Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8487 del 14/04/2011

Cassazione civile sez. un., 14/04/2011, (ud. 06/07/2010, dep. 14/04/2011), n.8487

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo – Primo Presidente –

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente Sezione –

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente Sezione –

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente Sezione –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23278/2009 proposto da:

GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI, in persona del

Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

CRIF S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CARLO POMA 4, presso lo studio

dell’avvocato FORZA MARIA SELVAGGIA, rappresentata e difesa dagli

avvocati IMPERIALI Riccardo, DI SABATO GIANFRANCO, per delega in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la decisione n. 5198/2009 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

il 03/09/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

06/07/2010 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

uditi gli avvocati Carla COLELLI dell’Avvocatura Generale dello

Stato, Riccardo IMPERIALI, Gianfranco DI SABATO;

udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI

Domenico, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso (A.G.O.).

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. Il fatto.

Una società dedita alla raccolta e gestione di dati sulla puntualità nei pagamenti, la CRIF s.p.a., chiede al Garante di essere autorizzata ad esigere un contributo dai richiedenti l’accesso ai dati.

La domanda viene giustificata con la circostanza che il numero delle richieste di accesso era cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni, raggiungendo l’ordine di centinaia di migliaia, ciò che costituiva ormai un onere economico insostenibile per la società titolare del trattamento.

A tale istanza il Garante non avrebbe fornito alcun riscontro.

2. Il giudizio di merito.

Dinanzi al silenzio del Autorità, la CRIF ricorre al giudice amministrativo, allegando di volere impugnare il silenzio-rifiuto formatosi sulla propria istanza, ai sensi della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 21 bis.

Il Garante si costituì, eccependo, in limine, il difetto di giurisdizione del giudice adito, ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 152, per effetto del quale sono devolute al giudice ordinario tutte le controversie riguardanti l’applicazione del c.d.

codice della privacy.

Il TAR ritenne sussistere la propria giurisdizione, accogliendo il ricorso nel merito e condannando il Garante ad avviare il procedimento amministrativo per esaminare l’istanza della CRIF. La decisione del TAR venne impugnata dal Garante, il quale, a fondamento dell’appello, reiterò in via preliminare l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, eccependo nel merito che l’Autorità per il trattamento dei dati personali aveva la mera facoltà, e non l’obbligo, di fissare la misura del contributo esigibile dai titolari del trattamento dei dati nei confronti dei richiedenti l’accesso.

Anche il Consiglio di Stato ritenne sussistere la giurisdizione del giudice amministrativo, rigettando nel merito l’appello.

In particolare, a fondamento della decisione sulla giurisdizione, il giudice amministrativo opinerà che:

– il D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 152, devolve al giudice ordinario la giurisdizione su tutte le controversie riguardanti l’applicazione del codice della privacy, ma:

– tale previsione non ha attribuito al giudice ordinario anche la cognizione su interessi legittimi, perchè questo effetto sarebbe in contrasto con l’art. 103 Cost.;

– l’effetto della norma ordinaria è stato soltanto quello di assoggettare le controversie spettanti al giudice ordinario alle particolari regole di procedura fissate nel prosieguo dello stesso articolo;

– conseguentemente, l’art. 152 D.Lgs. cit., ha lasciato fermo il tradizionale criterio di riparto della giurisdizione, fondato sulla distinzione tra diritti ed interessi;

nel caso di specie, la CRIF vantava un mero interesse legittimo, e non un diritto soggettivo, alla fissazione, da parte del Garante, della misura del contributo da essa esigibile nei confronti dei richiedenti l’accesso ai propri dati personali;

– la relativa controversia era devoluta, consequenzialmente, al giudice amministrativo.

3. Il ricorso per Cassazione.

La sentenza del Consiglio di Stato è stata impugnata dal Garante dinanzi a queste sezioni unite per ragioni di giurisdizione.

A fondamento del ricorso, il ricorrente adduce due argomentazioni.

La prima, a mente della quale – recitando il D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 152, “tutte le controversie che riguardano, comunque, l’applicazione delle disposizioni del presente codice, comprese quelle inerenti ai provvedimenti del Garante in materia di protezione dei dati personali o alla loro mancata adozione, sono attribuite all’autorità giudiziaria ordinaria” – la inequivocità del testo normativo era misura di come il Consiglio di Stato – escludendo la giurisdizione del giudice ordinario – avesse in primo luogo violato l’art. 12 preleggi, attribuendo alla norma un senso diverso da quello fatto palese dal significato delle parole secondo la connessione di esse.

La seconda, in forza della quale non appariva affatto predicabile che una diversa lettura del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 152, si ponesse in contrasto con la Costituzione, non essendo preclusa al legislatore l’attribuzione al giudice ordinario della cognizione (anche) di interessi legittimi.

Conseguenza necessaria dell’affermata giurisdizione del giudice ordinario sarebbe dunque, ad avviso del ricorrente, l’inapplicabilità della giurisdizione amministrativa sul silenzio rifiuto di cui all’art. 21 bis della legge TAR, trattandosi di rimedio esperibile solo nelle ipotesi di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine al rapporto sostanziale.

4. Il controricorso.

La CRIF s.p.a. ha depositato controricorso, con il quale ha dal suo canto dedotto:

– che il D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 152, va interpretato nel senso che la giurisdizione del giudice ordinario, in tema di dati personali, sussiste solo quando si controverta su diritti fondamentali (ad es., quelli al corretto trattamento od alla cancellazione dei dati), non quando si controverta su interessi legittimi;

– che, se cosi non fosse, nei confronti del Garante per la protezione dei dati personali, unica tra tutte le pubbliche amministrazioni, non solo resterebbe inibita la speciale tutela avverso il silenzio rifiuto prevista dall’art. 21 bis legge TAR, ma, in caso di accoglimento della domanda, non si potrebbe nemmeno mettere in esecuzione la sentenza attraverso la nomina di un commissario ad acta a seguito di ricorso per l’ottemperanza.

5. Il dato normativo.

– D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 10, commi 7 e 8:

7. Quando, a seguito della richiesta di cui all’art. 7, commi 1 e 2, lett. a), b) e c) non risulta confermata l’esistenza di dati che riguardano l’interessato, può essere chiesto un contributo spese non eccedente i costi effettivamente sopportati per la ricerca effettuata nel caso specifico.

8. Il contributo di cui al comma 7 non può comunque superare l’importo determinato dal Garante con provvedimento di carattere generale, che può individuarlo forfettariamente in relazione al caso in cui i dati sono trattati con strumenti elettronici e la risposta è fornita oralmente. Con il medesimo provvedimento il Garante può prevedere che il contributo possa essere chiesto quando i dati personali figurano su uno speciale supporto del quale è richiesta specificamente la riproduzione, oppure quando, presso uno o più titolari, si determina un notevole impiego di mezzi in relazione alla complessità o all’entità delle richieste ed è confermata l’esistenza di dati che riguardano l’interessato. – art. 152, commi 1 e 4; commi 12 e 13:

1. Tutte le controversie che riguardano, comunque, l’applicazione delle disposizioni del presente codice, comprese quelle inerenti ai provvedimenti del Garante in materia di protezione dei dati personali o alla loro mancata adozione, sono attribuite all’autorità giudiziaria ordinaria.

2. Per tutte le controversie di cui al comma 1, l’azione si propone con ricorso depositato nella cancelleria del tribunale del luogo ove risiede il titolare del trattamento.

3. Il tribunale decide in ogni caso in composizione monocratica.

4. Se è presentato avverso un provvedimento del Garante anche ai sensi dell’art. 143, il ricorso è proposto entro il termine di trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento o dalla data del rigetto tacito. Se il ricorso è proposto oltre tale termine il giudice lo dichiara inammissibile con ordinanza ricorribile per cassazione.

12. Con la sentenza il giudice, anche in deroga al divieto di cui alla L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 4, all. E), quando è necessario anche in relazione all’eventuale atto del soggetto pubblico titolare o responsabile, accoglie o rigetta la domanda, in tutto o in parte, prescrive le misure necessarie, dispone sul risarcimento del danno, ove richiesto, e pone a carico della parte soccombente le spese del procedimento.

13. La sentenza non è appellabile, ma è ammesso il ricorso per cassazione.

6. La decisione.

E’ convincimento di queste sezioni unite che la giurisdizione spetti, nella specie, all’autorità giudiziaria ordinaria. A non diversa soluzione conduce, difatti, la piana lettura e la altrettanto piana interpretazione delle norme dianzi ricordate, la cui cristallina espressione letterale (rara avis) non lascia margini a dubbi circa l’intentio legis di attribuire l’intera materia alla cognizione dell’AGO, senza eccezioni di sorta e senza che a ciò risulti di ostacolo la norma costituzionale di cui all’art. 103, più volte evolutivamente interpretata sia da questa stessa corte di legittimità (Cass. ss.uu. 3521/1994), sia dallo stesso Giudice delle leggi nel senso che anche alla predetta autorità giudiziaria è consentito, per effetto di conforme disposizione del legislatore ordinario, di conoscere di interessi legittimi, di conoscere ed eventualmente annullare un atto della P.A., di incidere conseguentemente sui rapporti sottostanti secondo le diverse tipologie di intervento giurisdizionale previste (Cort cost. ord. 140, 165 e 275/2001; 525/2002, mentre l’affermazione contenuta nella sentenza 204 del 2004, a mente della quale la cognizione degli interessi legittimi “sarebbe riservata al giudice amministrativo” sembra in realtà compiuta incidenter tantum, avendo la stessa Corte, con la sentenza 377 del 2008, espressamente riconosciuto al legislatore ordinario” un margine di apprezzamento in materia di riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo).

La scelta del legislatore ordinario, sicuramente inequivoca nella sua chiara espressione lessicale, appare poi, nel merito, perfettamente ragionevole, poichè la materia dell’accesso ai dati personali e dei costi di esercizio di tale diritto presenta una indiscutibile, reciproca, inestricabile interferenza di diritti e interessi legittimi, nella quale, peraltro, netta appare la prevalenza dei primi rispetto ai secondi.

Nel caso di specie, oltretutto, non par lecito discorrere nemmeno di vera discrezionalità amministrativa, poichè il garante è chiamato ad operare un bilanciamento tra interessi privati (quelli degli interessati ai dati trattabili e quelli delle imprese detentrici), e non tra interesse privato e interesse pubblico.

Il ricorso è pertanto accolto.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, cassa e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, al tribunale territorialmente competente.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2011

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