Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8485 del 06/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 06/05/2020, (ud. 02/07/2019, dep. 06/05/2020), n.8485

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

Dott. NOVIK A. Ton – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17324/2016 R.G. proposto da:

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del direttore pro

tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

Virginia s.r.l., in persone del L.R. pro-tempore, R.M.,

rappresentato e difeso dall’avv.to Nicola La Rocca;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana, sez. di Livorno, n. 95/10/2016 del /2 giugno 2015,

depositata il 27 gennaio 2016, non notificata.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Si legge nella narrativa della sentenza impugnata che l’Agenzia delle Dogane di Livorno aveva proposto appello avverso le sentenze n. 110/1/14 e 111/1/14, emesse dalla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Livorno, che aveva accolto i ricorsi della ditta Virginia s.r.l. (di seguito, la contribuente) in relazione agli atti di contestazione e di invito al pagamento per il recupero dei maggiori diritti doganali inerenti la violazione nella reimportazione di merci doganali in regime di perfezionamento passivo. I rilievi si fondavano sul fatto che le voci doganali dichiarate non erano comprese negli elenchi dei prodotti compensatori o trasformati. Ad avviso di quel giudice, essendo mancato il riscontro fisico della merce, era verosimile la tesi difensiva di un errore nella digitazione dei codici relativi a prodotti merceologicamente simili “tali da escludere l’esistenza di un interesse fraudolento a fare una falsa dichiarazione”.

2. La CTR della Toscana, sezione staccata di Livorno, riuniti i ricorsi, confermava le sentenze impugnate. Poichè i codici utilizzati corrispondevano a capi di abbigliamento per i quali il dazio da applicare era lo stesso delle merci da reimportare in regime di perfezionamento passivo, per la CTR non era verosimile che chi si era avvalso di questo regime, sottoponendosi a specifici controlli per essere autorizzato a esportare in conto lavorazione capi di abbigliamento, avesse poi presentato dichiarazioni di importazioni relative a prodotti diversi, correndo il rischio di perdere le agevolazioni fiscali ottenute; inoltre, era irragionevole inviare all’estero materie prime tessili per poi introdurre prodotti che non avevano utilizzato quelle materie; in assenza di comportamento fraudolento era verosimile la tesi della ditta secondo cui vi era stato un errore nella indicazione dei codici; escludeva la sottrazione di imponibile.

3. L’Agenzia delle dogane ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a tre motivi. La contribuente resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l’Agenzia delle dogane deduce la violazione e/o falsa applicazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 84C.D.C. e dell’art. 199C.D.C., dell’art. 201C.D.C., comma 3, e dell’art. 204C.D.C.. In sintesi, si osserva che: – la commissione regionale sarebbe incorsa nella violazione della normativa relativa agli obblighi giuridici gravanti sull’importatore e sul suo rappresentante indiretto (posti dall’art. 199 Reg. CEE n. 2454/1993), e di quella relativa al regime del perfezionamento passivo; nel quadro dell’agevolazione discendente da tale regime, che consente, in base ad una specifica autorizzazione – che funge da regolamento o disciplinare per ogni singola operazione posta in essere e individua non soltanto le materie prime che escono dal territorio dell’Unione Europea, per essere lavorate all’estero, ma anche i relativi prodotti compensatori che, a lavorazione ultimata, vi devono rientrare -, di esportare temporaneamente fuori dall’Unione Europee merci delle quali sia prevista la reimportazione sotto forma di prodotti compensatori, era obbligo dell’importatore indicare correttamente nella dichiarazione doganale le voci di riferimento e la qualità delle merci importate al fine di pagare il dazio con il metodo della cd. tassazione differenziale; – era, inoltre, erronea l’affermazione secondo cui l’importatore non aveva riportato un vantaggio economico, in quanto, a prescindere dal tipo di aliquota applicabile, il dazio andava calcolato con il metodo della plusvalenza sul maggior valore acquisito dalle merci per effetto delle lavorazioni o trasformazioni effettuate all’estero.

Il motivo è fondato nei limiti che seguono.

2. In generale, l’art. 145 C.D.C., n. 1 (Reg. CEE del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913/92) prevede che il regime di perfezionamento passivo consente di esportare temporaneamente fuori del territorio doganale della Comunità merci comunitarie per sottoporle a operazioni di perfezionamento e di immettere i prodotti risultanti da queste operazioni in libera pratica in esenzione totale o parziale dai dazi all’importazione. L’art. 148 medesimo C.D.C., n. 1, lett. b), stabilisce quindi che l’autorizzazione di perfezionamento passivo è concessa esclusivamente quando si ritenga possibile accertare che i prodotti compensatori sono stati ottenuti dalla lavorazione di merci in temporanea esportazione. Sicchè, conformemente all’art. 150 C.D.C., n. 2, l’esenzione totale o parziale dai dazi all’importazione prevista dal precedente art. 151 tale C.D.C., n. 1, non è concessa quando non siano soddisfatti una delle condizioni o uno degli obblighi relativi al regime di perfezionamento passivo, a meno che si dimostri che le mancanze non hanno avuto alcuna conseguenza sul corretto funzionamento del suddetto regime.

2. In particolare, l’art. 151 C.D.C., n. 1, prevede che l’esenzione totale o parziale dai dazi all’importazione di cui all’art. 145 tale C.D.C. consiste nel detrarre dall’importo dei dazi all’importazione relativi ai prodotti compensatori immessi in libera pratica l’importo dei dazi all’importazione che sarebbero applicabili, alla stessa data, alle merci in temporanea esportazione se queste fossero importate nel territorio doganale dell’Unione Europea al paese ove hanno formato oggetto dell’operazione o dell’ultima operazione di perfezionamento. L’art. 151 C.D.C., n. 2, precisa poi che l’importo da detrarre ai sensi di tale articolo, n. 1, è calcolato in funzione della quantità e della specie delle merci considerate il giorno dell’accettazione della dichiarazione del loro vincolo al regime di perfezionamento passivo e sulla base degli altri elementi di tassazione loro applicabili alla data di accettazione della dichiarazione d’immissione in libera pratica dei prodotti compensatori.

3. Giova quindi sottolineare che uno degli obiettivi del regime di perfezionamento passivo consiste nell’evitare che siano assoggettate ad imposizione doganale merci esportate fuori della Comunità al fine di usufruire di un costo della manodopera inferiore a quello praticato in Europa, oppure di usufruire di tecnologie più avanzate (v., in tal senso, sentenza 17 luglio 1997, causa C-142/96, Wacker Werke, punto 21).

Da tale contesto, si ricava come il ricorso al perfezionamento passivo sia sostanzialmente favorevole alla industria che fruisce dell’autorizzazione, da ciò sorgendo l’esigenza che le agevolazioni che l’operatore trae dal beneficio di detto regime non comportino, invece, svantaggi considerevoli per altri produttori dell’Unione che realizzano prodotti affini a quelli che risultano dal perfezionamento (sentenza della Corte IV sezione, 21/7/2016). Incombe quindi sul debitore dell’obbligazione doganale provare che la dichiarazione erronea di esportazione temporanea o quella di reimportazione non ha alcuna conseguenza sul corretto funzionamento del regime doganale di cui trattasi.

3.1. Tale prova, ha rimarcato la giurisprudenza unionale (Corte giust. 3 ottobre 2003, causa C-411/01, GEFCO SA, punto 52 e dispositivo), deve “permettere di stabilire, senza alcuna ambiguità, che i prodotti compensatori risultano dalla lavorazione delle merci in esportazione temporanea”.

Poichè una dichiarazione erronea produce in generale conseguenze sul corretto funzionamento del regime di perfezionamento passivo, come correttamente osserva l’Agenzia, perchè ciò non accada occorre che le autorità doganali possano constatare l’inesattezza del contenuto dei pertinenti documenti doganali, sicchè una classificazione corretta possa essere agevolmente operata fornendo la prova della natura reale delle merci in esportazione temporanea.

Va ricordato che per l’art. 199 D.A.C. la dichiarazione presentata ad un ufficio doganale impegna il dichiarante anche “per quanto riguarda l’esattezza delle indicazioni riportate nella dichiarazione”.

Nello stesso senso si esprime anche il Regolamento CE 2286/2003 “Le merci devono essere descritte secondo la loro denominazione tariffaria oppure secondo la loro denominazione commerciale usuale. Questa denominazione deve essere espressa in termini sufficientemente precisi per permettere la classificazione delle merci. Tale casella deve anche recare le indicazioni richieste da eventuali normative specifiche. In caso di impiego di contenitori, nella casella vanno anche indicati i dati di identificazione dei medesimi”.

3.2. Quel che rileva, dunque, non è la mancanza di frode dovuta al fatto che il dazio da applicare sarebbe il medesimo, come affermato dalla Commissione tributaria regionale, bensì il regolare funzionamento del regime di perfezionamento passivo.

4. Erronea è per conseguenza l’affermazione contenuta in sentenza che non vi sia stata sottrazione d’imponibile mancando qualunque

vantaggio sul piano fiscale: soltanto la prova della regolarità del regime di perfezionamento passivo consente difatti di operare la detrazione dinanzi specificata al punto 2.

Il motivo va quindi accolto e determina l’assorbimento del restanti due, che concernono il trattamento sanzionatorio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti due; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Toscana in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2020

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