Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8499 del 06/05/2020

Cassazione civile sez. III, 06/05/2020, (ud. 23/10/2019, dep. 06/05/2020), n.8499

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14891/2018 proposto da:

B.F., quale titolare dell’azienda agricola familiare

omonima, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.B. VICO 1, presso

lo studio dell’avvocato LORENZO PROSPERI MANGILI, che lo rappresenta

e difende unitamente agli avvocati ELISABETTA VALENTINI, SILVIA

VANGELISTI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI TRENTO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 247/2017 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 14/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/10/2019 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha chiesto

il rigetto del ricorso.

Fatto

RILEVATO

che:

con ricorso alla Sezione specializzata Agraria del Tribunale di Trento, B.F. evocava in giudizio il Comune di Trento deducendo di essersi insediato su un fondo di proprietà comunale esteso circa 30.000 mq e chiedendo che fosse quantificata la indennità prevista all’art. 17 della Legge Agraria per le migliorie apportate al terreno nel corso degli anni. Il rapporto agrario aveva avuto origine tra l’Ospedale (OMISSIS) e poi tra la Provincia di Trento, quale proprietaria e il padre, B.A., quale conduttore e si era concluso nell’anno 2013 a seguito di disdetta inviata dal Comune di Trento quale ultimo proprietario. Aggiungeva che, in pendenza del rapporto di affitto instaurato nel 1985 con la Provincia di Trento a seguito di conversione dei precedenti contratti di mezzadria, cui era subentrato il Comune e che erano stati eseguiti numerosi interventi di miglioramento, autorizzati dalla proprietà, aggiungendo che gli stessi ammontavano, secondo una perizia asseverata, all’importo di Euro 318.000 circa;

si costituiva il Comune di Trento contestando la pretesa, eccependo la prescrizione del diritto e rilevando che si trattava di opere di manutenzione ordinaria richieste all’affittuario ex lege;

il Tribunale di Trento, Sezione specializzata Agraria, con sentenza del 7 dicembre 2016 accoglieva la domanda condannando il Comune al pagamento della somma di Euro 141.655 sul presupposto che il contratto fosse la prosecuzione di quello precedente, quindi senza decorso di alcuna prescrizione e che i lavori eseguiti fossero migliorie ritualmente autorizzate. Ricomprendendo anche quelle poste in essere nel corso del rapporto con la precedente proprietaria, Provincia Autonoma di Trento. Le migliorie riguardavano tutto il fondo, ivi compresa la porzione di esso in relazione alla quale i lavori non erano stati autorizzati;

avverso tale sentenza proponeva appello il Comune di Trento al fine di ottenere la riforma della decisione, sia in merito ad una asserita mancata prova circa lo stato dei fondi all’inizio del rapporto, sia riguardo all’eccezione di prescrizione per i lavori risalenti al 1991 ed autorizzati dalla Provincia, formulando una domanda subordinata riferita ad una minor quantificazione dell’indennizzo sulla base della consulenza espletata. Si costituiva la parte appellata e chiedeva il rigetto del gravame;

la Corte d’Appello di Trento, con sentenza del 14 novembre 2017, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, condannava il Comune al pagamento in favore di B.F. del minor importo di Euro 92.800, oltre interessi, compensando per un terzo le spese di causa per il doppio grado di giudizio;

secondo la Corte territoriale la decorrenza del contratto di affitto andava riferita alla data del 3 aprile 2001, non sussistendo alcuna ipotesi giuridica di subentro dell’affittuario nel precedente contratto, che faceva capo alla Provincia Autonoma di Trento, con la conseguenza che, dopo la conclusione del secondo e differente contratto, l’indennizzo relativo al precedente periodo doveva ritenersi rinunziato o comunque prescritto. Sotto altro profilo non era stata dimostrata l’autorizzazione ad eseguire nuovamente l’impianto di seminativo per la particella (OMISSIS) estesa 968 mq, con conseguente riduzione ulteriore dell’importo relativo alla indennità per migliorie;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione B.F. affidandosi a quattro motivi che illustra con memoria. Resiste con controricorso il Comune di Trento, difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato. Il Procuratore generale deposita conclusioni scritte per il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 48 e 16 della Legge Agraria. La Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che l’indennità per i miglioramenti autorizzati in costanza del contratto precedentemente sottoscritto dalla Provincia di Trento e il padre del ricorrente, fosse prescritta e che B.F., quale rappresentante della impresa coltivatrice non potesse chiedere l’indennità fino alla cessazione del rapporto di affitto. Non sarebbe chiaro il profilo di novità che la Corte d’Appello avrebbe ritenuto sussistente tra il contratto sottoscritto nel 2001 e quello scaduto nel 1998, trattandosi del medesimo fondo, condotto dalla medesima famiglia con gli effetti giuridici che retroagiscono alla data dell’11 novembre 1998. In particolare, il primo contratto prevedeva l’insediamento sul fondo della famiglia coltivatrice B. in virtù di un rapporto di mezzadria rispetto al quale, pertanto, il soggetto affittuario sarebbe stato sempre lo stesso. In secondo luogo, il Comune di Trento avrebbe retrodatato l’efficacia del nuovo contratto al giorno successivo alla scadenza del precedente, come risulterebbe dalla disponibilità manifestata a far proseguire il rapporto con il nuovo contratto dall’11 novembre 1998 al 10 novembre 2003. Pertanto non sarebbe possibile considerare tardive le richieste di indennità risalenti al periodo anteriore al 2001;

il motivo è inammissibile perchè dedotto in violazione l’art. 366, c.p.c., n. 6. Quando il ricorso si fonda su documenti, il ricorrente ha l’onere di “indicarli in modo specifico” nel ricorso, a pena di inammissibilità (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).

“Indicarli in modo specifico” vuol dire, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte:

(a) trascriverne il contenuto, oppure riassumerlo in modo esaustivo;

(b) indicare in quale fase processuale siano stati prodotti;

(c) indicare a quale fascicolo siano allegati, e con quale indicizzazione (in tal senso, ex multis, Sez. 6-3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016; Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015; Sez. U, Sentenza n. 16887 del 05/07/2013; Sez. L, Sentenza n. 2966 del 07/02/2011).

Di questi tre oneri, il ricorrente ha assolto solo il terzo. Il ricorso, infatti, non riassume nè trascrive il contenuto dei precedenti contratti, della disdetta per la scadenza del 1998 e la disponibilità alla prosecuzione del contratto dal 1998 al 2003; nè indica con quale atto ed in quale fase processuale (ricorso introduttivo, memorie, ordine di esibizione, ecc.) siano state prodotte.

Ciò impedisce di valutare la rilevanza e la decisività dei documenti che si assume non essere stati esaminati dalla Corte d’Appello;

il motivo è, altresì, inammissibile perchè non si confronta con la decisione impugnata che sulla base di una specifica motivazione giuridica ha evidenziato che con Delib. 30 maggio 1996, la Provincia ha trasferito a titolo gratuito la proprietà dei fondi al Comune di Trento facendo riferimento al contratto in corso con il fittavolo (padre del ricorrente) individuandone la scadenza contrattuale al 10 novembre 1998 e il Comune di Trento ha tempestivamente inviato la disdetta. Dopo la scadenza del periodo intermedio dal 10 novembre 1998 al 3 aprile 2001, è stato stipulato un nuovo e diverso contratto, con l’assistenza delle organizzazioni sindacali di categoria, con la previsione di una durata differente, con una natura giuridica differente, con un contraente diverso, nel quale non vi è alcun riferimento alle migliorie eseguite in precedenza. Tali argomentazioni non sono contrastate dal ricorrente se non attraverso la richiesta di una rivalutazione dei fatti che consentirebbero di ipotizzare una prosecuzione (di fatto) del rapporto sulla base della rapporto con la famiglia di origine del ricorrente. Si tratta di una valutazione di merito inammissibile in sede di legittimità;

d’altra parte il ricorrente non ha allegato di avere sottoposto alla Corte d’Appello l’argomentazione oggi sostenuta in sede di legittimità, secondo cui il profilo decisivo riguarderebbe la circostanza che, in sede contrattuale, avrebbe agito la medesima famiglia colonica e non B.F., che pure risulta avere pacificamente stipulato individualmente il contratto. Analoghe considerazioni riguardano l’argomentazione secondo cui B.F. avrebbe agito quale rappresentante della famiglia colonica, la quale ultima si sarebbe occupata continuativamente della conduzione dei fondi;

a ciò può aggiungersi che, come evidenziato dal Procuratore generale, i due contratti divergono almeno sotto quattro profili. Infatti, il precedente rapporto di affitto agrario vedeva come affittuaria alla famiglia coltivatrice, rappresentato dal predetto B.A., di cui all’art. 48 della Legge Agraria. Il contratto di affitto agrario stipulato dal ricorrente invece, vedeva come parte affittuaria il ricorrente medesimo. Nulla viene detto da quest’ultimo sull’esistenza di una famiglia coltivatrice da lui rappresentata, alla stipula del secondo contratto di affitto, in grado di coltivare il fondo come, invece, era stato in passato, con la famiglia rappresentata dal padre A.. In secondo luogo la disdetta si pone in contrasto con l’invocazione della continuità tra i due contratti di affitto. Il secondo negozio, poi, è stato stipulato in deroga alle norme sui contratti agrari, come consentito dalla L. n. 203 del 1982, art. 45, con l’assistenza delle organizzazioni sindacali. Infine, l’argomentazione della Corte territoriale, secondo la quale in nessun passo della Delib. 30 maggio 1996 si parla di “subentro” di un nuovo affittuario, è rimasta senza censura;

con il secondo motivo si deduce la violazione degli artt. 16 e 45 della Legge Agraria e della L. n. 23 del 1971, art. 11, laddove la Corte di merito avrebbe ritenuto che B.F., con la sottoscrizione del secondo contratto, avesse implicitamente rinunciato ai miglioramenti;

il motivo è inammissibile per difetto di interesse ai sensi dell’art. 100 c.p.c., poichè la Corte territoriale ha adottato una doppia motivazione sul punto: con la prima ha ritenuto sussistente una rinunzia alle eventuali migliorie relative al rapporto conclusosi a seguito della disdetta del 1998; con la seconda ha affermando l’intervenuta prescrizione del diritto di credito relativo alle suddette migliorie. Tale seconda autonoma ratio decidendi non è stata contrastata;

con il terzo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo circa la presenza dell’autorizzazione riferita all’area estesa 986 mq. oggetto della particella n. (OMISSIS). In particolare non sarebbe pacifica l’assenza di autorizzazione, per i metri quadrati diversi da quelli relativi al nuovo impianto di viti (2514 m quadri, riferiti alla pale (OMISSIS)). Al contrario la difesa di B.F. avrebbe sempre dato per scontata la presenza di tale autorizzazione preventiva, anche con riferimento a quell’area. In particolare, nella memoria difensiva di appello avrebbe fatto riferimento ad una autorizzazione per l’impianto a vigneto del 9 luglio 2002 (documento 29), pertanto sotto tale profilo la motivazione sarebbe carente e illogica;

il motivo è inammissibile poichè tende ad una rivalutazione dell’attività istruttoria da parte della Corte di legittimità che non è consentita in questa sede. Sotto altro profilo la censura è dedotta in violazione il principio di autosufficienza poichè si accenna all’esistenza di autorizzazioni che sarebbero estese all’intero fondo condotto da B.F., senza trascriverne il contenuto, individuare la fase processuale nella quale sarebbe stata tempestivamente prodotta in primo grado ed in cui i documenti sarebbero stati esibiti, limitandosi a richiamare documenti menzionati in sede di appello;

con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità del la sentenza e del procedimento per violazione di artt. 416 e 437 c.p.c.. La Corte avrebbe violato tali norme accogliendo un motivo di appello basato su un’eccezione tardivamente proposta. In particolare, il Comune nella prima memoria difensiva non avrebbe dedotto l’assenza di autorizzazione riguardo alla particella (OMISSIS), mentre le censure sarebbero state formulate solo dopo l’esame della bozza della consulenza tecnica d’ufficio;

il motivo è fondato in quanto le contestazioni mosse dal Comune all’atto della costituzione in giudizio non hanno riguardato il difetto di autorizzazione alle migliorie su una specifica particella, ma il diritto alla indennità in genere, in favore dell’affittuario. Infatti, la difesa della amministrazione comunale si riferisce alle eccezioni formulate all’udienza di precisazione delle conclusioni. In quella sede ha chiesto accertarsi l’importo dell’indennità dovuta con riferimento ai soli lavori autorizzati dal Comune di Trento, specificando, con riferimento alla particella (OMISSIS), che tali dovevano ritenersi quelli eseguiti nel 2002 e non altri. Ma tale difesa riguarda la fase della precisazione le conclusioni e nulla si dice riguardo al contenuto della prima difesa. Pertanto, la corte territoriale ha erroneamente accolto l’eccezione, tardivamente formulata, di esclusione della particella di cui al motivo che precede dal novero di quelle oggetto di autorizzazione alle migliorie. Il motivo, pertanto, deve trovare accoglimento e non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., decidendo nel merito, vanno riconosciute al ricorrente anche le somme a titolo di indennità riferite alla predetta particella, come determinate dal giudice di primo grado;

ne consegue che il ricorso per cassazione deve essere accolto limitatamente all’ultimo motivo. In considerazione dell’esito della lite vanno confermate le spese relative al secondo grado di giudizio e compensate integralmente tra le parti quelle del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il primo, secondo e terzo motivo; accoglie il quarto motivo;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna il Comune di Trento a corrispondere alla ricorrente l’indennità relativa anche alla particella n. (OMISSIS) estesa metri quadri 986, meglio descritta in ricorso;

conferma le spese relative al secondo grado di giudizio;

compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 23 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2020

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