Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 849 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. III, 17/01/2020, (ud. 17/09/2019, dep. 17/01/2020), n.849

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 13613/2018 proposto da:

OneonOne S.r.l. in persona del legale rappresentante in carica,

elettivamente domiciliata in Roma alla piazza Cavour n. 17, presso

lo studio dell’AVVOCATO FRANCESCO COCOLA che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

B.G.D., in proprio e quale legale rappresentante

della Aretè S.r.l.;

– intimati –

Avverso la sentenza n. 01317 del 28/02/2018 della Corte di Appello di

Roma;

Udito nella camera di consiglio dell’adunanza camerale non

partecipata del 17/09/2019 il consigliere Cristiano Valle.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 01317 del 28/02/2018 in riforma del Tribunale della stessa sede, ha rigettato la domanda della OneonOne S.r.l. di condanna di B.G.D. al pagamento della penale contrattuale, fissata in Euro 15.000,00 per violazione del patto di non concorrenza stipulato tra le dette parti e relativo al periodo successivo alla cessazione del rapporto di prestazione d’opera ed ha posto le spese di entrambe le fasi del giudizio sulla Oneone S.r.l..

La sentenza è impugnata per cassazione dalla OneonOne S.r.l. con quattro motivi di ricorso.

B.G.D. e la Aretè S.r.l. sono rimasti intimati. Non sono state depositate memorie e il P.G. non da presentato conclusioni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I quattro motivi di ricorso sono formulati: il primo per violazione o falsa applicazione dell’art. 2596 c.c. e dell’art. 10 del contratto intercorso tra le parti.

Il secondo motivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’art. 2596 c.c. e art. 116 c.p.c. per erronea applicazione dell’art. 11 del contratto di prestazione d’opera.

Il terzo mezzo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c..

Infine il quarto motivo censura la sentenza d’appello per violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c..

Il primo ed il secondo motivo possono essere esaminati congiuntamente, stante la loro stretta connessione.

Il terzo mezzo concerne l’applicazione delle norme regolanti la formazione del convincimento del giudice.

I motivi sono fondati.

Le prime tre censure vertono sull’individuazione e sull’interpretazione patto di non concorrenza e del compendio probatorio.

Il Tribunale aveva ritenuto violato il patto di non concorrenza di cui all’art. 10 del contratto – dopo averlo ritenuto rientrare nei limiti di cui all’art. 2596 c.c. – da parte del B. in quanto questi aveva continuato ad erogare prestazioni quale personal trainer a clienti della OneonOne S.r.l. anche nel corso dell’anno successivo alla cessazione del rapporto con essa.

La Corte di appello non lo ha ritenuto violato, affermando che si sarebbe trattato soltanto di attività consistente nel seguire alcuni clienti della OneonOne S.r.l. anche dopo la cessazione del rapporto.

Nell’affermare ciò la Corte territoriale ha preso, tuttavia, in esame il disposto dell’art. 11 del contratto intercorso tra le parti e non l’art. 10 del contratto, posto a base della domanda originaria.

L’art. 10 del contratto di prestazione d’opera, per come risultante dal testo della sentenza d’appello, che riporta testualmente quella di primo grado, obbligava il B. ad astenersi dallo svolgere attività in concorrenza con quella della OneonOne s.r.l., limitatamente ai clienti della stessa, nell’anno successivo alla cessazione del medesimo.

La Corte territoriale, dopo avere premesso pressochè l’intera motivazione ella sentenza di prime cure, ivi incluso il contenuto dell’art. 10, applica alla fattispecie, e comunque prende in considerazione, soltanto l’art. 11 del contratto di prestazione d’opera, che prevedeva l’obbligo per il professionista, per tutta la durata del contratto di prestazione d’opera, di astenersi dallo svolgere attività concorrente con quella della OneonOne S.r.l., tanto in maniera autonoma che alle dipendenze e/o per conto di altre aziende operanti nei settori sopra evidenziati.

L’art. 11 fa riferimento in genere ad attività concorrenti, ed in concreto integra un patto di esclusiva, mentre e l’art. 10 fa riferimento ai soli clienti della Oneonone S.r.l. e prende in considerazione il periodo successivo alla conclusione del rapporto.

La differenza è di non poco conto, in quanto l’art. 10, di cui la Oneone S.r.l. aveva chiesto l’applicazione a seguito della disdetta del contratto da parte del B. riguarda la fase successiva, appunto, alla cessazione del rapporto, mentre l’art. 11 è destinato a regolare il comportamento delle parti contrattuali in costanza di rapporto.

La Corte d’Appello è incorsa, peraltro, anche in violazione concernente la disamina del compendi probatorio, che viene riportato in motivazione mediante il richiamo della sentenza del Tribunale, ma viene travisato, poichè interpretato nel senso che il B. si era limitato a seguire, dopo la cessazione del rapporto con la Oneone s.r.l. alcuni dei clienti di questa, e ciò accadeva nell’arco temporale costituito dall’anno successivo alla cessazione del rapporto stesso ma senza che tanto fosse posto in essere al fine di “sottrarre clienti alla società appellata e che si palesassero come tali all’esterno sì da apparire come concorrenziali (ad esempio aprendo una palestra od un ufficio con idonea pubblicità dell’attività concorrenziale con quella della OneonOne). L’avere, più semplicemente, consentito la prosecuzione delle sedute di personal traine presso ex clienti della società appellata e su richiesta dei medesimi (rimasti, evidentemente, soddisfatti del lavoro del trainer), non può equivalere a svolgimento di attività concorrente con quella della Oneone s.r.l….”.

La sentenza in scrutinio è, giusta quanto rilevato, incorsa nel vizio di sussunzione e deve, pertanto, essere cassata.

La causa è rinviata alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, che nel deciderla si atterrà a quanto sopra rilevato.

Alla Corte di rinvio è demandato di provvedere alle spese delle fasi di merito e di quelle di legittimità.

L’accoglimento dell’impugnazione comporta che debba darsi atto dell’insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

accoglie il ricorso per quanto di ragione;

cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese di questo giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, sezione III civile, il 17 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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