interpretando la statuizione di Cass. sez. U. n. 8988 del 2010 nel senso che non potesse essere giudice dell’esecuzione il medesimo giudice amministrativo, ha violato il dictum della Corte di Cassazione in ordine alla giurisdizione, il quale è nel senso che anche la fase esecutiva deve essere svolta innanzi al giudice amministrativo, dovendosi dare esecuzione in Italia alla condanna del resistente straniero.

2. Con il secondo motivo si denuncia difetto di giurisdizione in relazione all’art. 382 c.p.c. e art. 384 c.p.c., comma 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1. Osserva la parte ricorrente che l’art. 112 c.p.a. non si riferisce alle sole pubbliche amministrazioni nazionali e che il Consiglio di Stato, interpretando la norma nel modo restrittivo indicato, si è sostituito alla Corte di Cassazione con un’interpretazione che non trova fondamento nell’ordinanza n. 8988 del 2010. Aggiunge che, avendo la Corte di Cassazione individuato la giurisdizione del giudice italiano (dovendo l’obbligazione eseguirsi in territorio nazionale), non si vede perchè la fase esecutiva non possa competere al giudice nazionale, e che il soggetto obbligato in sede di ottemperanza è il Ministero degli Affari Esteri che potrà ottenere dallo Stato estero il pagamento delle somme dovute.

3. I motivi, da valutare unitariamente in quanto connessi, sono infondati.

Va prioritariamente rammentato il principio, più volte affermato da queste Sezioni Unite (da ultimo Cass. Sez. U. n. 29105 del 2020, n. 413 del 2020, n. 34020 del 2019 e n. 16016 del 2018), secondo cui nel giudizio di ottemperanza – nel quale al giudice amministrativo è attribuito un sindacato anche di merito – per distinguere le fattispecie in cui il controllo sui limiti della giurisdizione è consentito da quello in cui risulta invece inammissibile, è decisivo stabilire se quel che è censurato con il ricorso sia il “modo” in cui il potere giurisdizionale di ottemperanza è stato esercitato dal giudice amministrativo (attenendo ciò ai limiti interni della giurisdizione), oppure la “possibilità” stessa – in una determinata situazione – di fare ricorso al giudizio di ottemperanza, cosa che attiene invece ai limiti esterni. In particolare, quando l’ottemperanza sia stata esperita a fronte di comportamenti elusivi del giudicato o manifestamente in contrasto con esso, afferiscono ai “limiti interni” della giurisdizione la cui violazione è sottratta al sindacato della Suprema Corte – gli eventuali errori imputati al giudice amministrativo nell’individuazione degli effetti conformativi del giudicato, nella ricostruzione della successiva attività della P.A. e nella valutazione di non conformità di questa agli obblighi derivanti dal giudicato; afferiscono, invece, ai “limiti esterni” – il cui superamento è soggetto al controllo della Corte di Cassazione – le doglianze che pongano in discussione la spettanza o meno a detto giudice, nel caso concreto, di un tale potere.

Come si intende anche dalle norme richiamate nella rubrica dei due motivi di ricorso, e cioè l’art. 382 c.p.c. e art. 384 c.p.c., comma 2, l’impugnazione della sentenza del Consiglio di Stato è stata proposta per violazione della regola della giurisdizione enunciata da Cass. Sez. U. 15 aprile 2010 n. 8988, la quale, a detta del ricorrente, avrebbe enunciato la regola della giurisdizione anche per la fase dell’esecuzione del giudicato, in particolare nel senso dell’identificazione del giudice dell’ottemperanza come giudice munito della giurisdizione pure per la fase in discorso. Si denuncia così il mancato esercizio del potere da parte del giudice amministrativo non in assoluto, ma in quanto violazione della regola di giurisdizione affermata dall’ordinanza n. 8988 del 2010.

Si tratta all’evidenza di richiamo a regola non pertinente in quanto l’efficacia di regolamento della giurisdizione della decisione adottata in sede di regolamento preventivo di giurisdizione è limitata alla causa nella quale il detto regolamento è stato richiesto. L’ordinanza n. 8988 del 2010 spiega quindi efficacia ai fini del giudizio di cognizione che ha dato luogo al giudicato per il quale la ricorrente ha instaurato il giudizio di ottemperanza e non va oltre i confini della sede della detta cognizione. La questione della spettanza del potere del giudice amministrativo in sede di ottemperanza sfugge alla regola del riparto di giurisdizione, cui è relativa l’ordinanza n. 8988 del 2010, e concerne il diverso ambito del rispetto dei limiti esterni della giurisdizione. Della regola sulla giurisdizione enunciata con la menzionata ordinanza il Consiglio di Stato non avrebbe potuto e dovuto fare applicazione siccome estranea al profilo dell’esistenza del potere giurisdizionale di ottemperanza.

In realtà tale potere non spettava al giudice adito, e qui emerge il profilo dei limiti esterni della giurisdizione, perchè non poteva farsi ricorso al giudizio di ottemperanza. Il riferimento nell’art. 112 c.p.a. alla “pubblica amministrazione” non può che essere inteso nel senso di pubblica amministrazione nazionale. I richiami nel codice al “Governo” ed ai “soggetti tenuti ai principi del procedimento amministrativo” (art. 7), nonchè allo “Stato” (art. 133), sottendono che il riferimento al “potere pubblico” nella disciplina del codice è da intendere come relativo all’autorità amministrativa italiana, coerentemente del resto alla definizione in Costituzione del Consiglio di Stato, ed in tal modo del giudice amministrativo, quale organo “di tutela della giustizia nell’amministrazione” (art. 100 Cost. – così anche l’art. 103 Cost., comma 1, che identifica nella “pubblica amministrazione” il contraddittore nella tutela delle posizioni soggettive affidate alla giurisdizione del giudice amministrativo). Sullo sfondo si stagliano i principi di diritto internazionale di sovranità e territorialità quanto al rapporto fra gli Stati, richiamati dal Procuratore generale nelle sue conclusioni motivate.

4. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene rigettato, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2021

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