Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8486 del 08/04/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 8486 Anno 2013
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: ARIENZO ROSA

SENTENZA

sul ricorso 21163-2009 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore. elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
629

contro

PICARO FRANCO ERNESTO ANTONIO PCRFNC39A01D6431,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO
VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato MARCO

Data pubblicazione: 08/04/2013

D’AREZZO,

rappresentato

e

difeso

dall’avvocato

FATIGATO PASQUALE, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 156/2009 della CORTE D’APPELLO
di BARI, depositata il 16/03/2009 r.g.n. 1792/07;

udienza del 20/02/2013 dal Consigliere Dott. ROSA
ARIENZO;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega FIORILLO
LUIGI;
udito l’Avvocato FATIGATO PASQUALE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. COSTANTINO FUCCI, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 16.3.2009, la Corte di Appello di Bari, in accoglimento per quanto di
ragione del gravame proposto da Picaro Franco Ernesto Antonio, condannava la società
Poste Italiane al pagamento, in favore del predetto, della somma di euro 22.500,00, oltre
accessori di legge, a titolo di danno biologico da invalidità permanente – indicata dal c.t.u.
nella misura del 15% – residuata all’infortunio sul lavoro del 5.7.1999, subito in occasione

Rilevava la Corte territoriale che il motivo di gravame era limitato alla violazione, da parte
del datore di lavoro, dell’ obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 c. c., esclusa dal Tribunale
sul rilievo che l’azione criminosa era caratterizzata da assoluta eccezionalità, valutazione
questa non condivisibile né con riferimento all’esatta verifica delle acquisizioni probatorie,
né in relazione alla caratterizzazione della condotta dei terzi, né con riguardo all’implicito
esonero della responsabilità del datore per inesigibilità della prestazione dovuta a causa a
lui non imputabile.
Con richiamo a giurisprudenza consolidata, la Corte del merito osservava come la norma
di cui all’art. 2087 c. c. fosse una norma in bianco, di chiusura del sistema normativo in
materia di tutela antinfortunistica, e che la stessa esigesse che il datore facesse propri non
solo gli accorgimenti prescritti dalla legge o dalla contrattazione collettiva, ma anche quelli
che, in base alle norme tecniche ed all’esperienza, fossero funzionali alla tutela
dell’integrità psicofisica del lavoratore, comprese quelli che potevano proteggere
quest’ultimo da fattori esterni al rapporto di lavoro, in relazione alla sua peculiarità.
Richiamando precedenti di legittimità che riconducono agli obblighi imposti al datore
quello di adottare misure atte a preservare i lavoratori anche in relazione ad eventi non
direttamente collegati allo stretto ambito lavorativo, come le aggressioni conseguenti ad
attività criminosa di terzi, rilevava che sul lavoratore gravava la prova del fatto e
dell’allegazione delle regole di condotta da parte del datore e su quest’ultimo quella di
provare che l’evento lesivo era dipeso da un fatto a lui non imputabile. Nella specie, il
lavoratore aveva provato il danno e la relazione causale tra questo e l’evento lesivo
(inadeguatezza delle misure di protezione), laddove la società non aveva dimostrato di
avere mantenuto in efficienza il sistema di protezione predisposto e di avere adottato
qualsiasi ulteriore misura di sicurezza, pure essendosi verificate altre rapine nello stesso
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di una rapina a mano armata ai danni dell’ufficio postale ove il Picaro prestava servizio.

ufficio con le stesse modalità, sicchè l’evento era prevedibile ed evitabile. Era, poi, anche
emerso che i lavoratori avevano denunciato più volte la carenza di misure di sicurezza e
che il dispositivo di sicurezza non era funzionante e non poteva assumere rilievo il fatto
che il Picaro non avesse provato di avere vissuto altre situazioni di pericolo e che non
fosse costantemente addetto al maneggio di danaro.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la società, con unico articolato motivo, cui

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con unico motivo, la società denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 c. c.,
assumendo che la Corte del merito fonda il proprio ragionamento su un calcolo
probabilistico più che su elementi oggettivi, atteso che nessuno può prevedere quali siano
le modalità concrete con cui ogni rapina può realizzarsi, avallando il luogo comune
secondo cui il più garantisce il meglio, e rimarca che il corretto approccio ermeneutico
all’art. 2087 c. c. non può prescindere dalla individuazione di un limite che il datore
incontra nell’adempimento dell’obbligo impostogli dalla norma, essendo, altrimenti, la
motivazione viziata da una prospettiva a posteriori, rispetto alla quale non viene offerto
neanche un precetto di carattere generale ed astratto, ma vengono richiamate solo regole
empiriche maturate dopo l’avvenuta cognizione dei singoli episodi criminosi. Non può,
secondo la ricorrente, desumersi dalla norma la prescrizione di un obbligo assoluto di
rispettare ogni cautela possibile, anche innominata, occorrendo che il danno sia riferibile a
colpa del datore per violazione di obblighi di comportamento imposti da fonte legale o
suggeriti dalla tecnica ma concretamente individuati.
Il ricorso è infondato.
Se è vero che la responsabilità del datore, come delineata dall’ampio contenuto della
norma di cui all’art. 2087 c.c., non può essere dilatata fino a comprendere ogni ipotesi di
danno verificatosi a carico dei dipendenti in conseguenza di eventi criminosi non
addebitabili a colpa al datore di lavoro, giacché, altrimenti, sarebbe ipotizzabile, in subiecta
materia, una sorta di responsabilità oggettiva ancorata al presupposto teorico che
qualsiasi rischio possa essere evitato pur se esorbitante da ogni umana previsione o
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resiste il Picaro, con controricorso.

prevedibilità, è anche vero che l’art. 2087 c.c. non configura un caso di responsabilità
oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli
obblighi di comportamento imposti da norme di fonte legale ovvero suggerita, dalle
conoscenze sperimentali e tecniche del momento (v. Cass. n. 3740/95 e, più
specificamente, Cass.15.6.1999 n. 5969 e Cass. 20.4.1998 n.4012).
Gli obblighi che l’art. 2087 c.c. impone all’imprenditore in tema di tutela delle condizioni di

lavoro fornisce o deve fornire, ma si estendono, nella fase dinamica dell’espletamento del
lavoro, anche “all’ambiente di lavoro, in relazione al quale le misure e le cautele da
adottarsi dall’imprenditore devono prevenire sia i rischi insiti in quell’ambiente, sia i rischi
derivanti dall’azione di fattori ad esso esterni e inerenti al luogo in cui tale ambiente si
trova” (cfr. Cass. n.9401/95). Fa carico allo stesso imprenditore valutare se la attività della
sua azienda presenti rischi extra-lavorativi “di fronte al cui prevedibile verificarsi insorga il
suo obbligo di prevenzione”, giusta il principio per cui ciascun datore, in riferimento alla
particolarità del lavoro, da una parte, ed all’esperienza e alla tecnica, dall’altra, deve nella
rappresentazione dell’evento (prevedibilità) prospettare a se stesso l’adozione delle misure
(e, dunque, di tutte le misure) più consone e più aggiornante, al fine di scongiurare la sua
realizzazione (prevedibilità). Ne consegue che, proprio alla stregua dei dati di esperienza,
il suddetto obbligo “avrà un contenuto non teorizzabile a priori”, ma ben individuabile nella
realtà alla luce delle tecniche di sicurezza comunemente adottate (Cass. n. 5048/88).
Come bene evidenziato dai precedenti di legittimità richiamati, si tratta, all’evidenza, di
un’obbligazione ex lege, accessoria e collaterale rispetto a quelle principali proprie del
rapporto di lavoro, involgente, quindi, la diligenza nell’adempimento ex art. 1176 c.c. (cfr.
Cass. 7768/95), “eventualmente correlata alla natura dell’attività esercitata, e comunque
improntata nella sua esecuzione a quei criteri di comportamento delle parti di ogni
rapporto obbligatorio costituiti, ex artt. 1175 e 1375 c.c., dalla correttezza e buona fede,
ormai ampiamente valorizzati dalla giurisprudenza” (cfr. Cass. n. 5048/88; n. 7768/95,
N.5696/99 cit.).
Con specifico riferimento all’attività anche creditizia – esercitata presso l’ufficio postale
teatro della rapina – il contenuto degli obblighi a tutela dell’integrità fisica dei dipendenti
deve, dunque, essere individuato nella predisposizione di misure e mezzi di sicurezza
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lavoro non si riferiscono soltanto alle attrezzature, ai macchinari e ai servizi che il datore di

idonee a salvaguardare detti prestatori da possibili danni. Dovendo, infatti, il datore di
lavoro ispirare la sua doverosa condotta alle acquisizioni della migliore scienza ed
esperienza per fare in modo che il lavoratore sia posto nelle condizioni di operare con
assoluta sicurezza, atteso che l’art. 2087 c.c. sollecita obbligatoriamente il datore di lavoro
ad aprirsi alle nuove acquisizioni tecnologiche. Ciò posto, si osserva che il giudice
d’appello ha applicato esattamente tale insegnamento, poiché, con logica e congrua

contrattuale ad essa facente carico ex art. 2087 c. c., ha dato risposta negativa,
osservando che fosse posto a carico della stessa l’obbligo di adottare tutte le misure
idonee a prevenire atti criminosi, e cioè un impegno superiore all’onere dell’ordinaria
diligenza che, ai sensi degli artt. 2043 e 1176 c.c., segna il limite della responsabilità per
danni. Impegno che la stessa Corte territoriale – con incensurabile, perché correttamente
motivato, accertamento – ha individuato, oltre che nell’efficienza del sistema di allarme
(non funzionante, come ammesso dalla stessa Società nel giudizio di merito), nella
predisposizione di misure di protezione dell’ufficio postale con vetrate antisfondamento ed
antiproiettile, con doppie porte con apertura alternata e comando di blocco automatico,
con impianti di videoregistrazione, di vigilanza a mezzo guardie giurate, nella adeguata
protezione del cortile condominiale, da cui avveniva l’accesso dei dipendenti e del
pubblico. Tali accorgimenti fanno parte, invero, di quel complesso di misure di sicurezza,
che, lungi dall’essere inesigibili dal datore di lavoro, rientrano in quell’ambito di
prevedibilità (dell’evento) e di prevenibilità (mediante l’adozione di idonee e consone
misure), ricollegabile certamente alla particolarità del lavoro, caratterizzato dall’offerta al
pubblico anche di servizi creditizi, con incremento di denaro liquido. Misure che il datore,
come evidenziato, è tenuto – alla stregua di una valutazione ex ante e del criterio
dell’ordinaria diligenza – ad adottare al fine di scongiurare il verificarsi di eventi dannosi per
la salute dei propri dipendenti, già peraltro verificatisi in passato nello stesso ufficio.
Contro le affermazioni della Corte d’appello, la cui statuizione riposa su esatti e
condivisibili principi di diritto, la ricorrente principale ha, invece, formulato censure in parte
infondate e, per altra parte, inammissibili nel giudizio di legittimità,
essendo in massima parte le stesse non attinenti con l’errore denunziato, concernendo
piuttosto un giudizio tendente ad ottenere un riesame del fatto sulla coerenza logica del
ragionamento che ha indotto il giudice a ritenere non sufficienti le misure di sicurezza
apprestate da Poste Italiane.
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motivazione, chiamato a verificare se la società avesse adempiuto o meno la obbligazione

Il ricorso va, alla stregua delle esposte ragioni, respinto e le spese del presente giudizio,
per il principio della soccombenza, cedono, nella misura di cui al dispositivo, a carico della
società ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società al pagamento delle spese di lite del

ed euro 50,00 per esborsi.
Così deciso in Roma il 20.2.2013

presente giudizio, liquidate in euro 2500,00 per compensi professionali, oltre accessori ,

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