Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8488 del 25/03/2021

Cassazione civile sez. I, 25/03/2021, (ud. 14/10/2020, dep. 25/03/2021), n.8488

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina Anna Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13338/2019 proposto da:

R.E., elettivamente domiciliato in Isernia, Via XXIV Maggio,

n. 33, presso lo studio dell’avv. Paolo Sassi, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, elettivamente domiciliato in Roma, Via Dei

Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositato il

7/3/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/10/2020 dal Cons. Dott. GIUSEPPINA ANNA ROSARIA PACILLI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

I. Con decreto in data 21 febbraio 2019 il tribunale di Campobasso ha rigettato il ricorso proposto da R.E. avverso il provvedimento, emesso dalla locale Commissione territoriale, di diniego della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o del diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14 o del diritto alla protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. In particolare, il tribunale ha ritenuto del tutto generico e inattendibile il racconto della migrante, apparendo inverosimile che la setta (OMISSIS) potesse perseguitarla per la decisione di lasciare il gruppo, presa anni prima dal suo fidanzato e futuro marito, di cui non aveva indicato neppure il nome e che, nel frattempo, era deceduto in un incidente stradale. Ha rilevato poi che nella regione di residenza della ricorrente non era in atto una violenza indiscriminata e diffusa, rilevante D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14 e che non risultavano dedotti specifici fattori di vulnerabilità; di conseguenza, ha rigettato le domande proposte, revocando nel contempo l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

II. R.E. ricorre per cassazione avverso questa pronuncia mentre il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

III Con il primo motivo la ricorrente lamenta congiuntamente la violazione di plurimi articoli del D.Lgs. n. 25 del 2008 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, l’omesso esame di fatto decisivo “in relazione alla mancata valutazione della vicenda personale del richiedente e della situazione esistente in Nigeria sulla base della documentazione allegata e dell’omessa attività istruttoria” e la “mancanza totale di motivazione” con riguardo allo status di rifugiato e alla protezione sussidiaria. Secondo la ricorrente, il tribunale avrebbe dovuto disporre la sua audizione, al fine di ottenere una giustificazione sull’asserita non credibilità e genericità, e avrebbe violato l’obbligo di cooperazione istruttoria. Il medesimo tribunale, inoltre, avrebbe omesso qualsivoglia valutazione in merito ai presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, trascurando di considerare l’attuale sussistenza della violenza indiscriminata e diffusa, che coinvolge la Nigeria.

Le doglianze sono inammissibili.

Il tribunale di Campobasso, facendo corretta applicazione dei criteri indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, ha ritenuto che la ricorrente avesse reso un racconto estremamente generico e non credibile alla stregua di quanto reperito da fonti internazionali in relazione al gruppo (OMISSIS), essendo inverosimile che tale gruppo potesse perseguitarla per la decisione di lasciare la setta, presa anni prima dal suo fidanzato e futuro marito, di cui non aveva indicato neppure il nome e che nel frattempo era deceduto in un incidente stradale.

Occorre considerare che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c).

Tale apprezzamento è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione o come motivazione apparente, perplessa ed obiettivamente incomprensibile; si deve invece escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 3340/2019).

Nella specie il Tribunale ha accertato, in fatto, la non credibilità della narrazione delle vicende, che avrebbero indotto la richiedente asilo ad abbandonare il suo paese, mentre la censura in esame non propone critiche che rientrino nel novero delle censure ammissibili, mirando invece a una non consentita rivisitazione del merito della vicenda (Cass. 8758/2017).

Deve poi rimarcarsi che a fronte delle dichiarazioni effettuate, la medesima ricorrente non ha attivato il dovere di cooperazione istruttoria al fine del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Tale dovere, collocato esclusivamente sul versante probatorio, trova, infatti, (ad eccezione che per l’ipotesi di cui all’art. 14, lett. c) D.Lgs. citato), “per espressa previsione normativa, un preciso limite tanto nella reticenza del richiedente (in ciò risolvendosi l’omissione di uno sforzo ragionevole per circostanziare i fatti) quanto nella non credibilità delle circostanze che egli pone a sostegno della domanda. Si tratta quindi di deficienze, reticenza e non credibilità, parimenti riferibili al quadro delle allegazioni, di guisa che, intanto si concretizza il dovere di cooperazione istruttoria, in quanto si sia in presenza di allegazioni precise, complete, circostanziate e credibili, e non invece generiche, non personalizzate, stereotipate, approssimative e, a maggior ragione, non credibili” (in questi termini Cass. n. 15794/2019).

Deve poi rilevarsi che correttamente la domanda è stata ritenuta manifestamente infondata e non si è proceduto all’audizione della richiedente.

Questa Corte ha chiarito che nel giudizio di impugnazione della decisione della Commissione territoriale innanzi all’autorità giudiziaria, in caso di mancanza della videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente fissare l’udienza per la comparizione delle parti, configurandosi, in difetto, la nullità del decreto con il quale viene deciso il ricorso, per violazione del principio del contraddittorio (Cass. 5/7/2018 n. 17717). Ciò tuttavia non significa, come la medesima statuizione precisa, che, in presenza di una “domanda di protezione internazionale manifestamente infondata”, si debba necessariamente dar corso in maniera automatica all’audizione del richiedente (v., in tal senso, Corte di giustizia dell’Unione Europea, 26 luglio 2017, Moussa Sacko contro Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano, p. 49).

Ne consegue che il provvedimento impugnato sfugge ad ogni rilievo censorio nella parte in cui ha denegato il riconoscimento dello status di rifugiato e la protezione internazionale di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), mentre le critiche della ricorrente risultano astratte e generiche, risolvendosi formalmente nella trascrizione di altre decisioni di merito e sostanzialmente nella mancata condivisione delle valutazioni di merito del tribunale.

III.I Deve poi aggiungersi che il tribunale molisano – con indicazione delle fonti di conoscenza – ha esaminato la situazione del Paese di origine della ricorrente e ha escluso una situazione di conflitto armato, a cui astrattamente riconnettere l’ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Tale accertamento può esser censurato in sede di legittimità nei limiti consentiti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Il che non è stato fatto, sicchè l’odierna doglianza deve reputarsi come semplicemente finalizzata a sovvertirne l’esito.

IV. Le doglianze relative al diniego della protezione umanitaria sono parimenti inammissibili, perchè generiche e tese a sollecitare una diversa valutazione del merito della vicenda. Ciò a fronte di una motivazione del provvedimento impugnato con cui si è evidenziato, per un verso, che il timore per la propria incolumità, in caso di rientro in patria, è del tutto astratto e congetturale e, per altro verso, che la richiedente non ha indicato particolari legami familiari con il territorio italiano o patologie da curare in Italia.

V. Inammissibile è anche la terza censura, con cui si lamenta la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74, comma 2 e art. 136, comma 2, in uno al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 28-bis, comma 2, lett. a), poichè per giurisprudenza costante di questa Corte “la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato adottata con la sentenza che definisce il giudizio di appello, anzichè con separato decreto, come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, non comporta mutamenti nel regime impugnatorio che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione ex art. 170 del medesimo D.P.R., dovendosi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanto adottata con sentenza, sia per ciò solo impugnabile immediatamente con ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dall’art. 113 D.P.R. citato” (Cass., 29 settembre 2019, n. 24405; ivi pure il richiamo di numerosi altri precedenti).

VI. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2021

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