Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8488 del 09/04/2010

Cassazione civile sez. trib., 09/04/2010, (ud. 27/01/2010, dep. 09/04/2010), n.8488

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – rel. Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20666/2005 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

SPENO INTERNATIONAL S.A. in persona dei legali rappresentanti pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA

262 – 264 presso lo studio dell’Avvocato D’ANDRIA CATALDO, che la

rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la decisione n. 3740/2003 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

CENTRALE di ROMA, depositata il 13/05/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/01/2010 dal Consigliere Dott. CARLO PARMEGGIANI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GIANNI DE BELLIS, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito per il resistente l’Avvocato CATALDO D’ANDRIA, che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A seguito di accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza presso lo studio del geom. B.B., nel 1989, l’Ufficio delle Imposte dirette di Roma rilevava che la società Speno International S.A., con sede in (OMISSIS), a favore della quale il B. prestava la sua attività, aveva omesso le dichiarazioni a fini IRPEG e ILOR di redditi percepiti dalla società negli anni dal 1982 al 1988, derivanti da contratti stipulati da tale società con la Ferrovie dello Stato aventi ad oggetto la molatura in Italia delle rotaie ferroviarie, che la Speno S.A. eseguiva con propri mezzi e proprio personale, ed emetteva i conseguenti avvisi di accertamento, con i quali recuperava le imposte sul reddito ed irrogava le relative sanzioni. La società impugnava gli avvisi, sostenendo che ai sensi dell’accordo Italo – Svizzero del 1976, ratificato con L. 23 dicembre 1978, n. 943, teso ad evitare doppie imposizioni, in (OMISSIS) ed in (OMISSIS), non sussistevano i presupposti per la imposizione fiscale in Italia relativamente ai redditi percepiti.

La Commissione Tributaria di 1^ grado di Roma riuniti i ricorsi, li accoglieva e la decisione era confermata dalla Commissione di 2^ grado. Avverso tale decisione proponeva ricorso l’Ufficio alla Commissione Tributaria Centrale, che lo respingeva con decisione n. 3740 /2003 in data 12-5-2003 depositata il 13-5-2003.

Avverso tale decisione ricorrono per Cassazione il Ministero della Economia e delle Finanze e la Agenzia delle Entrate, con un motivo. Resiste la società intimata con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, va rilevata la inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero della Economia e della Finanze: nel caso di specie al giudizio innanzi la Commissione Regionale ha partecipato l’ufficio periferico di Roma della Agenzia delle Entrate successore a titolo particolare del Ministero, ed il contraddittorio è stato accettato dal contribuente senza sollevare alcuna eccezione sulla mancata partecipazione del Ministero, che così risulta, come costantemente ha rilevato la giurisprudenza di questa Corte, (ex plurimis v. Cass. n. 3557/2005) estromesso implicitamente dal giudizio, con la conseguenza che la legittimazione a proporre ricorso per cassazione sussisteva unicamente in capo alla Agenzia.

Le spese relative a detto ricorso devono essere compensate tra le parti, per la obbiettiva incertezza esistente all’epoca della successione tra i citati enti.

Con l’unico motivo di ricorso, la Agenzia deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 5, e dell’art. 7, della Convenzione tra la Repubblica Italiana e la Confederazione Svizzera e del protocollo aggiuntivo firmati a Roma il 9 marzo 1976, nonchè del protocollo aggiuntivo firmato a Roma il 28-4-1978, ratificata con L. 23 dicembre 1978, n. 943, ed inoltre del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 19, e D.P.R. n. 917 del 1986, art. 20, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Espone al riguardo che la Commissione Centrale nell’interpretare l’art. 5 della Convenzione citata, che regola i presupposti per la imposizione fiscale, onde evitare tra i paesi contraenti una doppia imposizione, sostiene che occorre a tal fine fare riferimento a ” due elementi che servono ad identificare la ipotesi in questione” (ovvero la “stabile organizzazione” mediante la quale si producono redditi di impresa di soggetto non residente tassabili in (OMISSIS)) e precisamente un requisito di natura oggettiva, consistente in una organizzazione produttiva stabile in (OMISSIS), ed uno di natura soggettiva, ovvero la esistenza in (OMISSIS) di soggetto dotato di poteri abitualmente esercitati che gli permettono di concludere contratti in favore dell’impresa.

In applicazione di tale criterio interpretativo la Commissione ha ritenuto sussistente il requisito oggettivo concernente una stabile organizzazione produttiva, ed inesistente il secondo in quanto il B., dipendente (OMISSIS) della società, era autorizzato a sottoscrivere i contratti per conto della Speno International S.A. ma non aveva alcun potere decisorio in ordine al contenuto degli stessi ed a eventuali modifiche, riservato alla direzione della società (OMISSIS).

Sostiene la Agenzia che tale interpretazione dell’art. 5 della Convenzione è erronea, in quanto non esiste alcun doppio requisito: l’unico presupposto richiesto al fine di sottoporre a tassazione il reddito prodotto in (OMISSIS) è la esistenza ivi di “stabile organizzazione”.

Detta ” stabile organizzazione” che, ai sensi del comma 1, dell’art. citato “designa una sede fissa di affari in cui la impresa esercita in tutto od in parte la sua attività “si deduce in primo luogo dagli elementi organizzativi elencati nel successivo comma 2 (una sede di direzione, una succursale, un ufficio, un laboratorio, una miniera, una cava, un cantiere di costruzione o di montaggio di durata superiore a 12 mesi, salvo particolari ipotesi di esclusione di cui al successivo comma 3); in secondo luogo, sempre a tale riguardo, afferma il comma 4 di detta disposizione che “una persona che agisce in uno stato contraente per conto di una impresa dell’altro stato contraente – diversa da un agente che goda di uno status indipendente di cui al par. 5 – è considerata stabile organizzazione nel primo stato se dispone nello stato stesso di poteri che esercita abitualmente e che le permettono di concludere contratti a favore della impresa, salvo il caso in cui la attività di detta persona sia limitata all’acquisto di merci per la impresa”.

Ne consegue, ad avviso della ricorrente, che i due elementi si pongono non in modo congiunto, nel senso che debbano sussistere entrambi contemporaneamente, per integrare la “stabile organizzazione” bensì in modo disgiunto ed alternativo, nel senso che ciascuno di questi, ove ricorrano le ipotesi descritte, è idoneo e sufficiente a concretare il presupposto richiesto per la imposizione fiscale nel paese contraente, nella specie l'(OMISSIS).

Pertanto, avendo la Commissione ritenuto la sussistenza della “stabile organizzazione” sotto il profilo oggettivo, tale conclusione era sufficiente all’accoglimento dell’appello, risultando superfluo l’esame dei poteri della persona dipendente in Italia della società (OMISSIS).

La società intimata, nel controricorso, conviene sulla interpretazione della norma data dalla Agenzia, nel senso della alternatività dei requisiti per la integrazione della” stabile organizzazione” ma rileva che la Commissione è incorsa in evidente errore ritenendo sussistente il requisito oggettivo in forza di una durata della stessa organizzazione di circa duecento giorni e quindi “superiore ai sei mesi previsti dalla convenzione” laddove il periodo minimo richiesto a tal fine dalla convenzione all’art. 5 era di un anno, con conseguente insussistenza del presupposto impositivo considerato.

Il motivo è fondato.

E’ infatti univoca la interpretazione dell’art. 5 della Convenzione italo – svizzera data dalla ricorrente, su cui pure conviene la società intimata, e ciò sulla base della collocazione sistematica delle disposizioni (una di seguito all’altra, in modo anche formalmente distinto) della interpretazione testuale (manca qualunque espressione che leghi tra loro le rispettive enunciazioni, o che condizioni l’una all’altra) ed infine del criterio logico alla base della “ratio” della pattuizione internazionale, univoco e comprensibile, consistente nella previsione di una duplice ipotesi di sussistenza di una stabile organizzazione: una tratta da elementi oggettivi e materiali, di cui al comma 2 (con le precisazioni di cui al comma 3); una seconda di cui al comma 4, derivata dalla presenza nel territorio di uno stato contraente di un rappresentante di una impresa dell’altro stato contraente dotato di determinati poteri.

Ne deriva che non è necessaria la sussistenza di entrambe le ipotesi considerate, nel senso che la esistenza anche di una sola di esse è idonea a concretizzare il presupposto impositivo. Come questa Suprema Corte, sulla scorta della giurisprudenza comunitaria, ha più volte statuito (sentenze n. 3367, 3368 e 7682/ 2002), l’esistenza del duplice presupposto è richiesta soltanto per la configurazione di un “centro di attività stabile” ai fini dell’i.v.a., mentre tale regola non opera ai fini dell’imposizione sul reddito, per la quale è configuratale anche, oltre a quella c.d. “materiale”, la c.d. “stabile organizzazione soggettiva o personale”.

D’altro canto deve prendersi atto che la Commissione non ha in alcun modo giustificato la scelta interpretativa compiuta, limitandosi ad assumerla, erroneamente, come pacifica. In altri termini, la ratio decidendi della sentenza consiste soltanto nel’aver ritenuto che entrambi i presupposti (e cioè quello strutturale o oggettivo, e quello personale) siano necessari per dar luogo ad una stabile organizzazione ai sensi dell’art. 5 della Convenzione, mentre deve considerarsi estranea a tale ratio, trattandosi di obiter dictum, la statuizione concernente l’esistenza del presupposto oggettivo.

Sussiste quindi la violazione di legge contestata, dovendosi concludere che la Commissione ha errato nella interpretazione dei requisiti costituenti la “stabile organizzazione” di cui all’art. 5 della Convenzione, e tale errore si riflette sull’intero iter logico seguito successivamente alla adozione di tale illegittimo criterio interpretativo.

Ne consegue che non può considerarsi coperta da intervenuto “giudicato interno” in quanto non oggetto di specifica impugnazione, la statuizione concernente la esistenza della organizzazione sotto il profilo oggettivo, in quanto indissolubilmente legata alla seconda, relativa al requisito soggettivo, sicchè la ritenuta erroneità del criterio interpretativo seguito travolge entrambe.

Dovrà peraltro essere pure attentamente esaminata in sede di rinvio la questione relativa ai poteri dell’incaricato della società estera in Italia, alla luce dei principi espressi da questa Corte (sent. n. 7682 del 2002. n. 10825 del 2002, n. 17206 del 2006) con particolare riferimento alla sussistenza o meno, in capo al medesimo dello status di agente indipendente ai sensi dell’art. 5, comma 5, del trattato italo – svizzero, ovvero di incaricato dipendente. In proposito non può condividersi quanto sostenuto dalla società controricorrente, secondo cui il potere di concludere contratti si riferirebbe soltanto al caso di un effettivo potere di svolgere trattative e di determinazione del contenuto del contratto, mentre ne sarebbe escluso il caso, come quello di specie, in cui l’agente, pur avendo un potere di rappresentanza, deve uniformarsi a ordini e direttive della società. Come già chiarito nella richiamate sentenze della Sezione, l’ipotesi di effettiva partecipazione alle trattative, senza poteri rappresentativi, e quella di rappresentanza devono considerarsi alternative.

Sull’interpretazione dell’art. 5, commi 5 e 6, della convenzione è necessario riportarsi al Commentario del modello OCSE, al quale si è uniformata la convenzione stessa, secondo cui un soggetto anche non legato da rapporti di dipendenza legale con la impresa straniera, che comunque esegua senza autonomia ed in modo abituale istruzioni della stessa impresa, e che in tale veste compia atti che siano essenziali per la conclusione dei contratti che obbligano la impresa medesima, integra l’ipotesi di stabile organizzazione.

E’ opportuno rilevare che, come già osservato nella sentenza della Sezione n. 17206 / 06, non hanno alcun rilievo le modifiche al paragrafo 33 del commentario, introdotte nel 2004, secondo cui la partecipazione alla fase delle trattative da parte di agenti non muniti di poteri di rappresentanza non sarebbe elemento sufficiente a costituire una stabile organizzazione personale. Infatti, anche a prescindere dall’osservazione inserita dal Governo italiano (par. 45.10 del Commentario), secondo cui, nell’interpretazione del Modello di Convenzione, l’Italia non può disattendere quella data dai propri giudici nazionali, pare opportuno rilevare che, comunque, anche nell’ottica della modificazione, resta ferma la nozione di “stabile organizzazione personale” in senso formale prevista dal modello OCSE, nell’interpretazione della giurisprudenza di questa Suprema Corte.

Dovrà quindi essere valutato, in tale ottica, il significato da attribuirsi al “potere di firma” dei contratti senza potere autonomo in ordine al contenuto degli stessi attribuito dalla società resistente al B..

La decisione impugnata deve quindi essere cassata e la causa rinviata, per nuovo esame, alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che provvederà anche sulle spese di questa fase di legittimità.

I giudici di rinvio dovranno conformarsi ai seguenti principi di diritto:

1) l’art. 5 della Convenzione italo – svizzera contro la doppia imposizione deve essere interpretato nel senso della non necessità, ai fine dell’esistenza di una stabile organizzazione, di una compresenza dell’elemento oggettivo (c.d. stabile organizzazione materiale) e di quello soggettivo (c.d. stabile organizzazione personale), consistente nella presenza stabile in (OMISSIS) di un soggetto non indipendente avente il potere di concludere contratti;

2) si ha stabile organizzazione “soggettiva” o “personale” quando la società (OMISSIS) dispone stabilmente in (OMISSIS) di un agente non indipendente, munito di potere di rappresentanza e quindi abilitato a concludere contratti, anche se lo stesso deve agire sulla base di dettagliati ordini o direttive della società (OMISSIS).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del Ministero e compensa le relative spese; accoglie il ricorso della Agenzia, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2010

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