Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 849 del 17/01/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 849 Anno 2014
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

SENTENZA

sul ricorso 6093-2009 proposto da:
SONNOLI FLAVIO, BERTONELLI FRANCESCA, elettivamente
domiciliati in ROMA VIA V. COLONNA 32, presso lo
studio dell’avvocato BONACCORSI DI PATTI DOMENICO, che
li rappresenta e difende unitamente all’avvocato SORBO
MASSIMO giusta delega in calce;
– ricorrenti contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI PIETRASANTA in
persona del Direttore pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta

Data pubblicazione: 17/01/2014

e difende ape legis;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 45/2008 della COMM.TRIB.REG. di
FIRENZE, depositata il 02/10/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

GIOVANNA C. SAMBITO;
udito per il ricorrente l’Avvocato BONACCORSI DI PATTI
che ha chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato URBANI NERI
che ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

udienza del 20/11/2013 dal Consigliere Dott. MARIA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 45/1/08, depositata il 2/10/08, la CTR
della Toscana, in riforma della decisione di primo grado,

l’Agenzia del Territorio, disposta ex art. 7 del d.lgs. n. 546 del
1992, i ricorsi riuniti proposti da Francesca Bertonelli e Flavio
Sonnoli avverso l’avviso di rettifica del valore del diritto di
superficie costituito su tre appezzamenti di terreno tra loro
confinanti, a fini dell’imposta di registro, nonché del valore
finale di due di detti terreni, a fini dell’INVIM.
Per la cassazione di tale sentenza, hanno proposto ricorso i
contribuenti con due motivi, successivamente illustrati da
memoria. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo, i ricorrenti deducono, ex art. 360, 1°
co, n. 3, cpc, la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del
d.lgs. n. 546 del 1992 e degli artt. 112 e 115 cpc, lamentando un
uso arbitrario del potere istruttorio da parte dei giudici d’appello.
Al termine, i ricorrenti sottopongono il seguente quesito di
diritto: “si dica se i poteri istruttori delle Commissioni Tributarie
ed in particolare di quella regionale Toscana, ex art 7 del Dlgs
546/1992, nel caso di specie debbano essere limitati ai fatti
dedotti dalle parti ai sensi del combinato disposto di cui agli artt.
112 e 115 del Cpc o se invece questi possano essere utilizzati
anche per sopperire alle carenze ístruttorie delle parti ed in

i

rigettava, all’esito dell’acquisizione di informazioni presso

particolare o alle preclusioni maturate per e quindi abbiano
anche una funzione suppletiva dal mancato assolvimento
dell’onere della prova a carico delle parti stesse e quindi anche

2. Col secondo mezzo, si deduce la violazione e falsa
applicazione dell’art. 2697 cc, in relazione all’art. 360, 1° co, n.
3, cpc, per avere la CTR rigettato il ricorso “nonostante evidenti
carenze probatorie in palese violazione del principio dell’onere
della prova…”. In conclusione, si formula il seguente quesito:
“si dica se nell’ambito del rapporto tributario e di imposta spetti
al fisco l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa erariale,
posti dunque a suo fondamento o se sia dunque ammissibile la
prova contraria, a carico del contribuente, circa l’inesistenza dei
fatti costitutivi della medesima affermati e non dimostrati
nell’atto impositivo stesso; e quindi se sia a carico dell’Autorità
amministrativa creditrice nei confronti del contribuente, l’onere
della prova dei fatti costitutivi della sua pretesa ex art 2697 Cod.
Civ.”
3. I motivi, correttamente redatti sotto il profilo
dell’autosufficienza, sono, però, entrambi inammissibili, come
non ha mancato di rilevare la controricorrente, per inidoneità dei
quesiti di cui all’art. 366 bis cpc, applicabile ratione temporis. 4.
In base a tale norma, la censura con cui si deduce un vizio ex art.
360, 1° co, numeri 1, 2, 3 e 4, cpc deve, all’esito della sua
illustrazione, tradursi in un quesito, la cui enunciazione (e

2

dell’Amministrazione”.

formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art.
384 cpc, all’enunciazione del principio di diritto, mentre, ove
venga in rilievo il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cpc, è

relazione al quale la motivazione si assume omessa, o
contraddittoria, o inidonea a giustificare la decisione (cfr. Cass.
n. 4556 del 2009). 5. Questa Corte ha, poi, precisato (Cass. n.
3530 del 2012) che, in relazione ad una censura in diritto, il
quesito assolve alla funzione di integrare il punto di
congiunzione tra la soluzione del caso specifico e l’enunciazione
del principio giuridico generale, e non può, pertanto, esser
generico e teorico, ma deve esser calato nella fattispecie
concreta, onde far comprendere dalla sua sola lettura, l’errore
asseritamente compiuto dal giudice di merito e la regola
applicabile. Ne consegue che esso non può consistere (cfr. Cass.
SU n. 28536 del 2008) in un mero interpello della Corte in
ordine alla fondatezza della propugnata petizione di principio, né
in un interrogativo circolare che già presuppone la risposta. 6. I
quesiti formulati dai ricorrenti, sopra esattamente trascritti, non
rispettano i cennati parametri: essi omettono entrambi di indicare
gli errori di diritto imputati alla sentenza impugnata in
riferimento alla fattispecie concreta, tenuto conto che con gli
stessi si chiede alla Corte, rispettivamente, di stabilire i limiti del
potere istruttorio delle commissioni tributarie, e la ripartizione
dell’onere della prova della pretesa fiscale, senza chiarire in che

3

richiesta l’esposizione chiara e sintetica del fatto controverso, in

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Al SE,1\:S1
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modo la CTR abbia oltrepassato il predetto limite e quando abbia

7. Il ricorso va, in conclusione, rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come
8.
da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al
pagamento delle spese liquidate in € 3.000,00, oltre a spese
prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 20 novembre 2013.

addossato la prova dei presupposti dell’atto d’accertamento a
soggetto diverso da quello che ne è onerato ex lege.

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