Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8496 del 09/04/2010

Cassazione civile sez. trib., 09/04/2010, (ud. 11/02/2010, dep. 09/04/2010), n.8496

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 8794-2005 proposto da:

ARIT SRL in persona dell’Amministratore delegato pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA CICERONE 28, presso lo studio

dell’avvocato DI BENEDETTO PIETRO, che lo rappresenta e difende,

giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA LUCANA SVIL INNOVAZIONE AGRICOLTURA in persona

dell’Amministratore unico e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20,

presso lo studio dell’avvocato PAGANELLI MAURIZIO, rappresentato e

difeso dall’avvocato PERCOCO ALDO, giusta delega a margine;

– controricorrente –

e contro

COMUNE DI SCANZANO JONICO in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA CICERONE 28, presso lo studio

dell’avvocato DI BENEDETTO PIETRO, che lo rappresenta e difende,

delega in atti;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 61/2004 della COMM. TRIB. REG. di POTENZA,

depositata il 26/10/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/02/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI GIACALONE;

udito per il ricorrente l’Avvocato DI BENEDETTO, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del terzo

motivo del ricorso.

 

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

La controversia ha ad oggetto l’impugnativa proposta dall’Agenzia sopra indicata nei confronti del Comune di Scanzano Jonico, avverso l’avviso di accertamento per omessa dichiarazione e versamento dell’ICI relativamente ad un terreno edificabile di sua proprietà per il periodo in contestazione. Il Comune deduceva la propria carenza di legittimazione passiva, avendo affidato l’attività di accertamento, liquidazione, riscossione e gestione delle entrate tributarie all’A.RI.T. S.r.l., che, chiamata in causa dall’Agenzia, sosteneva la legittimità dell’accertamento.

La C.T.P. accoglieva il ricorso.

Respingendo l’appello dell’A.RI.T., la C.T.R., con la sentenza in epigrafe, ha confermato le motivazioni dei primi giudici, secondo cui lo stesso atto di accertamento generava incertezze sull’individuazione dell’ente destinatario dell’impugnazione e l’irregolare costituzione del contraddittorio risultava sanata ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 per effetto della sua integrazione; nel merito, l’Agenzia, organismo strumentale e tecnico della Regione, per quanto dotata di autonoma soggettività, assume le stesse posizioni soggettive che competono alla Regione, con conseguente applicabilità dell’esenzione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7.

Avverso tale decisione, l’A.RI.T. propone ricorso per cassazione con tre motivi; l’Agenzia resiste con controricorso.

Con il primo motivo, la società, deducendo violazione D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e art. 360 c.p.c., n. 5, nullità della sentenza per omessa, insufficiente motivazione, perchè la C.T.R., senza tenere in debita considerazione i motivi d’impugnazione, ha confermato l’argomentazione dei giudici di primo grado, secondo cui “l’atto accertativo genera incertezze sul destinatario della notifica del ricorso e quindi l’ente impositore avrebbe dovuto chiarire meglio tale aspetto”, così evidenziando l’obiettiva deficienza del criterio logico a sostengo del proprio convincimento.

Con il secondo, subordinato, motivo, la società, deducendo violazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 52, D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10 e 18 errore su punto decisivo, per non avere la C.T.R. affermato l’inammissibilità del ricorso di primo grado, essendo carente ogni ragione di contitolarità del rapporto controverso e d’inscindibilità tra più soggetti, con la conseguenza che la disposta integrazione avrebbe presupposto la rituale instaurazione del contraddittorio, mentre la nullità del ricorso costituiva ostacolo assoluto alla formazione del contraddittorio, integrando una fattispecie di decadenza per scadenza dei termini.

Con il terzo motivo, la società, deducendo violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, lett. a lamenta che la C.T.R avrebbe erroneamente applicato le norme esonerative ICI, dato che l’Agenzia è un organismo dotato di personalità giuridica propria nonchè di autonomia organizzativa, amministrativa, gestionale, contabile e finanziaria rispetto all’ente pubblici (Regione) che l’ha costituito e può godere dell’esenzione in questione; si duole, altresì, che l’impugnata sentenza avrebbe violato il principio secondo cui in materia di esenzioni o agevolazioni tributarie è preclusa la possibilità di estendere il beneficio in via analogica e con interpretazione estensiva; ricorda che i beni non destinati esclusivamente al perseguimento dei compiti istituzionali dell’ente proprietario non rientrano nel campo di applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, lett. a: non si potrebbe evincere nel caso di specie un vincolo di destinazione delle aree con il fine istituzionale e sarebbe da escludere la stessa destinazione dell’immobile allo specifico compito istituzionale asserito dall’Agenzia e consistente nell’attuazione della riforma agraria, mentre esso sarebbe divenuta area fabbricabile, essendo venuta meno la natura agricola della stessa.

Nel controricorso, l’Agenzia ritiene che correttamente si sia dato luogo all’integrazione del contraddittorio in primo grado e, quanto al motivo riguardante il merito dell’esenzione, rammenta che la Regione esercita penetranti poteri che non possono comportare sul piano tributario un diverso trattamento tra la stessa e l’Agenzia e che gli immobili sono stati destinati al perseguimento delle finalità istituzionali, sicchè non mancherebbero gli altri requisiti previsti per l’applicazione dell’esenzione.

I primi due motivi – che possono trattarsi congiuntamente essendo intimamente connessi, in quanto entrambi rivolti a far valere la decadenza dell’A.RI.T. dal diritto all’impugnazione – si rivelano infondati, non sussistendo nè il vizio motivazionale, nè le violazioni di leggi con essi denunciati. La fattispecie, inquadrabile nell’intervento iussu iudicis ex art. 107 c.p.c., ha dato luogo, in presenza d’indicazione da parte del Comune – convenuto in primo grado – di un terzo come titolare del rapporto controverso, ad un’ipotesi di litisconsorzio processuale, con automatica estensione nei confronti del terzo della domanda originariamente proposta nei riguardi dell’ente locale. Ciò presuppone che, come accaduto nella specie, l’intervento sia stato disposto in relazione ad ipotesi di declinazione, da parte dell’originario convenuto, della propria legittimazione, con indicazione di quella del terzo e, quindi, al fine di accertare, nel contraddittorio di tutti gli interessati, quale sia la parte realmente obbligata rispetto al titolo fatto valere con l’atto introduttivo del giudizio. Solo in questo caso, infatti, la circostanza che il terzo venga chiamato a rispondere degli effetti di quel titolo comporta che al processo si aggiunga semplicemente una parte e non anche una nuova causa petendi, sicchè, ferma restando nei suoi elementi di oggettiva identificazione la domanda introduttiva, si tratta solo di identificarne gli estremi soggettivi. In tal caso, cioè, ove l’attore, nel corso del giudizio, proponga la domanda di condanna nei confronti del chiamato, la circostanza costituisce mera esplicitazione dell’intento di ottenere, da chiunque sia obbligato all’adempimento, il “bene della vita” effettivamente perseguito, senza che, nei confronti del terzo si svolga pretesa ulteriore o diversa rispetto a quella emergente dalla domanda introduttiva e manifestata al terzo stesso mediante l’atto di chiamata (Cass. n. 7436/96; 187/03; 13165 e 13908/07). Nel caso di specie, pur non essendo configurabile un’ipotesi di litisconsorzio necessario di carattere sostanziale (Cass. n. 18250/03; 15079/04;

1138/08), il Comune originario destinatario dell’impugnazione dell’atto di accertamento non è soggetto estraneo al rapporto controverso, essendo anzi il titolare del potere impositivo, sicchè non può configurarsi un errore inescusabile nell’individuazione del soggetto legittimato a contraddire. L’ambito della concessione di tale potere effettuata dal Comune nei confronti dell’A.RI.T., in mancanza di chiare indicazioni emergenti dall’atto impositivo, giustifica “l’incertezza” rilevata dai giudici tributari di merito che, correttamente intesa, riguarda obiettivamente – più che il soggetto contro cui indirizzare la notifica dell’impugnazione – proprio la portata dei poteri delegati dal Comune alla società concessionaria (in tal senso dovendosi ritenere integrata la motivazione della sentenza impugnata sul punto).

Il terzo motivo è fondato e va accolto, in quanto la decisione impugnata non ha fato buon governo del consolidato orientamento di questa S.C. secondo cui, “in tema di ICI, il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. a), stabilisce l’esenzione dall’imposta per gli immobili posseduti dallo Stato e da altri enti pubblici ivi elencati, purchè “destinati esclusivamente – vale a dire in via diretta ed immediata – ai compiti istituzionali”, (Cass. n. 22156/06; 20577/05; 21571/2004; n. 142/2004; n. 14146/2003, nonchè Cass. ord. n. da 16893 a 16897/08, rese tra le stesse parti), condizione il cui onere della prova incombe, secondo i principi generali, al contribuente che richieda il beneficio (Cass. n. 14146/03, cit.); mentre la medesima esenzione non spetta allorchè il bene sia adibito a compiti istituzionali di soggetti pubblici diversi, cui pure l’ente proprietario abbia in ipotesi l’obbligo, per disposizione di legge, di mettere a disposizione l’immobile, restando però del tutto estraneo alle funzioni ivi svolte (v. anche Cass. n. 18838/06; 20577/05, cit.).

La decisione impugnata non appare in linea con il richiamato e condiviso orientamento, essendo pervenuta al riconoscimento dell’esenzione, opinando che i beni rientrassero nel regime esonerativo ICI, per il solo fatto che all’Agenzia spettassero le stesse posizioni soggettive competenti alle Regioni e che la medesima svolgesse attività di natura non commerciale, senza verificare la ricorrenza dell’impiego diretto (circostanza insussistente nella specie per stessa ammissione dell’Agenzia). E’ fondato, pertanto, il terzo motivo, solo genericamente contrastato in controricorso, non potendosi desumere, peraltro, se in sede di merito sia stato dedotto, quanto al presupposto soggettivo dell’esenzione, se l’Agenzia resistente rappresentasse una “istituzione inserita nell’apparato amministrativo”, segnatamente in quello regionale dell’agricoltura, “ancorchè dotata di personalità giuridica” propria (argomento desumibile da Cass. n. 8490/09; 16169/00).

Accolto il terzo motivo di ricorso, la sentenza va annullata e la causa decisa nel merito – non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, essendosi l’Agenzia limitata a contestare, fin dall’atto introduttivo, le sole ragioni giuridiche (e quanto al solo requisito soggettivo) della non spettanza dell’esenzione – con il rigetto dell’originario ricorso della contribuente.

Ricorrono giusti motivi – tenuto conto della peculiarità della controversia e delle questioni trattate – per compensare integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il terzo motivo del ricorso, respinti i primi due. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo dell’Agenzia. Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2010

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